Il cammino di una parrocchia nel Nord Italia

 

Discernimento comunitario

di Tonino Gandolfo

 

Il disegno di Dio sulla parrocchia, come quello sulla Chiesa e su tutta l’umanità, è un disegno comunionale. Presentiamo un’esperienza concreta, con dei frutti tipici, sull’importanza di cercare di discernere comunitariamente il progetto di Dio e le strade per arrivarci.

 

 

Mentre ero in seminario uno dei “sogni” ricorrenti era immaginarmi nel cortile di un oratorio a contatto diretto con ragazzi e giovani, per giocare con loro e soprattutto per ascoltare le loro confidenze e trasmettere loro la “luce” che nella mia vita aveva portato l’incontro con Gesù.

Non ancora prete, un anno circa prima dell’ordinazione, il vescovo convoca un mio compagno e me, per comunicarci che il nostro “ministero” si sarebbe svolto ancora in seminario, come insegnanti, l’uno di Lettere e l’altro di Scienze naturali. E così mi sono ritrovato, tre giorni dopo l’ordinazione, a sostenere il primo esame universitario in zoologia. Ho scoperto col tempo che anche dietro questa chiamata un po’ “sorprendente” si celava un disegno e per anni ho abbinato l’insegnamento con il servizio pastorale “a tempo”!

 

Arriva la parrocchia con le sue incognite

 

Dopo oltre vent’anni, quando cominciavo a sentire il desiderio di cambiare, ma avevo quasi messo in cassetto il sogno, il vescovo mi convoca e mi dice che è giunto il momento di una “svolta”: diventavo veramente prete di parrocchia, in una delle parrocchie forse più impegnative, perché giovane e decisamente dinamica. Ma ciò che in altri momenti poteva apparirmi come la risposta ad un’attesa tenuta bloccata per anni mi cadeva invece addosso come un peso: come sarei stato in grado di affrontare le trasformazioni che la parrocchia aveva conosciuto dai tempi in cui ero giovane prete? come avrei portato avanti tutta la vita che chi mi aveva preceduto aveva impresso al cammino comunitario?

Quel giorno il Vangelo della Messa presentava l’annuncio a Giuseppe: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo». Sarebbe stato lo Spirito, operante nel rapporto vissuto con gli altri sacerdoti e con la comunità, che mi avrebbe condotto ad amare persone e situazioni. Così è stato nei sedici anni che sono seguiti, nei momenti segnati dalla gioia di costruire insieme un pezzo di umanità rinnovata dal Vangelo e nei momenti segnati dal buio, dallo smarrimento, dalla voglia di lasciar perdere tutto...

 

Alla base l’unità con i preti...

 

Tra gli aspetti, a cui mi sono sentito spinto a dare la priorità, vorrei sottolinearne due. Anzitutto il rapporto con i preti, a partire da quello con il viceparroco e gli altri preti della zona pastorale. Fin da prete giovane sentivo che, prima ancora di assumere un qualsiasi incarico in diocesi, entravo a far parte di un presbiterio e il mio desiderio è stato sempre quello di renderlo visibile. Con i preti della zona pastorale abbiamo seguito il detto: «Amare la parrocchia altrui come la propria». E il ritrovarci tra noi ha assunto un po’ di più questa fisionomia, mettendo il rapporto e confronto personale alla base della programmazione pastorale. Per una decina di anni ho accettato il servizio di Segretario della zona; uno dei complimenti che più ho apprezzato è stato: «Adesso è bello ritrovarci in zona, perché ci conosciamo di più e i problemi si affrontano con più serenità e velocità!».

 

Con l’ultimo viceparroco abbiamo vissuto insieme oltre dieci anni. Non abbiamo mai litigato, qualche volta ci hanno definiti “la coppia più bella del mondo”. Quando sono partito, i parrocchiani hanno preparato un album e il primo messaggio era del viceparroco, che scrive: «In questi dieci anni (un record!) ci siamo voluti veramente bene, di quell’Amore che ci fa sperimentare la presenza di Gesù fra noi!».

 

... e con i laici

 

Il secondo aspetto è il rapporto con i laici, a partire dal Consiglio Pastorale, sentito come il “cuore” di una Chiesa – popolo di Dio. Lo stile che abbiamo cercato di instaurare è stato quello dell’ascolto: anzitutto dello Spirito, ponendo sempre in primo piano la domanda «Che cosa vuole Dio in questo momento dalla nostra Comunità?». L’inizio di ogni riunione era sempre “condizionato” da questo interrogativo: non siamo qui per gestire un’impresa né per proporre iniziative più o meno allettanti, ma per cogliere dalle circostanze, dalle voci delle persone, dallo sviluppo crescente della comunità (quasi raddoppiata nel giro di una decina d’anni) ciò che il Padre vuole farci “capire”. La figura di Maria, che “custodiva e rimeditava nel suo cuore” quanto le andava capitando, ha fatto da sfondo e modello in questo cammino.

Ci siamo lasciati aiutare da uno scritto del cardinale Martini, allora arcivescovo di Milano, sul “Consigliare nella Chiesa[32], dove ci hanno segnato, in particolare, due espressioni: «Il dono del consiglio, tra i doni dello Spirito Santo, è quello cui fa riferimento l’attività del consigliare nella Chiesa e in ogni Consiglio pastorale»; «L’immagine del consiglio chiede la capacità di eccedere il piano umano della prudenza e della ponderatezza per giungere ad un piano ulteriore teso a ricercare e a rinvenire la volontà di Dio qui e ora... Consigliare è dunque quella forma di discernimento che il Consiglio pastorale diocesano pratica per aiutare il vescovo e la Chiesa locale per comprendere ciò che Dio esige da lei».

L’ascolto dello Spirito si traduceva, per quanto eravamo capaci, nell’ascolto reciproco, nel cercare di valorizzare l’idea e la proposta di ciascuno. Neppure il parroco era uno che aveva la “bacchetta magica” e poteva arrivare al Consiglio con un “programma” prefabbricato da sottoscrivere! Più volte abbiamo fatto l’esperienza che, nel mettere in comune le idee senza la pretesa di imporle, ci si ritrova in un’idea nuova: una realtà che non è più né la mia né la tua, ma nella quale riconosci, in modo nuovo, sia la tua che la mia.

Un aspetto che è venuto sempre più in evidenza è che, se è vero che il Consiglio pastorale è il “cuore”, non è il “tutto” della comunità parrocchiale. Per cui il Consiglio si è venuto delineando come il punto di convergenza di vari “ambiti”: economia, evangelizzazione, armonia degli ambienti, liturgia e preghiera, accoglienza e assistenza, catechesi dei ragazzi, dei giovani, degli adulti, comunicazione … E, se ogni ambito ha la sua espressione in due o più rappresentanti nel Consiglio, dietro questi un numero più o meno rilevante di “animatori” fa da portavoce e anima nella vita della comunità. Si forma così un Consiglio Pastorale “allargato”, dove idealmente confluiscono idee, progetti, “sogni” di qualsiasi membro della comunità. E la parrocchia viene pensata e vissuta in una realtà di cerchi concentrici che, come onde d’acqua, si muovono dal centro alla periferia e dalla periferia al centro. Un solo esempio: l’ambito dell’accoglienza. Come raggiungere tutti i parrocchiani, specie i più nuovi, in una realtà ancora in pieno movimento? Un’idea semplice e geniale, partita dal cuore del primo parroco e condivisa nei primi anni di vita della parrocchia, aveva portato a pensare a persone incastonate nei condomini che, senza nessun titolo di autorità, intrecciasse con i vicini di casa relazioni di conoscenza e di amicizia, facendo come da spola con il “centro” della comunità. E così, dall’iniziale ventina, si è arrivati nel tempo a un centinaio di “animatori delle case”.

Solo su queste basi e a questi patti è stato possibile fare dei passi anche “coraggiosi”.

 

Scoprire insieme e con pazienza i segni di Dio

 

Come parrocchia giovane e costituita per lo più da famiglie giovani, non poteva disporre di un gettito di entrate consistenti: il giusto sufficiente per pareggiare le uscite!

Ma la crescita numerica dei ragazzi e dei giovani poneva degli interrogativi: è ancora possibile continuare a ospitare i gruppi per il catechismo in locali che si rivelavano sempre più inadeguati? E come rispondere alla domanda dei giovani che reclamavano almeno un locale “tutto per loro” ed anche autogestibile? Senza dimenticare gli anziani che, pur avendo dato vita ad un Centro Anziani collegato col Comune, avrebbero desiderato averlo più centrale rispetto al quartiere.

Ci siamo posti il problema, abbiamo promosso un sondaggio tra i parrocchiani: naturalmente sono emerse sensibilità diverse, di chi vedeva l’assoluta necessità e urgenza della cosa e di chi, guidato da un’immagine di Chiesa più “povera”, preferiva non lanciarsi in un’impresa che avrebbe richiesto un impegno oneroso e, forse, di controtestimonianza. «Il Padre ci darà i suoi segni», ci siamo detti. E non abbiamo accelerato i tempi. Grazie alla disponibilità di una parrocchiana architetto, per quattro volte abbiamo modificato il progetto originario, finché la fantasia di un parrocchiano, in una delle varie assemblee proposte, non ha individuato la localizzazione giusta per la nuova costruzione.

Attendevamo anche i segni della Provvidenza: e questi sono venuti sotto forma di contributi anche inaspettati da Enti ecclesiali e Istituzioni bancarie e, in particolare, dall’iniziativa autonoma di famiglie per un’autotassazione pluriennale. Per sei anni è andata avanti l’“incubazione” dell’iniziativa, ma è cresciuta contemporaneamente la consapevolezza di essere quella “famiglia” che è guidata da una “volontà” paterna.

La risposta alla crescita numerica dei ragazzi non poteva consistere soltanto in aspetti strutturali, per quanto urgenti e necessari, ma doveva tradursi anche in termini qualitativi per la loro formazione alla vita di fede. Certo, la ricerca di “catechisti” formati ha avuto sempre una priorità. Ma come coinvolgere in modo responsabile la famiglia in questa missione? È proprio dal rapporto vissuto tra Consiglio pastorale e ambito familiare che è scaturito il “coraggio” di un passo innovativo: rendere i genitori protagonisti principali, anche in modo formale, della catechesi ai ragazzi. «Tu ci hai sempre detto, nella preparazione al Battesimo dei nostri figli, che siamo noi i loro primi educatori all’incontro con Gesù»: così mi sollecitavano alcuni genitori, ripensando alla sottolineatura delle parole introduttive del rito battesimale: «Chiedendo il Battesimo per i vostri figli, voi vi impegnate ad educarli nella fede …». E così, in un intreccio di scambi e confronti tra famiglie e Consiglio pastorale, si è arrivati alla scelta di affiancare o, anche, di sostituire ai catechisti “tradizionali” un insieme di “genitori-catechisti”, che hanno alle loro spalle l’apporto consapevole, pur in vario grado, di mamme e papà dei bambini e ragazzi.

Giorno dopo giorno, anno dopo anno, ci siamo aiutati a scoprire la volontà di un Dio che è Padre e ne abbiamo trovato il segreto nell’ascolto di quella Parola che è «luce sul mio cammino». Al di sotto di ogni iniziativa, nella fatica e nella gioia, nell’incertezza e nella scoperta di nuove tappe, il cammino della comunità si è andato costruendo sulla scoperta che «se uno mi ama, osserverà le mie parole», e quindi «a chi mi ama mi manifesterò», e che «chi ascolta la mia parola… è passato dalla morte alla vita».

Tonino Gandolfo


[32] Al Consiglio Pastorale diocesano, Triuggio, 15 aprile 1989.