Piste per un rinnovamento delle comunità parrocchiali

 

Il sì della parrocchia al disegno di Dio

 

Intervista a Adolfo Raggio

 

Don Adolfo Raggio è da decenni responsabile del Movimento parrocchiale e del Movimento diocesano, diramazioni del Movimento dei focolari che hanno per scopo di contribuire al rinnovamento della parrocchia e della diocesi mediante l’impegno dei propri membri nelle attività concrete delle parrocchie e diocesi, cercando di vivere e diffondere la spiritualità di comunione. In quest’intervista si sofferma su idee-forza e atteggiamenti che stanno animano centinaia di parrocchie nel mondo alla ricerca di un rinnovamento della la loro vita.

 

 

Il modello della Chiesa-comunione

 

GEN’S: Partiamo da una domanda fondamentale: quali le piste e i segni che possono aiutare la comunità parrocchiale a cogliere e realizzare il disegno che Dio ha su di essa?

 

Adolfo Raggio: Il modello cui guardare è senza dubbio Gesù con la sua comunità di discepoli, questo piccolo gregge, che egli ha scelto e formato[16]. Il suo stile di vita trova continuazione nella prima comunità cristiana, come la descrivono gli Atti degli Apostoli[17]. Era in qualche modo un tempo come il nostro, in cui occorreva realizzare una società alternativa, dove i rapporti di amore fraterno contrastavano chiaramente con quelli del mondo che li circondava. Successivamente questo modello si è attuato con alterne vicende lungo i secoli nella Chiesa.

Il disegno di Dio sulla parrocchia oggi possiamo scoprirlo anche attraverso i documenti ecclesiali recenti. Si può sintetizzare nella cifra: Chiesa-comunione[18]. Molto significativo un pensiero di Giovanni Paolo II: «Dio è comunione perché è amore, ed essendo amore non può non essere comunione. Noi portiamo nelle nostre radici questa realtà di Dio che è “comunione” (…). Così nasce la Chiesa (…). Così nasce anche la Chiesa in ogni parrocchia. La Chiesa in ogni parrocchia ha in sé questo Mistero di Dio che è “comunione” (…) perché è Amore”»[19]. Similmente Benedetto XVI afferma: «La prima e più importante esigenza è che la parrocchia costituisca una “comunità ecclesiale” e una “famiglia ecclesiale”»[20]. È questo il volto di comunità parrocchiale che Dio vuole: «una fraternità animata dallo spirito dell’unità»[21], «una casa di famiglia fraterna ed accogliente»[22].

Occorse tutto un percorso storico per superare una visione dellaparrocchia che la riduce troppo a comunità di culto, dove si celebra la Messa, si amministrano i sacramenti e si svolgono i funerali, mentrerimane in secondo piano l’aspetto essenziale della koinonia, dell’essere comunità viva del Popolo di Dio.

Oggi urge formare persone coscienti che l’elemento distintivo della Chiesa è l’amore fraterno in Cristo, persone animate da una spiritualità di comunione e impegnate a far sì che la parrocchia sia sempre più vera famiglia di Dio. In questa direzione si stanno muovendo sempre più comunità, anche per l’influsso dei nuovi Movimenti.

 

Il contributo offerto

dalla spiritualità dell’unità

 

GEN’S:A questo proposito, quale il contributo che il carisma dell’unità può dare alla edificazione della comunità parrocchiale? C’è qualcosa di specifico che il Movimento dei focolari può offrire?

 

Adolfo Raggio: Certamente. Anche per la mia vita di sacerdote l’incontro con la spiritualità dell’unità ha portato un contributo, un approfondimento di tanti aspetti. Adesso però dovrei cercare di esprimere cos’è questo contributo per la vita della parrocchia.

Innanzi tutto – e questa è la premessa di quanto potrò dire dopo – il carisma dell’unità focalizza, dà un senso in qualche misura nuovo a tre elementi chiave della vita della comunità: la Parola, l’Eucaristia e il rapporto fraterno. Chiara, a questo proposito, parla di “tre comunioni”.

Partiamo dalla comunione con la Parola. Quando ho incontrato i focolarini sono rimasto colpito dalle loro esperienze di Vangelo vissuto nel quotidiano. Ho cominciato anch’io a mettere in pratica la Parola.

Facendo tesoro di quest’esperienza, ormai in numerose parrocchie si fanno incontri della Parola di Vita. Un momento essenziale è iniziare questi incontri puntando prima di tutto a suscitare rapporti di amore reciproco in modo che Gesù, Parola viva, si renda presente. Poi non ci si limita a leggere e meditare la Parola, ma si raccontano le esperienze fatte vivendola.

 

GEN’S: Bisogna dire che effettivamente il carisma dell’unità è stato un grande stimolo a questo riguardo. Ma c’è anche l’Eucaristia…

 

Adolfo Raggio: Sappiamo che la comunità trova la pienezza dell’unità nell’Eucaristia come culmine e come radice. Gesù infatti ha chiesto al Padre l’unità fra i suoi dopo averci lasciato l’Eucaristia che ne è il fondamento. È l’Eucaristia che ci fa uno: siamo uno fra noi a mo’ del Padre e del Figlio nello Spirito, quindi una cosa sola, per l’Eucaristia[23].

            Ma perché quest’unità si possa manifestare, occorre far la parte nostra. È tipico del Movimento, a questo riguardo, fare il “patto dell’amore scambievole” cercando di essere pronti a dare la vita gli uni per gli altri. Quando nella comunità regna questo rapporto, l’Eucaristia manifesta pienamente il suo effetto: ci fa “uno” e la comunità mostra di essere, in modo misterioso ma vero, Gesù, il suo Corpo mistico vivo.

Ciò si avverte in un modo particolare quando una comunità così concorde è riunita nell’assemblea domenicale. Persone che normalmente non frequentano la Chiesa, partecipando casualmente a qualcuna di queste celebrazioni, colpite dal clima fraterno ed evangelico incontrato che trovano, sovente si esprimono, anche pubblicamente, con frasi come queste: «Qui ho trovato Dio»; «ho sentito di dovermi convertire»; «mi sono trovato a casa».

 

GEN’S: Bastano anche solo due persone che vivono in questo modo l’Eucaristia e si alza il tono dell’insieme. Quindi non bisogna pensare: «Da noi non è possibile!». C’è però una terza “comunione”: il rapporto fraterno.

 

Adolfo Raggio: Inseminario, ho imparato a vedere Gesù nell’Eucaristia: andavo in chiesa e gli parlavo. Ma posso dire che non ho mai pensato che il compagno seduto vicino a me era Gesù. Certo, eravamo prima del Concilio Vaticano II.

L’incontro con i focolarini mi ha aperto gli occhi per questo: vedere Gesù in tutti. Ciò ha cambiato tutti i rapporti. Quando questa visione di fede, «l’avete fatto a me», anima le persone di una comunità, l’atmosfera cambia.

È quanto si propongono di fare i membri del Movimento impegnati in parrocchia: «Cerchiamo di far circolare l’amore nella comunità parrocchiale – racconta uno di loro –  accogliendo le persone all’arrivo in chiesa e salutandole al termine della celebrazione. Stiamo attenti se hanno qualche necessità, procuriamo una sedia a chi sta in piedi, o diamo il foglietto della messa a chi non ce l’ha. Sono piccoli gesti, ma cerchiamo di farli con amore e per Gesù. Creano famiglia, fanno casa, le persone si sentono amate. Ci sono persone che vengono alla nostra parrocchia proprio per il clima di accoglienza che vi incontrano».

Questa visione di fede del prossimo dà senso nuovo anche alle attività caritative e sociali. Stimola a prendersi cura in particolare dei poveri, degli anziani, dei portatori di handicap, degli emarginati di ogni tipo, degli immigrati[24], a promuovere la dignità umana nelle varie situazioni sociali, locali e non solo, unendo il più possibile gli sforzi per portare avanti, assieme alla società civile, quei valori che sono cristiani ma allo stesso pienamente umani, universali. Lo si fa riconoscendo in queste azioni un servizio a Gesù vivo nelle sue membra, e come contributo a costruire la “civiltà dell’amore” e a far avanzare il progetto di Dio sull’umanità[25].

 

 

Prendere coscienza

della presenza del Risorto

 

GEN’S: Se abbiamo capito bene, fin qui abbiamo parlato solo della “premessa”. Quali altri elementi caratteristici con cui il carisma dell’unità contribuisce alla vita della parrocchia?

 

Adolfo Raggio: Ne vorrei mettere in rilievo due. Anzitutto una attualizzazione e direi una nuova comprensione della presenza di Gesù nella comunità. E poi la scoperta di Gesù crocifisso come la chiave dell’unità.

Fin dall’inizio gli Apostoli e i primi cristiani avevano forte il senso di questa presenza e ripetevano: «Gesù è risorto! Gesù è risorto!». I Padri della Chiesa ne parlavano ampiamente perché sperimentavano questa presenza nella comunità.Successivamente la coscienza di ciò è andata svanendo. Sappiamo che fino al secolo XII era considerato corpus verum di Cristo la Chiesa mentre l’Eucaristia era considerata il corpus mysticum. Più tardi l’uso di queste due espressioni si è invertito e l’accento è stato messo sulla “presenza reale” nell’Eucaristia, intesa come corpus verum[26]. E’ restato, così, in ombra la realtà della Chiesa come Corpo di Cristo, mentre viene in rilievo piuttosto la struttura gerarchica della Chiesa. Occorre arrivare al 1943, quando Pio XII ripropone questa visione nell’enciclica Mystici Corporis. Stupisce costatare che proprio nello stesso anno lo Spirito Santo ha suscitato un carisma che aiuta a vivere la realtà del Corpo mistico, mettendo in luce la presenza di Gesù nella comunità, annunciata in Mt 18, 20.

Chiara Lubich diceva che Gesù in mezzo a noi, se lo sappiamo mettere in rilievo, ci fa sperimentare la presenza viva del Risorto. Non è solo l’unità, è il Risorto. «Non sarebbe meraviglioso – ci ha scritto nel maggio 2005[27] – suscitare una Chiesa locale così viva che si possa dire a tanti: venite e vedete? Questo può sembrare un sogno, ma può diventare anche una realtà»[28].È proprio questo che ha augurato Benedetto XVI agli animatori del Movimento parrocchiale e del Movimento diocesano, diramazioni del Movimento dei focolari, in quello stesso anno: «Siate segno di Cristo Risorto nella vostra comunità e negli ambienti di vita»[29].

È in quest’ottica e a partire di una tale esperienza che tante volte ho sentito dei parroci commentare: «Ho capito che puntare alla presenza di Gesù in mezzo nella comunità dev’essere l’obiettivo prioritario della mia azione pastorale».

            A questo punto vorrei fare una riflessione. Tanti vanno in Chiesa per ascoltare la Messa, per ricevere l’Eucaristia, per pregare, per soddisfare al precetto, perché è tradizione... Ma quanti lo fanno per ricreare quel rapporto fraterno che ci fa “Chiesa”, Ekklesia (= assemblea), che ci fa cioè essere come i primi cristiani “un cuor solo e un’anima sola”? Quanti entrano in chiesa con quella disposizione d’amore verso tutti che “attira” la presenza di Gesù Risorto in mezzo alla comunità? Quanti sono coscienti che il primo impegno, quando ci riuniamo nell’assemblea domenicale, è comporre il suo Corpo mistico vivo, prima ancora di nutrirci della sua Parola e cibarci di Lui Eucaristia, convinti che, se non circola la carità fra tutti, la comunità non testimonia la presenza di Dio in mezzo ad essa?

È un cambio di atteggiamento e di mentalità, con enormi conseguenze personali, interpersonali e strutturali, nella comunità ecclesiale e nella società.

 

Riconoscere Gesù abbandonato nelle sofferenze

 

GEN’S: C’era un altro aspetto da sottolineare: la scoperta di Gesù crocifisso come chiave dell’unità. Si può intuire quanto possa essere decisiva questo.

 

Adolfo Raggio: Non si può mai dimenticare quanto sia centrale nella spiritualità dell’unità Gesù che sulla croce grida «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato» (Mt 27, 46; Mc 15, 34), scoperta  che risale ai primissimi momenti del Movimento dei focolari e della vita nuova che è nata attorno a Chiara Lubich.

            L’aver puntato lo sguardo su quel momento abissale della passione di Gesù dà la misura vera dell’amore richiesto ai cristiani per essere germe di unità. «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Gesù sulla croce, contemplato nel momento più buio, ha dato un significato nuovo al dolore: ci fa vedere nel negativo, nelle difficoltà, nel dubbio, un incontro con lui. Quando scopriamo nelle sofferenze il suo volto e le portiamo insieme, in comunione, esse diventano più leggere, si ha la forza di affrontarle nella pace e con fede.

            Abbiamo notato che nelle parrocchie dove si cerca di vivere riconoscendo e amando questo volto di Gesù nelle prove personali, ecclesiali, sociali, si respira un senso di serenità, di fiducia. E proprio per tale atmosfera radiosa una di queste comunità parrocchiali è stata chiamata dalla gente “la comunità della gioia”.

 

Discernimento comunitario

e corresponsabilità

 

GEN’S: Per completare il quadro, occorrerebbe parlare qui anche del contributo che il Movimento dei focolari offre alle parrocchie nel campo dei vari dialoghi inaugurati dal Concilio[30] e di una sempre più piena realizzazione del profilo mariano della Chiesa. Ma a questo punto ci domandiamo piuttosto: come concretamente conoscere la volontà di Dio per la propria comunità?

 

Adolfo Raggio: Ci sono elementi oggettivi che indicano la volontà di Dio sulla parrocchia: le norme della Chiesa universale e diocesana, il contesto ecclesiale e sociale, le circostanze concrete del momento.      

            Ma vorrei accennare a due condizioni esistenziali perché il piano di Dio sulla parrocchia si renda manifesto e venga poi attuato: mettersi in ascolto della voce dello Spirito e muoversi in comunione.

            Troppo spesso si pensa di poter orientare la parrocchia soprattutto con una buona preparazione pedagogico-pastorale, con un’approfondita analisi sociologica del posto, con la propria esperienza e doti personali. Tutto questo è certamente utile ma non è l’atteggiamento fondamentale per scrivere in terra il disegno che Dio ha in Cielo per quella comunità.

            La prima condizione è essere aperti alle ispirazioni dello Spirito. Occorrono persone che hanno scelto Dio e sono alla ricerca di ciò che lui vuole da loro e per la comunità. È un atteggiamento interiore di “ascolto” dello Spirito, che suppone di far tacere altre voci, di essere pronti a mettere da parte i propri progetti, le proprie idee, i propri attaccamenti. Un atteggiamento che va coltivato nella comunità parrocchiale.

Ci scriveva recentemente un parroco: «Abbiamo sentito l’esigenza di formare le coscienze perché le persone imparino a essere attente ai segni che manifestano il piano di Dio e siano pronte ad assecondarlo. Abbiamo invitato i membri del Consiglio pastorale a partecipare a un corso dove sono state comunicate esperienze sull’ascolto della voce dello Spirito. Ora è più facile porsi in armonia alla ricerca di cosa Dio vuole per la nostra parrocchia».

            Il disegno di Dio sulla parrocchia è però un disegno comunitario e quindi va ricercato in comunione, alla luce che nasce dall’unità. Non è sufficiente la disposizione delle singole persone per scoprire e attuare il progetto di Dio sulla comunità, occorre muoversi a corpo. Viene così in rilievo una seconda condizione sostanziale perché la volontà di Dio si riveli: ricercarla insieme, in unità, in sinodalità come oggi si sottolinea[31], operando un discernimento comunitario.

             Uno stile che esige un cambio di mentalità, passare da una visione di Chiesa piramidale a quella di una Chiesa popolo di Dio. Ma soprattutto un cambiamento di rapporto fra sacerdoti e laici nell’agire quotidiano, rendendo i laici veri corresponsabili della gestione della comunità parrocchiale e non soltanto collaboratori. È in questo gioco di condivisione con gli altri sacerdoti presenti in parrocchia e con i fedeli laici che il parroco trova la grazia di portare avanti la comunità secondo il disegno di Dio. Perché allora si rende presente Gesù che illumina su cosa Dio vuole e diventa come l’altoparlante della voce interiore di ciascuno. Muoversi in comunione è perciò fondamentale per la conduzione di una comunità.

 

GEN’S:Esistono strumenti che aiutano questa ricerca comunionale della volontà di Dio?

 

Adolfo Raggio: Sono quelli indicati dal Concilio Vaticano II: le strutture di partecipazione. Fra esse occupa un posto particolare il Consiglio pastorale, che non va considerato semplicemente come un comitato per l’organizzazione del programma pastorale o una struttura di coordinamento delle diverse attività e realtà della parrocchia, ma anzitutto come una palestra di allenamento alla sinodalità e alla corresponsabilità fra sacerdoti e laici superando atteggiamenti di potere da una parte e dall’altra, con l’apporto costruttivo e distaccato di tutti. Diventa allora un luogo privilegiato dell’essere insieme Chiesa. È importante poi che tutti i suoi membri siano orientati a scoprire insieme che cosa Dio vuole in quel momento per la parrocchia, mettendosi in ascolto dello Spirito. Certamente occorre comunicarsi le diverse opinioni e proposte ma con distacco, come un dono da accogliere reciprocamente e anche da saper perdere se nell’insieme viene vista migliore una decisione diversa. In un clima di dialogo e di ascolto si è più illuminati sulle decisioni da prendere.

Purtroppo non mancano parrocchie dove i Consigli pastorali si riducono a spazi organizzativi se non addirittura luoghi di scontro delle varie opinioni anziché incontro alla ricerca della luce dello Spirito. Per ovviare a questo, in alcune parrocchie si dedica un primo momento della riunione a creare un clima di amore fraterno e di apertura all’altro, servendosi di documenti della Chiesa o di scritti spirituali che invitano alla comunione. Su questa base diventa poi più facile e anche più rapido vedere insieme e programmare attività che rimangono, che incidono e producono vita, frutto della luce che scaturisce dall’unità.

 

Cellule d’unità

a servizio della comunità

 

GEN’S: In conclusione, quale la linea da seguire per i membri del Movimento dei focolari che lavorano in parrocchia o negli organismi e strutture diocesane?

 

Adolfo Raggio: La lunga esperienza del Movimento parrocchiale e del Movimento diocesano è stata raccolta nei regolamenti ovvero nelle linee di vita di queste due diramazioni. In essi si trovano preziose indicazioni su come muoversi nelle varie espressioni della vita della parrocchia e delle diocesi, insieme a orientamenti perché si viva sempre più la comunione.

            I membri di queste diramazioni del Movimento dei focolari sono inseriti pienamente nei vari ambiti della parrocchia che sono loro affidati, o impegnati nelle diverse iniziative e attività parrocchiali, e cercano ovunque di essere “lievito di comunione”, promuovendo la collaborazione e l’unione fraterna perché la comunità parrocchiale diventi sempre più Chiesa viva, comunione in atto.

Coscienti che non possono dare agli altri quello che non hanno, fanno loro per primi un’esperienza concreta di vita di unità insieme agli altri membri del Movimento, con le esigenze e i passi che essa comporta.Nelle parrocchie in cui essi operano, formano “cellule di unità” immerse fra la gente, che per la mutua e continua carità mantengono viva la presenza di Gesù, irradiano il Vangelo e coinvolgono tanti a edificare insieme la civiltà dell’amore.

Queste cellule spesso si moltiplicano nei quartieri, nei vari settori o caseggiati, dando vita a tante piccole comunità aperte a tutti, che si radunano per approfondire e vivere la Parola, per crescere nell’unità e diffondere la linfa dell’amore nella vita della società.

 

GEN’S: Ci auguriamo che questa testimonianza possa incoraggiare a muoversi “a corpo” per scoprire cos’è la volontà di Dio nella propria parrocchia. È da tener conto però che la situazione è differente, da più punti di vista, nei vari posti, in Italia o in Germania, in Africa, in Asia o nelle Americhe...

 

Adolfo Raggio: Questo è proprio vero ed è molto importante tenerne conto. Tuttavia l’esperienza ci insegna che le idee-forza, le linee di fondo della spiritualità di comunione cui abbiamo accennato, sono – a livello di pensiero e di vita – una spinta formidabile al rinnovamento ecclesiale in tutte le culture, situazioni e latitudini. Si tratta di una prospettiva che rende la Chiesa esistenzialmente più santa, più bella e attraente, perché più una. A tutti i livelli, ivi incluse le comunità parrocchiali e le diocesi.

 

a cura della redazione

 

 

 

 

[17] Cf At 2, 42; 4, 32. Scrive E. Castellucci: «Questo quadro [la comunità descritta dagli Atti] va collocato all’interno di una dimensione ‘domestica’ della comunità, che era una forma normale nella Chiesa apostolica e in quella dei due secoli successivi» (Essere comunità cristiana oggi, in“Il Regno” 55 [2010/13] p. 416).

[18] Cf Christifideles laici 19, che ripropone la frase “L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio”, espressa del Sinodo straordinario dei vescovi svolto nel 1985, a vent’anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II.

[19] Giovanni Paolo II, Comunione e missione nella Chiesa di Roma. Discorso al clero della diocesi di Roma, in “L’Osservatore Romano” del 4 marzo1990.

[20] Ai vescovi della Conferenza episcopale della Polonia (III gruppo), in visita ad limina, Città del Vaticano, 17 dicembre 2005.

[21] Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen Gentium, 28.

[22] Giovanni Paolo II, Catechesi tradendae, 67.

[23] Cf Ch. Lubich, Scritti spirituali/IV, Città Nuova, Roma 1981, p. 46.

[24] Cf ad esempio R. Beck, “E voi tutt siete fratelli”. Pastorale con l’audacia del Vangelo in contesto multietnico, in “Gen’s” 40 (2010) pp. 40-41.

[25] Cf M. Cataldi - A. Cappella (a cura di), Una città si trasforma. Il Vangelo come fermento di fraternità, “Gen’s” 40 (2010) pp. 42-43.

[26] Cf J.M. Tillard, Chiesa di Chiese. L’ecclesiologia di comunione, Queriniana, Brescia 1989, p. 36, nota 68.

[27] Cf Messaggio riportato in questo numero della rivista.

[28] Dare visibilità al Risorto, in “Gen’s” 35 (2005) p. 109.

[29] Citato in A. Raggio, Per una parrocchia casa e scuola di comunione, in “Gen’s” 35 (2005) p. 117.

[30] Per questo aspetto cf il Quaderno Parrocchia comunità in dialogo della rivista “Gen’s” 32 (2002) pp. 97-168.

[31] Sul concetto di “sinodalità” cf l’articolo sintetico ma aggiornato e stimolante di T. Gandolfo, Sinodalità, cioè essere Chiesa, in “Città Nuova” 54 (2010/21) p. 25; per ulteriori approfondimenti, cf Associazione Teologica Italiana, Chiesa e sinodalità, Glossa, Milano 2007.