Alla ricerca di priorità

 

Chiesa nel mondo di oggi:verso dove andare?

 

di Hubertus Blaumeiser

 

Chi ama appassionatamente la Chiesa gode dei sui successi ma ne sente sulla propria pelle anche le ferite. Davanti al fatto che oggi tanti prendono le distanze e non di rado con aspre critiche denunciano i limiti di una Chiesa vista solo come istituzione, si sperimenta tutta la precarietà di argomentazioni fatte di parole. Occorre saper ascoltare, assumere e anche soffrire le difficoltà, cercare di decifrare atteggiamenti apparentemente duri sotto i quali si nasconde non di rado una sete di autenticità. E bisogna soprattutto mostrare con la vita che la Chiesa è viva, è bella. Ma, per questo, dove puntare e in che direzione andare? Riportiamo qui, mantenendone lo stile colloquiale, una conversazione che l’autore ha recentemente tenuto in vari convegni del Movimento dei focolari.

 

 

Nelle sfide, una chiamata

 

La vita della Chiesa – e delle Chiese – nel mondo di oggi è piena di sfide. Ma quando guardiamo le cose con l’occhio di Dio che è Amore e che sa trarre un bene anche dal male («tutto contribuisce al bene di coloro che amano Dio»; Rm 8, 28), ci accorgiamo che in ciascuna di queste sfide è contenuta una chiamata e una nuova opportunità: l’invito a un grande rinnovamento, una vera “riforma” della vita ecclesiale, non nel senso di rompere con il passato per fare tutt’altro, ma di portare la Chiesa a una “nuova fioritura del secolare albero” (Chiara Lubich) ovvero verso quella “nuova primavera” che hanno preconizzato gli ultimi Papi. 

I segni che Dio ci sta chiamando a questo sono molteplici. Cerchiamo di fare qualche esempio.

–          Lo scandalo degli abusi sessuali compiuti da un certo numero di sacerdoti e di persone consacrate a Dio ha provocato, soprattutto nei Paesi più colpiti, una forte perdita della credibilità della Chiesa. Assieme al dolore e alla vergogna per questi fatti e al dovere di far giustizia alle vittime, ci giunge dalla gente una precisa richiesta: non appoggiatevi su glorie passate! Noi vogliamo vedere i fatti! Occorre l’autenticità. A ben guardare, in queste voci è Dio stesso a parlarci. Occorre certamente riflettere a fondo sui criteri con cui si scelgono e si formano i futuri ministri, ma soprattutto siamo chiamati tutti a una nuova coerenza e a un nuovo impegno di santità.

–          Un'altra sfida sono i fenomeni recenti di cristianofobia, l’ondata di persecuzioni e a volte di attacchi violenti ai cristiani in varie parti del mondo. Bisogna senz’altro denunciare questi fatti e intraprendere i necessari passi anche a livello diplomatico e politico. Ma non possiamo dimenticare che in queste avversità ci raggiunge la voce di Dio: siamo chiamati oggi a un nuovo radicalismo nella sequela di Gesù, e quindi a una più profonda scelta di Dio e a una più coraggiosa testimonianza di fede e di amore. Non a caso il XX secolo è stato, come mai prima, un tempo di martiri.

–          Con l’avanzare della secolarizzazione, le Chiese cristiane sperimentano una crescente crisi di rilevanza. Per sempre più persone Dio e la Chiesa sono semplicemente insignificanti. Secondo una recente indagine in Germania, su 10 diversi ambienti sociali (milieux) la Chiesa raggiunge ormai soltanto 3. Negli altri è inesistente. Abbiamo visto qui in Europa dapprima l’esodo degli operai dalla Chiesa, è seguito quello dei giovani ed è iniziato quello delle donne. Anche in ambienti tradizionalmente cristiani, si assiste a un’impressionante calo delle vocazioni sacerdotali e religose. Nelle cattoliche Fiandre, in Belgio, ad esempio, tutte le diocesi insieme due anni fa avevano appena otto seminaristi. Di fronte a questa situazione, ci vuole un impegno tutto nuovo nella trasmissione della fede. Nel fare questo nuovo annuncio del cristianesimo, occorre però “tradurre” la verità cristiana nell’oggi e far sì che essa tocchi il vissuto delle persone, far vedere la logica della fede. Dobbiamo – osserva Benedetto XVI –«cercare di dire veramente l’essenziale come tale, ma di dirlo con parole nuove (…) tradurre il tesoro della loro fede in modo tale che esso, nel mondo secolarizzato, riesca a diventare parola per questo mondo». Ciò «potrà riuscire soltanto se gli uomini vivranno a partire da Colui che viene. Solo allora potranno anche esprimerlo. La traduzione intellettuale presuppone la traduzione esistenziale»[7].

–          La sfida della multiculturalità e multi religiosità: nel variegato contesto di oggi, la Chiesa rischia di diventare una delle molteplici agenzie che soddisfanno il diffuso bisogno del “sacro” e la ricerca di un significato per la vita, un’offerta religiosa tra tante altre. Possiamo reagire a questa situazione prendendo le difese e cercando di limitare la presenza di altre realtà religiose, come ad esempio l’Islam, nei Paesi di antica tradizione cristiana. Ma la via non sembra essere quella di voler fermare evoluzioni storiche inarrestabili. Piuttosto anche qui ci raggiunge la voce di Dio. Siamo chiamati ad approfondire e a far sperimentare sempre più lo specifico, la grande novità del cristianesimo: il Dio Uno e Trino che è Amore e Comunione, e quindi l’esistenza umana vissuta “a sua immagine”, come dono di sé e come vita nella reciprocità[8]. E siamo invitati a comunicare questa novità non imponendola ma con lo stile della testimonianza e dialogando a tutto campo.  

 

Radici lontane

 

A dire il vero, i segni che Dio sta conducendo il suo Popolo verso una nuova tappa della sua storia hanno radici lontane.

Sin dal 19° secolo, attraverso un rinnovato contatto con le fonti – la Scrittura, i Padri della Chiesa, la Liturgia – nella teologia si è iniziato a vedere la Chiesa non tanto come “istituzione” alla quale è legata la salvezza, ma come “mistero” e come “sacramento”: realtà di comunione umano-divina in cui si fa strada un modo di vivere l’esistenza umana che ha la sua origine nella vita di Dio.

Nei primi decenni del 20° secolo questa più profonda scoperta di ciò che è la Chiesa, trova espressione nel movimento biblico, nel movimento liturgico e anche in quello ecumenico, correnti di vita che rinnovano il modo di essere Chiesa e cambiano la coscienza del Popolo di Dio, tanto che Romano Guardini, grande teologo e uomo di cultura, ha potuto affermare che la Chiesa si desta nelle anime. Da mistero creduto e celebrato, essa diventa sempre più mistero vissuto.

Allo stesso tempo va avanti il rinnovamento della teologia, con grandi nomi come Yves Congar, Henri De Lubac, Karl Rahner, Hans Urs von Balthasar e altri.

Le varie correnti di rinnovamento portano a un’appassionata ricerca dell’unità dei cristiani. Nasce nel 1948 il Consiglio Ecumenico della Chiese .

In ambito cattolico, questo fermento di rinnovamento confluisce nel Concilio Vaticano II, nel quale la Chiesa, in linea con l’antica teologia della communio, ha espresso così la sua autocomprensione per questa nostra epoca: la Chiesa è «in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1); è il «popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (LG 4). Il Popolo di Diio, dunque, come segno efficace d’unità, con Dio e tra gli esseri umani e, in definitiva, con tutta la creazione; unità che – secondo il Concilio – è salvifica (cf LG 9), in un certo senso sinonimo dell’espressione “salvezza”, la quale non va limitata alla “vita eterna” ma inizia già da questa terra con tutte le conseguenze per i singoli e per la società. Potremmo dire, pertanto, che la Chiesa, nella prospettiva del Concilio, è un’onda di vita e di comunione che parte dal cuore di Dio Trinità, trova concretizzazione nel Popolo di Dio come luogo di rapporti nuovi, ma è destinata a pervadere e a rinnovare tutte le realtà umane.

Lungo tutto il 20° secolo, sia nella Chiesa cattolica che nelle altre Chiese, nascono numerosi Movimenti ecclesiali e Nuove Comunità che, come tutti i carismi attraverso la storia, portano da un lato un ritorno all’autenticità e alla radicalità dei primi tempi del cristianesimo – tanto che l’allora Card. Ratzinger nel 1998 li ha caratterizzati come un elemento della successione apostolica della Chiesa[9] – e dall’altro sono un dono speciale per tradurre la fede in vita per l’oggi.

Giovanni Paolo II, facendo nella Novo millennio ineunte il punto della situazione, nell’espressione forse più citata di questo suo prgoramma per il terzo millennio, si esprime così: «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo» (n. 43).

Benedetto XVI, sin dall’inizio del suo pontificato, sottolinea un aspetto complementare e fondante: urge riportare Dio all’umanità di oggi. La Chiesa si deve concentrare tutta su questo: dare Dio, testimoniare Dio.

 

A che punto siamo?

 

A quasi 50 anni dal Concilio e dall’inizio dei grandi dialoghi fra le Chiese cristiane, oggi sembra che viviamo un tempo di stanchezza e di disillusione.

Il cammino ecumenico per l’unità fra le Chiese ha incontrato in questi ultimi anni tante difficoltà e appare fortemente rallentato.

La distanza fra le Chiese e il mondo di oggi pare sempre più aumentare, tanto che i credenti, avvertendo lo scoraggiante divario, possono essere tentati a chiudersi in se stessi e ritirarsi nella sfera del privato e del sacro, mentre il mondo va per tutt’altre strade. Avanza così la rottura tra il Vangelo e la cultura che secondo Paolo VI è il dramma della nostra epoca[10].

All’interno della Chiesa cattolica cresce, giustamente, l’istanza di mantener fede alla propria identità e di vivere saldamente radicati in Dio e nel suo mistero. Quello che si rivela invece difficile è tradurre la realtà di Dio che è Amore in comunione nel quotidiano. A mezzo secolo dal Concilio, con la sua bella visione della Chiesa-comunione, la parola “comunione” in molti posti sembra essersi progressivamente svuotata, come una moneta che è andata svalutandosi, tanto che quasi non è più possibile far acquisti con essa.

Il Concilio aveva parlato della Chiesa come Popolo di Dio dotato dei più vari doni (cf. LG 4 e 12), nel quale i presbiteri, con il loro specifico e indispensabile ministero, vivono tuttavia tra i laici come fratelli tra i fratelli, concorrendo con loro nel comune compito di edificare il Corpo di Cristo (cf. LG 32 e 37; PO 9). Nella realtà, però, è tuttora arduo che si realizzi, nella distinzione dei rispettivi compiti, una vera corresponsabilità e una vera fraternità fra presbiteri e laici.

Similmente, non è facile neppure la comunione fra gli stessi presbiteri e coi loro Vescovi,  per non parlare della collaborazione fra parrocchie confinanti o diocesi di diverse parti del mondo.

Anche l’interazione tra i Movimenti ecclesiali, gli antichi carismi e le strutture territoriali della Chiesa (diocesi, parrocchie) è ancora un grande compito che abbiamo davanti a noi.

Senza ignorare tutto il positivo che c’è, davanti a queste difficoltà si impone una riflessione: se l’essenza della vita della Chiesa è l’essere comunione, se la sua missione caratteristica è quella di far dilagare nel mondo rapporti d’unità che trovano nella SS. Trinità il loro impareggiabile modello e il loro spazio vitale, noi non possiamo venir meno a questo compito, concentrando i nostri sforzi su altre realizzazioni pur importanti della Chiesa come la liturgia (che va giustamente riscoperta nella sua dimensione più autentica), la catechesi, l’impegno sociale, e così via.

Sta lì gran parte del travaglio che oggi sperimentiamo come Chiesa: Dio chiama il suo Popolo a un modo nuovo di vivere, ma noi facciamo ancora tanta fatica a scoprire e realizzare questo nuovo modo e questo forse perché non è sufficientemente chiara la via, il know how, la chiave.

 

Il profilo mariano della Chiesa

 

Cerchiamo di leggere ancora più in profondità la situazione in cui ci troviamo.

A ben guardare, le sfide di cui abbiamo parlato e la chiamata di Dio che ne deriva, hanno in qualche modo tutte a che fare con quello che Hans Urs von Balthasar e Giovanni Paolo II, e con loro anche Benedetto XVI, hanno chiamato il “profilo mariano” ovvero la dimensione mariana della Chiesa che è complementare al suo profilo petrino.

Mettiamo a fuoco innanzi tutto la dimensione petrina che riguarda l’aspetto sacramentale e ministeriale della Chiesa.

Dopo la Pentecoste, la nascente Comunità cristiana era conscia di poggiare su tre pilastri fondamentali: 1) l’annuncio e la vita della Parola; 2) il Battesimo e l’Eucaristia; 3) il ministero apostolico al quale erano affidati la Parola e i sacramenti e il servizio all’unità della Comunità (cf At 2, 42). Attraverso questi tre strumenti, coi quali concorrono anche i Carismi[11], Cristo, infatti, genera e rigenera costantemente la Chiesa. E questa è una vera grazia: non siamo noi a “fare” la Chiesa. È Dio, è il Risorto con il suo Spirito.

Ma sin dall’inizio era chiaro che l’azione di Dio richiede la risposta umana, ed è qui appunto che entra in gioco la dimensione mariana della Chiesa che trova il suo modello nella risposta di Maria, nel suo sì, il suo “fiat” all’iniziativa di Dio. Con questa risposta la Parola si fa carne in noi, così come il Verbo si è fatto carne nel seno di Maria. Con questa risposta l’Eucaristia può fare di noi a tutti gli effetti il Corpo di Cristo, cioè il luogo in cui si può “vedere” e in certo senso toccare con mano la presenza viva di Cristo e sperimentare i doni dello Spirito.

È questa appunto la nostra chiamata: far vedere Gesù, essere – secondo l’espressione con cui  Dietrich Bonhoeffer ha descritto l’essere della Chiesa – “Cristo esistente come comunità”[12]. O per dirlo con un’espressione di Chiara Lubich: essere, in mezzo all’umanità, “Expo di Dio”. Potremmo dire anche “grembo di Dio”: luogo dove le persone vengono plasmate secondo la vita della SS. Trinità.

Perché questo avvenga, non basta la sola dimensione petrina ovvero sacramentale-ministeriale della Chiesa, ma occorre quella mariana. Occorre la risposta della nostra vita.

È interessante notare che questa risposta, nella vita di Maria, e anche nella nostra, ha una gradualità. Inizia con l’annunciazione, con la sua adesione al disegno di Dio, cioè con la fede – «Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1, 38) –; cresce poi nella carità, nel servizio al prossimo (cf la visita a Elisabetta; Lc 1, 39); fino ad arrivare ai piedi della croce, dove a Maria è richiesto da Gesù un nuovo e più radicale “sì”: perdere Lui, suo Figlio Dio, per accogliere Giovanni e in lui tutta l’umanità – «Donna, ecco tuo figlio!» (Gv 19, 27).

È questo l’amore nella sua piena maturità ecclesiale, dove ognuno è chiamato a “perdere Dio per Dio”, a spostare cioè tutto il suo per fare spazio a Dio nell’altro o – per dirlo con le parole di Giovanni Paolo II ancora nella Novo millennio ineunte – per «sentire il fratello di fede nell'unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”» (n. 43).

Era questa, in realtà la regola della comunità quando Paolo, con il ben noto Inno cristologico, esortava i Filippesi: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio essere come Dio; ma svuotò se stesso (heautón ekénosen), assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2, 5-7).

Nella misura in cui la risposta nostra alla Parola di Dio e all’Eucaristia arriva fino a questo punto, la vita di Gesù – che in croce ha donato se stesso fino a sperimentare l’abbandono del Padre – inizia a circolare in pienezza in noi e fra noi, e diventa visibile con evidenza quella che è la realtà profonda della Chiesa: Gesù. Come Maria la Chiesa offre allora al mondo Dio non solo nell’annuncio della Parola e attraverso i sacramenti, ma vitalmente, rendendo presente e storicamente efficace il suo essere Dono, Amore, Relazione, Comunione[13].

Dare al mondo Dio, Gesù che prende corpo in noi e fra noi, Gesù in mezzo alle persone (cf Mt 18, 20) come fonte di vita e di rapporti nuovi: questa è la piena risposta all’iniziativa di Dio, la piena realizzazione della Chiesa. E si rivela sempre più, per la Chiesa di oggi, come la priorità delle priorità. Se è vero, infatti, che il mondo attuale rifiuta la Chiesa istituzione, l’umanità di oggi sembra avere «una fame struggente della Chiesa mariana» (Christian Hennecke) ovvero della Chiesa come comunione trinitaria, così come veniva vista già nel 13° secolo da San Bonaventura: «Ecclesia enim mutuo se diligens est – la Chiesa è l’evento dell’amore reciproco»[14].

 

Dalla «piramide» al Cenacolo

 

Non è esagerato parlare di un vero e proprio cambiamento di paradigma nel modo di vedere la Chiesa: da un modello plurisecolare che oggi non regge più, a un modello nuovo che lentamente sta emergendo.

Potremmo caratterizzare questa transizione dicendo che stiamo passando

-    da una visione prevalentemente istituzionale della Chiesa a una visione più trinitaria e comunionale;

-    dal paradigma di una Chiesa di Stato, iniziata nel IV secolo con l’imperatore Costantino, alla Chiesa come minoranza creativa, in senso biblico: lievito nella pasta, sale della terra, luce del mondo[15];

-    da una strutturazione piuttosto verticale ovvero piramidale, che corrispondeva a una società anch’essa strutturata in quel modo, a un dinamismo circolare: il Cenacolo della Pentecoste, in cui erano presenti, con il loro specifico dono e compito, Pietro e gli Apostoli (dimensione gerarchica-ministeriale), ma anche Maria e altri testimoni – uomini e donne – della risurrezione (dimensione carismatica).

Conosciamo ciò che abbiamo alle spalle, mentre spesso solo a fatica percepiamo e riusciamo a realizzare il profilo nuovo verso il quale siamo chiamati ad andare.

 

Un’esperienza profetica

 

Se cerchiamo di leggere su questo sfondo l’esperienza del Movimento dei focolari, e specialmente delle sue “cittadelle”, possiamo ravvisare in esse, pur fra inevitabili limiti, un luogo – logicamente non l’unico – in cui Dio fa germinare e sperimentare in maniera profetica questo modo di essere Chiesa. Un vero e proprio laboratorio della Chiesa-comunione in cui persone delle più varie vocazioni e provenienze scoprono e si lasciano trasformare giorno dopo giorno dalla dinamica del Cenacolo. Un luogo dove i “molti” vengono fusi in «un cuore solo e un’anima sola» (cf At 4, 32) e allo stesso tempo imparano a parlare tutte le “lingue” (cf At 2, 6.11) cioè a esprimere quest’unica realtà nel proprio stato di vita, nelle varie culture, nei diversi ambiti della convivenza umana, dall’arte all’economia, dalla politica alla pedagogia, alle comunicazioni, ecc. E ciò in un dialogo a tutto campo, fra i cattolici, fra cristiani di diverse Chiese, fra persone di differenti religioni e culture e con persone senza un riferimento religioso.

In una parola: un esempio di Chiesa che “fa vedere Dio” e “dona Dio” nel quotidiano attraverso rapporti nuovi, improntati al dono reciproco, secondo lo stile della SS. Trinità (cf GS 24); una Chiesa che in questo modo diventa anima mundi (cf Lettera a Diogneto 6, 1), generatrice di fraternità nelle diverse espressioni della vita umana, e perciò una Chiesa genuinamente “laica” che manifesta nel quotidiano la forza divinizzante e umanizzante della vita evangelica e sacramentale.

 

Quali priorità

per l’agire della Chiesa?

 

Dovremo sempre più cercare di capirlo. Con tre semplici pennellate, certamente non esaustive, potremmo affermare che si tratta di:

1.    porgere a quanti accostiamo, in un primo momento, non tanto gli strumenti della salvezza, cioè la dimensione sacramentale e ministeriale della Chiesa, ma l’esperienza della vita comunionale trinitaria, non i mezzi, ma il frutto maturo, che poi fa apprezzare anche i mezzi;

2.    dar vita perciò in più posti possibili a quelle che si potrebbero chiamare “cellule trinitarie”: due o più persone che vivono l’amore reciproco e così rendono presente Gesù ovunque sono, vere “Chiese volanti”, come le ha denominate Chiara Lubich; minuscole comunità in cui si sperimenta come Gesù in mezzo alle persone diventa fonte di vita e di salvezza integrale. E qui non va certo dimenticato che ogni famiglia può essere una tale cellula. Non a caso, nella tradizione cristiana è chiamata “ecclesiola”, Chiesa in miniatura, Chiesa domestica.

3.    far sì che le strutture di comunione proposte dal Concilio Vaticano II, e in modo particolare il Consiglio pastorale in seno alla parrocchia e alla diocesi, siano sempre più un riflesso del Cenacolo della Pentecoste: luoghi di intensa comunione attorno al Risorto dove le varie realtà della vita ecclesiale – iniziative ed espressioni della pastorale, Movimenti e Comunità, Ordini religiosi e Associazioni – si incontrano e stabiliscono tra loro rapporti di amore reciproco, convergendo così in uno e ripartendo, ciascuna nella sua specificità, come espressione dell’insieme.

 

In conclusione

 

Se ci interroghiamo alla fine di questo percorso su che cosa è veramente importantenella nostra vita quotidiana, viene spontaneo rispondere essere “sale”, “lievito”, “luce”, vale a dire: riflesso dell’Amore trinitario, persone che convergono nell’unità, sono un corpo, un cuore solo e un’anima sola, e a partire da quest’unità si realizzano ciascuna anche nella loro unicità, come espressione dell’Uno.

Sembra questa la risposta principale alle sfide che la Chiesa vive nel mondo di oggi, e pertanto la priorità delle priorità. Ne hanno parlato, qualche tempo fa, in maniera simpatica e quanto mai eloquente, alcuni sacerdoti della Slovenia, ricorrendo a una metafora: Un parroco aveva preparato con tanta cura la festa del Corpus Christi. Pienamente soddisfatto, iniziò con grande solennità e raccoglimento la processione. Durante il tragitto, però, ripetutamente il chierichetto a fianco a lui gli tira la veste, per dirgli qualcosa: «Signor parroco, Signor parroco…». Parole che egli ogni volta mette subito a tacere. Arrivato in chiesa, pone l’ostensorio sull’altare e solo lì si accorge… che manca l’ostia!

“L’ostia” è ciò che non può mancare nelle Comunità ecclesiali: la vita di comunione e d’unità a immagine delle tre divine Persone, nella quale i nostri particolarismi vengono sempre di nuovo “macinati” come i chicchi di grano, nella speranza di diventare così sempre più presenza di Gesù, suo Corpo del quale ciascuno, anche da solo, nel propri posto, è chiamato a essere espressione unica e irripetibile.

 

 

[7]   Benedetto XVI, Luce del Mondo. Il Papa, la Chiesa, i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, LEV, Città del Vaticano 2010, 98. Cf il 26 febbraio 2009 al Clero di Roma: «Naturalmente parole grandi della tradizione – come sacrificio di espiazione, redenzione del sacrificio del Cristo, peccato originale – sono oggi come tali incomprensibili. Non possiamo semplicemente lavorare con formule grandi, vere, ma non più contestualizzate nel mondo di oggi. Dobbiamo, tramite lo studio e quanto ci dicono i maestri della teologia e la nostra esperienza personale con Dio, concretizzare, tradurre queste grandi parole, così che devono entrare nell’annuncio di Dio all’uomo nell’oggi».

[8]     Cf Benedetto XVI, Enciclica Deus caritas est e Enciclica Caritas in veritate, 54, passim.

[9]     I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica, in: J. Ratzinger (Benedetto XVI), Nuove irruzioni dello Spirito. I movimenti nella Chiesa, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006, 25-44, qui 34.

[10]    Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi, 20.

[11]    Cf. LG 4: lo Spirito «guida la Chiesa verso tutta intera la verità (cf Gv 16. 13), la unifica nella comunione e nel servizio, la provvede di diversi doni gerarchici e carismatici, coi quali la dirige, la abbellisce dei suoi frutti (cf Ef 4, 11-12; 1Cor 12, 4; Gal 5, 22)».

[12]    Sanctorum Communio, Dietrich Bonhoeffer Werke, vol. 1, München 1986, 133 (trad. ital.: Edizione critica delle opere di D. Bonhoeffer, vol. 1, Queriniana, Brescia 1994)

[13]    «La Chiesa ha il compito di rendere presente e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato, (…) sotto la guida dello Spirito Santo (…). A rivelare la presenza di Dio contribuisce moltissimo la carità fraterna dei fedeli che unanimi nello spirito lavorano insieme per la fede del Vangelo (cf Fil 1, 27) e si mostrano quale segno di unità» (GS 21).

[14]    Esamerone I, 4. Secondo Klaus Hemmerle si tratta della «più audace definizione della Chiesa» che egli abbia conosciuto (Partire dall’unità, La Trinità come stile di vita e forma di pensiero, Città Nuova, Roma 1998, 145).

[15]    Cf i frequenti richiami di Benedetto XVI in questo senso, dai quali è derivato anche il titolo di due dei suoi libri-intervista