Quale rinnovamento della parrocchia?

Non è facile trovare comunità parrocchiali traboccanti di vita, adeguate ai tempi, nelle quali le persone si sentano realizzate e cresca un’esperienza ecclesiale e sociale impregnata dal Vangelo, dove si avverta in qualche modo il fenomeno dei primi tempi del cristianesimo: «Ogni giorno si aggiungevano nuovi membri alla comunità» (cf Atti 2, 47).

Le motivazioni sono tante, variando secondo le situazioni delle diverse latitudini culturali, sociali, religiose, e non è questo il luogo di tentare un’analisi seppur minima. Nemmeno potremmo avere la pretesa di offrire, entro i limiti della nostra rivista, soluzioni in modo vasto e integrale. Tuttavia siamo persuasi, in base all’esperienza, che gli elementi offerti in questo numero costituiscano un apporto a una riflessione e una prassi capaci di rinnovare questa importante realtà ecclesiale.

Il primo testo, nella consueta rubrica “magistero” dove normalmente riportiamo brevi scritti che “intonano” tutto il numero, sorprenderà più di un lettore. È riconosciuto da tutti l’alto profilo intellettuale e culturale dell’attuale pontefice. Il brano che riportiamo però, preso da uno dei suoi dialoghi con sacerdoti di una diocesi (in questo caso quella di Albano, nei Castelli Romani) ha delle indicazioni di tipo pratico come solo un cuore grande e lucido di “pastore”, che inoltre conosce molto bene la situazione attuale della Chiesa in mezzo al mondo, può offrire. Non ci inoltriamo nella descrizione dei temi da lui accennati perché parlano da sé: possono offrire indicazioni fondamentali – si direbbe un “esame di coscienza” – ai parroci nostri lettori.

Il messaggio, che pubblichiamo immediatamente dopo, di Chiara Lubich ai membri del Movimento dei focolari impegnati in comunità parrocchiali di tutto il mondo, l’ultimo inviato prima di partire per il Cielo, costituisce una sintesi di certi aspetti del suo carisma i quali – se applicati – mostrano una enorme potenzialità innovatrice, che risponde alle esigenze più profonde dell’umanità del nostro tempo.

Le motivazioni spirituali per il rinnovamento della pastorale, nella misura in cui sono biblicamente corrette, richiamano un solido fondamento teologico. A mostrarlo riguardo alla nostra tematica è dedicato l’articolo di Hubertus Blaumeiser: la possibilità di un giusto rinnovamento delle parrocchie dipende dall’ecclesiologia che le anima. La parrocchia è uno dei più fedeli “sismografi” dello stato della Chiesa, dei modelli ecclesiologici che in essa prevalgono. Perciò è così importante che le parrocchie si lascino ispirare prioritariamente dal paradigma di una Chiesa-comunione, la quale, essendo stata – come ha affermato il Sinodo straordinario dei vescovi del 1985 – l’idea centrale del Concilio Vaticano II, contiene in sé il DNA per generare comunità “trinitarie” capaci di diventare sempre più vive e attraenti, lievito di nuova civiltà.

Le parrocchie non sono ovviamente tutta la realtà della Chiesa né esauriscono le sue possibilità pastorali. Però sono realizzazioni locali della Famiglia di Dio che coprono tutta l’estensione della Chiesa nel mondo. Per cui rinverdire la vita delle parrocchie significa in grande misura far rifiorire il cristianesimo. Lo fanno intravedere le idee-forza brevemente formulate nell’intervista a don Adolfo Raggio, per decenni responsabile delle diramazioni parrocchiale e diocesana del Movimento dei focolari.

Il numero continua con esperienze emblematiche di alcuni aspetti nodali della parrocchia oggi: le condizioni che permettono un discernimento comunitario nella ricerca del disegno di Dio; le caratteristiche comunionali che rendono efficaci e feconde le strutture di partecipazione e corresponsabilità proposte dal Vaticano II, nel nostro caso i Consigli pastorali; la necessità che le parrocchie siano pienamente inserite nel tessuto sociale e culturale in cui si trovano.

Insieme a queste, si presentano altre esperienze dove viene rilevata l’importanza dei rapporti di amore fraterno per ogni rinnovamento ecclesiale e sociale. È un aspetto che può apparire minimo a uno sguardo epidermico e poco partecipativo. Eppure l’amore agapico, di cui queste narrazioni parlano, è la vita stessa di Dio e quindi il cuore del messaggio evangelico e il significato ultimo dell’esistenza. Perciò quelle esperienze, con la loro concretezza, rendono più vivibile l’esistenza umana e più convincenti e contagiose le comunità cristiane. Si tratta non di semplicismo ma della semplicità e profondità affascinante e travolgente del Vangelo. Si tratta, come diceva un anziano sacerdote quando si è imbattuto in un tale stile di vita, di «idee semplici con effetti molteplici».

Chiara Lubich soleva ripetere che «non c’è niente di piccolo di ciò che si fa per amore». Su questa base bisogna aggiungere che l’importanza di queste esperienze la si trova non soltanto nel valore che hanno in sé, ma anche nel fatto che non si diventa capaci di amare nei grandi gesti che incidono nella storia, se non si è allenati a farlo in ogni circostanza e in tutti i momenti della vita.

Ciò fa percepire che anche le parrocchie più sperdute, magari isolate geograficamente o in mezzo a un mondo ostile, pur povere e limitate di fronte alla complessità e vastità dei problemi che affronta l’umanità, possono riconoscere vera quella realtà tanto cara al pensiero di Papa Ratzinger: «Bisogna dare ragione a Toynbee, che il destino di una società dipende sempre da minoranze creative. I cristiani credenti dovrebbero concepire se stessi come una tale minoranza creativa»[1].

E. C.



[1] Card. J. Ratzinger, Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani, in “Nuova Umanità” 27 (2005/1) n. 158, p. 96.