Anche le malattie rientrano nel disegno di Dio sull’umanità

Una storia di luce

di Eraldo Carpanese

 

«Io ho costantemente un amico dentro di me, che ha due nomi: Parkinson e Gesù. Devo chiamarlo con il nome giusto, perché se lo vedo solo come malattia la vita diventa molto difficile; se lo vedo come Gesù, la cosa è diversa». Così ci diceva – con parole che citiamo a memoria ma il concetto era quello – don Eraldo Carpanese della diocesi di Piacenza, quando gli abbiamo telefonato chiedendogli se poteva donarci una breve narrazione di questo momento della sua vita. La sua toccante esperienza può aiutarci a guardare i misteriosi ma sempre meravigliosi disegni di Dio su ogni sua creatura. Misteriosi disegni che nella comunione scopriamo quali tocchi amorosi del Divino Artista che fa di ognuno di noi un suo capolavoro.

 

Un’infanzia felice

Mi preparavo alla prima Comunione. Il parroco ci raccontava tante cose interessanti: che Dio aveva creato ogni cosa, aveva liberato un popolo dalla schiavitù…

Era il mese di maggio del 1944. La natura era splendida sulla mia montagna rivestita di fiori, di colori, di luce.

Sapendo ora che tutto era creato da Dio, dono di Dio, ogni cosa prendeva ai miei occhi una bellezza nuova.

Alla sera, coricandomi, mi fermavo a guardare dalla finestra il cielo carico di stelle e la mia fantasia si perdeva nell’immensità di Dio.

Il racconto, poi, dell’ultima Cena, della Comunione che dona l’immortalità, la vita eterna, entrò nella mia anima come un abisso di luce che esprimerei con queste parole: «Se il pane può diventare Gesù, io posso diventare Gesù, tutto può diventare Gesù…».

Tentavo di dire questi pensieri al parroco, lui però mi disse di non disturbare, di stare zitto.

Ma questa luce è rimasta dentro di me…

 

Il viaggio nella volontà di Dio!

Passarono gli anni. Un giorno, durante un incontro al Centro Mariapoli di Rocca di Papa (Roma), lo scienziato e focolarino Piero Pasolini in un suo discorso mi fece ricordare questa esperienza che avevo fatto da ragazzo.

Lui diceva pressappoco queste cose: «Se vogliamo continuare ad esistere, dobbiamo diventare insieme Gesù. Diventare questa realtà in cui, pur restando noi stessi, non siamo più noi stessi, ma questa realtà che si chiama Gesù: come l’idrogeno e l’ossigeno, pur rimanendo idrogeno e ossigeno, unendosi diventano acqua. È questo il principio fondamentale dell’evoluzione». Diventare insieme Gesù.

Come si diventa Gesù lo sappiamo (almeno in teoria, ma poi deve diventare pratica): si diventa Gesù vivendo la Parola, amandoci scambievolmente come Lui ci ha amati, facendo la volontà di Dio…

E così, per fare la divina volontà, sono andato a lavorare pastoralmente in diversi posti. Dopo una settimana che ero “missionario” a Stoccolma mi sono detto: «Ma qui non si può vivere!».

Ero solito giocare col Signore e così ho buttato in aria una monetina. Se veniva croce, dovevo restare; se veniva testa, potevo partire. Ho provato per tre volte ed è sempre venuto croce. E così sono rimasto 19 anni a Stoccolma e ho capito poi che quello che il Signore vuole è veramente la cosa migliore.

Nel 2000 il mio vescovo mi ha chiesto di trasferirmi parroco a S. Stefano d’Aveto, mio paese natio. Ho accolto con gioia l’invito. Finalmente, dopo tanti anni, ritornavo a casa. Speravo anche di trovare un po’ di riposo e già nei primi contatti con la popolazione ho sentito che poteva nascere qualcosa di bello.

Ma la volontà di Dio si è manifestata subito diversa.

 

La divina avventura si colora di rosso

Sono iniziati disturbi di salute. Da una visita neurologica mi è stata diagnosticata la malattia che ora mi accompagna giorno e notte: il morbo di Parkinson. Rigidità, tremore, disturbi di equilibrio, difficoltà a scrivere, ad alzarmi, a parlare, a pronunciare bene le parole; perdita della voce, non poter più suonare la chitarra e davanti la prospettiva di dover dipendere in tutto dagli altri.

Partendo nel viaggio della vita, Dio ci consegna un grande pacco che contiene tanti altri piccoli pacchi da aprire nei giorni della nostra esistenza. Aprendoli troviamo il pacco dell’amicizia, della gioia… E così quando uno ci dice: «Sono felice!», se anch’io ho fatto la stessa esperienza, posso capire cosa mi sta dicendo.

Tra i tanti pacchi c’è anche quello della malattia, della solitudine. Aprendo il pacco della malattia faccio l’esperienza della malattia. Una cosa è conoscere la malattia un’altra è viverla. Solo soffrendo posso capire veramente chi soffre e che cosa è il soffrire.

Tra i miei pacchi ho aperto il pacco del Parkinson: ho sentito spegnersi in me ogni “luce” e spalancarsi davanti a me come una voragine. Conoscevo questa malattia vista in altri, ma una cosa è conoscerla e un’altra viverla. La preghiera in quel momento si è fatta “silenzio di Dio e mio”.

Quando ho condiviso questo “buio” con i sacerdoti del mio focolare, ho potuto ripetere come preghiera: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Si è accesa in me una “luce nuova” che non conoscevo.

Vedo di spiegarmi con una pagina del vescovo e teologo Klaus Hemmerle.

«Una volta, durante una passeggiata,
mi parve che il sole fosse caduto nella valle.
Immergeva di luce il paesaggio
non più da sopra e da fuori,
ma come da sotto, da dentro.
Monti, strade, acque,
rosseggiavano del sole che era in loro».

La “luce” ora era entrata dentro di me. Ero luce.

Il 20 aprile 2006 don Silvano Cola – sacerdote che non finirò mai di ringraziare per l’importanza che ha avuto nella mia vita e nella vita di tanti sacerdoti del mondo – diceva in un suo discorso: «Sulla croce, l’ultima parola di Gesù è stata un grido: sentirsi abbandonato dal Padre e, malgrado ciò, con supremo atto d’amore, riabbandonarsi al Padre. Chi capisce che questa è la chiave dell’essere, dell’essere cristiano, dell’essere Gesù, capisce perché il sacerdote deve essere sacerdote-vittima per prosciugare con Lui il negativo del mondo e poter dire in sincerità con Chiara Lubich: “Ho un solo sposo sulla terra, Gesù crocifisso e abbandonato; non ho altro Dio all’infuori di Lui…”».

Sappiamo che Beethoven ha scritto la musica più bella da “sordo”.

Un giorno tornando a casa, dopo aver assistito una persona ammalata per due giorni e una notte senza dormire, mi sono addormentato in macchina e una buca nell’asfalto mi ha salvato svegliandomi e impedendo così di precipitare nel fiume. Ho capito che anche le buche (il dolore) sono importanti.

Chiara Lubich nel 1965 mi ha dato come Parola di vita: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12, 10). Solo ora inizio a capire queste parole, a comprendere che le strade del Signore non sono le nostre strade, quelle che noi pensiamo e vogliamo.

Credevo di essere importante come prete col mio lavoro. Ora intuisco che c’è qualcosa di più da accogliere per “essere” Gesù. E sono arrivato ad accettare e ad amare me stesso come membro sofferente di Cristo.

 

Nelle mani del divino scultore

In questa resa, in questo crollo della mia malattia si fa sempre più chiara questa luce: la cosa migliore è che la mia vita sia nelle mani di Dio, perché le Sue mani sono sempre le più sicure.

La Pietà di Michelangelo è una profonda preghiera. L’artista, perché nascesse quel meraviglioso capolavoro, ha dovuto togliere col suo scalpello scaglia dopo scaglia dal blocco di marmo. Noi siamo nelle mani del più grande Artista.

Fino adesso la malattia non mi ha impedito di continuare a dipingere. Ultimamente ho dipinto due quadretti dal titolo “mattutino” e “compieta”.

Nel quadretto “mattutino” ho dipinto un ragazzo che al sorgere del sole parte con un cesto pieno di doni che dovrà distribuire nella giornata, e nel quadretto “compieta” si vede il ragazzo che al chiaro di luna (segno della fine della giornata, della vita) è seduto felice accanto al cesto ormai vuoto. Aveva compiuto la sua missione.

Anni fa ho sognato di essere morto e di arrivare davanti al giudizio di Dio. E Dio mi ha detto che dovevo andare all’inferno.

Sì, non ero stato troppo bravo… ma mi pareva che proprio all’inferno…!

Mentre andavo all’inferno mi sono ricordato che quella era al momento la volontà di Dio per me e che Dio voleva il mio bene e non il male. E mi sono sentito felice!

Allora era un sogno. Oggi devo aggiungere che finalmente ho il tempo per un dialogo continuo con Gesù crocifisso e per contemplare Maria desolata in silenzio ai piedi della croce. È il mio Paradiso.

 

Eraldo Carpanese