Onnipotenza d’amore

 

«Lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12, 2). Tutta la Scrittura ci chiama a cercare la volontà di Dio, che era il “cibo” quotidiano di Gesù.

Tuttavia molteplici domande si accalcano in tanti credenti, spesso in modo non formulato, altre volte con lucidità e consapevolezza. Come conoscere chiaramente la volontà di Dio? Perché trovarla è spesso così complesso e carico di ambivalenza, e così condizionato dalle conoscenze e dalle culture di ogni epoca? Come concepire la volontà di Dio in modo tale che non sia strumentalizzata da parte di coloro che hanno potere, per sottomettere gli altri o mantenerli in stato di minorità?

E ancora. Come considerare “volontà di Dio” tutti i dolori, le tragedie, gli orrori, che costellano la storia umana? In un romanzo del premio nobel Isaac Singer, il protagonista principale si rivolge a Dio esclamando: «Per quanto tempo tacerai, onnipotente sadico?». In queste poche parole sono sintetizzati tre grandi argomenti dell’ateismo: un Dio che “tace” non manifestandosi in modo inconfondibile e inconfutabile; un Dio che se è onnipotente e non interviene non è buono e se è buono e non interviene non è onnipotente; un Dio che sembra avere necessità d’essere “pagato” e appagato dalla nostra sofferenza per elargire i suoi doni.

Il cosiddetto ateismo postulatorio afferma: «Se io esisto, Dio non può esistere, perché altrimenti io non sarei veramente libero, dovrei limitarmi a eseguire qualcosa che in realtà è già “scritto” da sempre». Dietro a questo rigetto si esprime qualcosa che la sensibilità contemporanea avverte con sempre maggiore chiarezza: l’essere umano vuole essere autenticamente libero, vero protagonista del proprio destino, non comandato come una marionetta, né manipolato né soggiogato.

Come combinare una tale legittima esigenza con il disegno di Dio, con il suo “progetto” d’amore sull’umanità? Com’è possibile far coincidere due libertà, quella divina e quella umana, in modo da salvare la realtà dell’intervento di Dio nella storia, senza però sopraffare o schiacciare la soggettività e dignità umane? Sono tutti interrogativi che hanno profondamente a che vedere con la possibilità e il modo di “fare la volontà di Dio”, evitando il più possibile ogni ingenuità pietistica.

Oggi la teologia affronta reiteratamente queste tematiche. P. Ricoeur in un’intervista offre queste due brevi ma incisive risposte: «Dio non è onnipotente?». «Il problema è che il modello di onnipotenza che abbiamo è un modello politico, quello del tiranno che può ottenere tutto ciò che vuole». «Bisogna allora rinunciare completamente all’idea di onnipotenza?». «No, ma bisogna riformularla in termini di amore. Da onni-potente Dio diventa l’“onni-amante”».

Solo in questa direzione è possibile trovare delle risposte sensate, oltre che cristianamente sapienti, a quegli interrogativi che accennavamo. Quella di Dio può essere soltanto un’onnipotenza d’Amore. E non c’è amore senza uguaglianza tra i partner. L’amore rende libero l’altro perché possa a sua volta diventare sempre più capace d’amare, accompagnandolo e sostenendolo senza sostituirsi a lui, suggerendo o proponendo con delicatezza, ma anche lasciando spazio e attendendo con pazienza la sua decisione, la sua maturazione, le sue conquiste, la sua crescita frutto di sempre nuove esperienze e comprensioni… pur con tutti i rischi e sofferenze inevitabili che ciò comporta.

Questo può far intuire il perché del non paternalismo e non interventismo di Dio, del suo non ricattarci con l’evidenza della sua Gloria, del suo “silenzio che parla”, della sua “presenza nell’assenza”: è conseguenza necessaria del suo rispetto verso di noi, del suo prendere sul serio la storia umana, senza farci violenza, senza costringerci, senza imporsi, mai. Il Dio che Gesù ci ha rivelato non può agire altrimenti: è un’esigenza del fatto che “è Amore” (1 Gv 4, 8.16).

Dio non può “volere” la nostra sofferenza, ma assumerla come necessità della nostra autonomia e possibilità di amare. Lui non “mi manda” il cancro, che è dovuto a cause genetiche, ambientali, nutritive, persino psicologiche. Eppure il mio cancro – come ogni altra realtà –, non può essere estraneo al suo Amore, dev’essere incluso nel suo disegno su di me, compreso nella sua Provvidenza. Dice infatti la Scrittura che lui ci ha scelti e pensati da sempre (cf Ef 1, 4-5). Ma non possiamo concepire la conoscenza di Dio come fatta da una successione temporale, com’è in noi; l’eternità deve necessariamente essere tutta presente a lui. Per cui nella sua “idea” di noi devono essere già tenute in conto tutte le circostanze che troveremo nella nostra vita: i fenomeni naturali, i nostri errori, le convergenze e gli eventuali incidenti frutto di coincidenze o dell’azzardo...

È soltanto in questa distinzione, in questa “distanza senza distanza” che Dio può essere “più intimo a noi di noi stessi”, che può accompagnarci e sostenerci con premura e tenerezza infinite, ispirarci, attenderci, sollevarci, confortarci, condurci. Tutta la nostra vita può diventare uno scoprire e percepire il suo Amore all’opera in noi, in ogni essere umano, in tutta la storia, anche là dove potrebbe sembrare più “mancante”.

In questo senso risulta non solo bella e coraggiosa, ma totalmente coerente con la fede cristiana, la frase di Chiara Luce Badano che, diciottenne, sulla scia di Chiara Lubich arrivava a dire di fronte alla terribile malattia incurabile e mortale che avanzava: «Lo vuoi tu, lo voglio anch’io».

Ancora un aspetto fondamentale, implicito in quanto veniamo dicendo. Proprio perché Dio è Amore è comunione… trinitaria. Ebbene: “La libertà è la Trinità”. Quest’affermazione, presa da uno scritto inedito di Chiara Lubich del ’49 apre, come tanti altri suoi insegnamenti, degli orizzonti sterminati, teoretici e pratici. Ha a che vedere non solo con la libertà in e di Dio, ma anche con il fatto che le relazioni unitrinitarie di Amore che costituiscono la Sua vita, sono il fondamento, il “modello” e la condizione di possibilità della nostra libertà.

L’esperienza mostra che una comunione dove si vive anche nei legami umani una dinamica – per quanto possibile, con la grazia di Dio – “unitrinitaria”, cioè di mutua interiorità agapica, è lo spazio privilegiato per trovare una sintonia sempre più grande con la volontà di Dio e poter far incontrare in reciproca pienezza la nostra libertà con la sua.

Nella misura in cui ciò succede, produce in noi effetti santificanti, divinizzanti, ma proprio perciò e contemporaneamente umanizzanti, sananti, liberanti. Non quindi solo a livello “spirituale”, ma antropologico, sociale, con riflessi sulle stesse strutture ecclesiali e civili che non sono altro che cristallizzazioni istituzionali dei rapporti umani.

È su questo humus culturale ed esperienziale che pensiamo acquistino tutta la loro rilevanza le riflessioni e i racconti di vita che presentiamo in questo numero della rivista, dedicato all’amore con cui vogliamo rispondere a quell’Amore di Dio, che è la Sua volontà per ognuno di noi e per tutta la famiglia umana.

 

E. C.