Senza famiglia?

di Imre KISS e Istvan KOPASZ

 

Dopo il crollo del comunismo, in Ungheria come
in altri Paesi dell’Est, si profila la sfida dell’individualismo
e non solo nella società ma anche nella Chiesa e tra i sacerdoti;
eppure ci sono segnali di cambiamento e di superamento.

 

Presentatore: Imre Kiss, Lei è vicario generale e parroco nella diocesi di Szeged-Csanád. Come è la situazione del clero in Ungheria?

Imre Kiss: Complessa. Dopo il crollo del comunismo c’è stato un grande rilancio della pastorale: coi giovani, con le famiglie, nelle scuole. Ma non eravamo abituati a lavorare insieme. Un certo individualismo quindi, mancanza di fiducia, di aiuto reciproco. E anche sovraccarico di lavoro. La rinascita degli ordini religiosi e anche lo sviluppo dei Movimenti ecclesiali hanno portato un nuovo stile, nuovi metodi, un nuovo spirito. Ma c’è anche l’influsso della società consumista. Mancano le vocazioni e non sempre sono solide. Parecchi dopo uno, due, tre anni lasciano il ministero.

 

Presentatore: István Kopasz, Lei è stato parroco e anche formatore in seminario. Come sacerdoti di mezza età, come ve la cavate in questa situazione?

István Kopasz: Per la verità, dopo alcuni anni ero molto deluso e tentato anch’io di abbandonare il ministero. Per fortuna mi sono trovato a fianco altri sacerdoti con cui è nato un rapporto profondo. Se uno di noi è in difficoltà, ci aiutiamo da veri fratelli, anche economicamente. Facciamo insieme le vacanze, in gruppi di 10-15. Non è solo riposo, ma un momento che ci porta più in Dio. Vediamo tanti nostri confratelli che passano un momento duro: nel rapporto con il vescovo, per conflitti in parrocchia o perché nasce qualche legame affettivo. Cerchiamo di essere vicini a loro e in questo modo si sono risolti tanti problemi.

 

Presentatore: Qualche iniziativa particolarmente significativa?

Imre Kiss: La domenica sera, come si sa, è un momento cruciale. Dopo esserci donati tutto il giorno, torniamo stanchi nelle nostre case parrocchiali, spesso vuote, e si sente di più la solitudine. «Far famiglia!», ha detto quindici anni fa un nostro amico sacerdote a Budapest. E ha iniziato a invitare per la cena della domenica i sacerdoti delle parrocchie vicine. Dapprima erano in quattro. Via via si sono aggiunti altri. Ormai sono una ventina e sono i parrocchiani a provvedere ai cibi. L’esempio ha fatto scuola e anche in altre città hanno incominciato a ritrovarsi. Cenano, recitano insieme i vespri, condividono esperienze gioiose e dolorose, si raccontano dove hanno sperimentato la presenza di Dio. Diversi di quei sacerdoti che erano in crisi, oggi sono contenti e anzi veri missionari.