«Martiri della fraternità» 

di Pasteur MANIRAMBONA, Ildephonse NIYONGABO e Marc BIGIRINDAVYI

 

Testimonianza di coraggio, di fraternità e di perdono,
nel seminario minore di Buta (Burundi),
che rimanda la memoria all’epoca dei martiri
e fa apprezzare la perenne vitalità del Vangelo.

 

Pasteur Manirambona: Sono entrato in seminario all’età di 13 anni. Eravamo nel 1992. Poco dopo nel nostro Paese è scoppiata la guerra civile. Hutu e tutsi si affrontavano.

Anche in seminario eravamo delle due etnie. Sentivamo cose brutte che succedevano dappertutto nel Paese ma questo non ci ha scoraggiati. Aiutati dai nostri educatori e dallo Spirito di Dio, cercavamo di vivere nell’unità e nella fraternità. Leggevamo il Vangelo e lo mettevamo in pratica. Così il Seminario minore di Buta è rimasto un piccolo paradiso.

Il 29 aprile 1997 i ribelli avanzavano verso la nostra casa. Come comportarci nel caso di un attacco? «Insieme», ci siamo detti: «Rimarremo uniti». La mattina dopo, alle 5, hanno fatto irruzione nel nostro dormitorio. Hanno cominciato a sparare senza controllo, gridando: «Gli hutu da una parte e i tutsi dall’altra!».

Abbiamo rifiutato di dividerci. Siamo rimasti insieme.

 

Ildephonse Niyongabo: Io sono stato colpito subito da una pallottola alla gamba destra. Sono finito sotto il letto. Improvvisamente una grande esplosione: avevano lanciato una granata in mezzo a noi. Sono morti di colpo più di 30 ragazzi. Hanno continuato a sparare anche tra i morti e io sono stato colpito da altre pallottole.

In mezzo a questo inferno, i miei compagni morivano, dicendo: «Dio, nostro Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Alcuni, tra cui Pasteur, si sono messi a fasciare le ferite degli altri, rischiando la morte.

Non dimenticherò mai quello che mi ha detto uno dei 40 ragazzi uccisi, Niyonkuru Protais, due minuti prima di morire: «Dobbiamo rimanere uniti!». Ancora oggi questa frase è per me come un testamento.

Sette anni dopo ho rivisto questi ribelli nella parrocchia in cui facevo esperienza pastorale. Il Signore mi ha donato la grazia di perdonare coloro che avevano sparato su di noi.

 

Marc Bigirindavyi: Quando avvenne l’attacco al seminario, io ero nell’edificio dei professori. Sono scampato dalla morte solo per miracolo.

Non ero sacerdote, ma insegnante laico. Alla fine del liceo, avevo chiesto al vescovo di ammettermi al Seminario maggiore. Ma il giorno in cui dovevo iniziare, si era scatenata in me una grande battaglia: «Questa via è troppo alta per te – mi dicevo –. Anche all’università puoi essere un buon cristiano e servire Dio».

Così ho cominciato a studiare geografia. Per fortuna, all’università ho incontrato un gruppo di cristiani impegnati. Ci aiutavamo a mettere in pratica la Parola di Dio. Ho cominciato ad andare all’Eucaristia ogni mattina.

Alla fine degli studi, il rettore mi ha chiamato al Seminario di Buta per insegnare geografia.

Ero vissuto con quei ragazzi e avevo condiviso con loro la vita del Vangelo. Vedere come sono rimasti fedeli a Dio al costo della vita mi ha cambiato. Ho ringraziato Dio per questi “martiri della fraternità” e gli ho chiesto di fare anche di me un apostolo dell’amore e dell’unità.

Quello stesso anno sono entrato nel Seminario maggiore e nel luglio 2004 sono diventato sacerdote.