«Ero straniero…»: un fenomeno epocale sempre più ampio, affrontato nella Caritas in Veritate
I poveri: protagonisti del proprio sviluppo
di Antonio Bacelar
La presente esperienza può costituire una conferma di una
reiterata affermazione della CV riguardante le persone e i popoli poveri: «La
cooperazione internazionale ha bisogno di persone che condividano il processo
di sviluppo economico e umano, mediante la solidarietà della presenza,
dell’accompagnamento, della formazione e del rispetto» (n. 47).
Quando, venti anni fa, mi è stato affidato il compito di
coordinare la pastorale universitaria nella mia diocesi di Porto (Portogallo),
mi si sono subito stagliate due priorità: creare la comunione e stabilire
rapporti autentici.
La comunione la sperimentavo subito con il vescovo che mi
diceva: «Non sappiamo cosa fare, ma insieme ce la faremo» e, successivamente,
anche con congregazioni religiose, movimenti ecclesiali, associazioni, tutti
interessati a percorrere insieme questo cammino.
L’attenzione ai rapporti in una Accademia di oltre 60.000
studenti, sparsi in tutta la città, la potevo costruire solo vivendo quanto lo
stesso vescovo mi ricordava, citando le parole di Gesù a Natanaele: «Ti ho
visto sotto il fico»: dare cioè un’attenzione personale ad ognuno.
Un fondo di solidarietà…
Assicurata l’unità con tutti coloro con cui condividevo
questa attività, ho cercato di immergermi tra gli studenti e i docenti, andando
al loro incontro nelle facoltà, nelle mense, nelle residenze… E da tanti di
questi incontri sono nate spesso numerose iniziative. Sin dall’inizio avevo ben
presente che lo sguardo di Gesù privilegia sempre i più bisognosi.
Hanno attirato la mia particolare attenzione i tanti
studenti provenienti, nella quasi totalità, dai cinque paesi africani che hanno
adottato come lingua ufficiale il portoghese. Essi beneficiavano di borse di
studio, ma la violenza dei mutamenti climatici, accademici, sociali e culturali
a cui erano esposti, e l’assenza del necessario equilibrio familiare, spesso li
portava all’insuccesso scolastico con la conseguente perdita del diritto alla
borsa. La gravità di alcune situazioni ci ha fatto capire che non potevamo
rimanere indifferenti. Nell’equipe di coordinamento ci siamo chiesti cosa fare.
Riflettendo insieme al vescovo ausiliare che ci accompagnava, ci è venuta
l’idea di creare un apposito fondo.
Ne abbiamo parlato con alcuni di questi studenti africani e
sono nate le principali linee di un regolamento ancora in vigore: ogni aiuto
viene studiato insieme allo studente bisognoso, tenendo conto sia delle sue
reali necessità (e non solo delle nostre possibilità), sia in base ad un
progetto portato avanti insieme in modo che l’interessato possa uscire al più
presto da quella situazione di precarietà. Inoltre la risposta ad ogni richiesta
non deve mai essere data da qualcuno di noi isolatamente, ma deve essere decisa
sempre collegialmente. Inoltre, a vendo come scopo la soluzione di una
situazione precaria, non si può aiutare una persona più di una volta, salvo
rare eccezioni.
… alimentato dalla Provvidenza
Ma come “alimentare” questo fondo di solidarietà? Esclusivamente con la provvidenza del Padre celeste ispirata all’evangelico
«date e vi sarà dato», «cercate prima il Regno di Dio e il resto vi sarà dato
in sovrappiù»… Non sono mancati subito i primi segni. Mi ricordo, ad esempio,
come una delle prime richieste sia stata per pagare un viaggio in Africa a
motivo di un funerale. Personalmente non mi sembrava fosse il caso, ma
essendomi consultato con gli altri, mi sono reso conto dell’importanza per la
cultura africana di questa presenza al funerale di una persona cara e abbiamo
detto di sì all’aiuto. Il giorno dopo una professoressa ci donava un’offerta:
era esattamente la somma necessaria.
Tante storie simili costellano la nostra vita di questi
anni, e non solo con gli studenti africani, perché ormai ogni studente
universitario in situazione di bisogno è candidato a questo contributo o
condivisione. Finora circa 700 casi sono stati risolti spendendo più di 200.000
euro, frutto della provvidenza!
Non solo aiuti materiali,
ma uno scambio di doni
Le difficoltà nell’accompagnare le materie di studio, ad
esempio, hanno fatto nascere un servizio in cui gli studenti più esperti
aiutano quelli più giovani in alcune materie. Siamo arrivati a più di venti ore
alla settimana e abbiamo constatato notevoli progressi non solo in quelli che
erano aiutati ma anche in quelli che aiutavano. Ho presente, fra tanti casi,
quello di una studentessa di matematica con tanti problemi di autostima che ha
ritrovato la serenità grazie al successo del suo “allievo”!
Man mano che si sono intessuti questi rapporti nuovi,
abbiamo scoperto le enormi ricchezze di culture, tradizioni, lingue, arte, che
altrimenti non avrebbero trovato possibilità di espressione. Ed è stato
spontaneo allora organizzare con loro delle feste, pasti con piatti tipici da
loro stessi preparati, mostre artistiche, momenti musicali... E pian piano gli
studenti mostravano la loro soddisfazione nel vedersi apprezzati e nel
“sentirsi a casa” con noi. La nostra convivenza era un punto di gradevole e
arricchente incontro tra le culture europee e quelle africane ed anche tra le
stesse culture africane, che spesso tra di loro non si conoscono. Questa
attenzione ha fatto scoprire sempre nuove possibilità di convivenze festose,
creando iniziative come in occasione delle feste di Natale. È stato molto
interessante vederli preparare la cena natalizia in un clima di vera famiglia.
Con la nascita e la crescita di Associazioni studentesche
per ogni paese e il bisogno di mettersi insieme nell’affrontare alcune sfide
comuni è stato spontaneo per la nostra Pastorale universitaria prendere il
posto di una piattaforma di incontro tra tutti. E così sono nate anche
iniziative di riflessione e di impegno per problematiche concrete del
continente africano come quella del debito estero, dello sviluppo, della pace.
Erano problematiche molto vive che spesso venivano affrontate con l’aiuto di
professori o di esperti in quelle materie che coinvolgevano le competenze degli
stessi studenti. Sono tutti tentativi fatti per sensibilizzare a “dare la vita
per la propria gente”, preparandoli al ritorno nei propri paesi.
Per rispettare l’opzione personale, non domandiamo mai la
loro appartenenza religiosa, ma non è stato difficile capire come la stragrande
maggioranza ha in qualche modo questo respiro o esperienza religiosa. Siamo
così venuti a contatto con fratelli musulmani, che in questo modo hanno potuto
farsi conoscere pubblicamente. Con altri cristiani di chiese non cattoliche
siamo arrivati anche a promuovere delle belle iniziative ecumeniche.
Nascono comunità
Nel 2003 alcuni studenti africani cattolici hanno espresso
il desiderio di potersi trovare una volta al mese per partecipare insieme alla
celebrazione dell’Eucaristia con canti nelle loro lingue. È nato così l’Africanto,
gruppo corale di studenti universitari africani, che dal 2004 animano
mensilmente la messa in una parrocchia della città. L’ultima domenica del mese
è diventata per tanti di loro un punto di ritrovo, spesso prolungato in un
pasto comune e in una testimonianza tanto apprezzata dai parrocchiani. Come
ogni attività ispirata al Vangelo, anche questa è segnata alle volte dal
dolore: la dispersione anche geografica di questa popolazione, la sfida di un
continuo ricominciare, la durezza di una semina che spesso sembra non dare i
frutti sperati. Sappiamo però che senza questa “moneta” trasformata in nuovo
amore verso tutti, non è possibile costruire qualcosa di positivo nell’umanità
né far crescere i valori del Regno di Dio, senza deludersi né scoraggiarsi.
Qualche mese fa mi sono trovato per un paio di settimane in
Angola. Avevo, tra gli altri impegni, l’incontro con due famiglie di
ex-studenti e con tanti altri. Ho capito ancora una volta quanto valga la pena
questo servizio di semina cercando di farlo in modo disinteressato, non per
proselitismo ma per sincero amore “agapico”. Senza che io l’avessi suggerito,
gli ex-studenti hanno dato corpo a incontri regolari, chiedendomi addirittura
che ogni tanto potessi andare a trovarli, «perché – dicevano, – nella pastorale
universitaria abbiamo trovato la casa che ora vogliamo continuare a costruire
impegnandoci a vivere più direttamente per il nostro popolo e cercando tra noi
le vie concrete per farlo».