La carità nella verità: fonte di creatività e progettualità condivisa
Valore teologale dell’impegno per la giustizia
di Renzo Beghini
Chi condivide con noi questa ricca esperienza è stato per dodici anni responsabile dell’ufficio di pastorale sociale della diocesi di Verona. Da pochi mesi si trova a Roma per un dottorato di ricerca in morale sociale.
Inizi non facili
Quando il vescovo mi ha affidato l’ufficio di pastorale
sociale della diocesi, inizialmente non sapevo bene che cosa comportasse questo
incarico. Ma lo studio della Dottrina sociale, la condivisione e il reciproco
amore evangelico con alcuni fratelli, il rapporto con cristiani che vivono la
fede come dono e responsabilità negli ambienti di lavoro, nell’impegno sociale,
sindacale e politico, mi ha aiutato e appassionato molto.
Inoltre la pubblicazione delle encicliche sociali e il
susseguirsi di riflessioni del Magistero in questi ambiti, culminate con la Caritas in veritate, non solo ha progressivamente illuminato il senso
dell’annuncio di Gesù in campo sociale e la pertinenza del discorso pubblico
della Chiesa, ma ha anche confermato e chiarito sempre più che la storia, il
lavoro, l’impegno sociopolitico, per il cristiano non sono luoghi nonostante
i quali vivere la propria fede, ma luoghi attraverso i quali diventare
santi.
Il mondo dei lavoratori
Nell’ambito del lavoro una delle fortune che ha il
cappellano è quella di entrare in azienda. Naturalmente non si tratta di
limitarsi a facili e banali esortazioni di impegno, neppure di prendere il posto
del sindacato, bensì di condividere la fede e di discernere alla luce dello
Spirito che cosa significa vivere il Vangelo in quell’ambiente. Per fortuna non
sono solo, ma per tradizione la mia diocesi ha un gruppo di preti che si occupa
di pastorale del lavoro con cui ci troviamo abbastanza regolarmente. Si
coordinano le iniziative, si fa comunione e ci si raccontano esperienze
soprattutto quelle legate ai gruppi di lavoratori che cerchiamo di suscitare
per vivere insieme il Vangelo.
Un giorno stavo tornando da un convegno con due giovani
sindacalisti cristiani che lavorano in una grossa e importante azienda
dolciaria della provincia. Sono due giovani che conosco da tempo, con cui si
cerca di vivere la spiritualità dell’unità, e insieme portiamo avanti alcuni
problemi legati al loro ambiente di lavoro. È un azienda che conta su personale
soprattutto femminile. I turni distesi su una giornata sono tre, e il periodo
di lavoro notturno soprattutto per una donna che ha figli, è impegnativo e
spesso è causa di problemi nella gestione familiare.
Sapevo di alcune difficoltà con la direzione
nell’affrontare la questione. Mi illustrano una proposta che volevano portare
avanti nella prossima assemblea sindacale e poi rivolgere alla direzione.
Assumendosi la responsabilità di verifica da parte
dell’azienda, sono riusciti a modificare l’orario di lavoro passando dai tre a
due turni lavorativi. Naturalmente hanno chiesto un po’ di coraggio a tutti i
dipendenti, ossia di mantenere la stessa quantità e qualità di produzione dei
tre turni, ma con l’indubbio vantaggio di salvaguardare i tempi delle persone.
Incontrando il proprietario dell’azienda mi confidava la soddisfazione per la
riuscita del progetto e di un clima migliorato in azienda.
È proprio vero ciò che dice la CV: «Il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’essere umano, la persona,
nella sua integrità: “L’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta
la vita economico-sociale”». I due giovani sindacalisti sono inoltre riusciti
ad inserire una ventina di disabili e «non ti dico la soddisfazione – mi
dicevano – quando vedi queste persone che con dignità si guadagnano il rispetto
e l’attenzione della direzione».
Per fare questo però mi confidavano che bisogna avere sia
un’esperienza spirituale solida, sia una comunità, una famiglia spirituale con
cui poter condividere e soffrire insieme i problemi, per riuscire a trovare una
creatività e delle proposte concrete spendibili, non solo pensate ma anche
esposte con la carità.
Nella piaga della disoccupazione
Una mattina sono stato in un’azienda di servizi pubblici
della mia città per il mio solito «giro». Vado dal direttore del personale con
cui si condivide il Vangelo e che conosco ormai molto bene. Con lui si
condivide un po’ di tutto, dall’azienda alla parrocchia, alla sua famiglia.
Mi parla di due situazioni che si sarebbero concluse con il
licenziamento (in precedenza non c’erano mai stati licenziamenti in
quell’azienda), che di fatto però non avevano motivi veri, oggettivi o come
vengono chiamate per «giusta causa». Conoscendo la loro storia mi pone di
fronte la questione familiare dei due.
Uno di loro inoltre ha fatto causa all’azienda. Abbiamo
parlato parecchio e il problema di fondo ci pareva fosse la mancanza di criteri
per la selezione, la formazione e la valutazione del personale. Legati a questi
fattori ci sono difficoltà di relazioni aziendali, una conflittualità
permanente tra competenze diverse soprattutto negli uffici. L’amministratore
generale aveva incaricato il direttore di pensare ad un corso di formazione per
tutto il personale. Con alcuni docenti universitari e formatori cristiani
decidiamo di mettere in piedi una commissione per studiare il caso e progettare
dei percorsi formativi di inserimento e avviamento.
Dopo un periodo di studio e confronto tra noi si presenta
la proposta al presidente e al direttore che è stata accolta molto bene sia per
la professionalità del percorso sia per la centralità che la persona ha nel
progetto. Dopo opportune garanzie di formazione e verifica siamo riusciti a far
rientrare il pericolo di licenziamento. Benedetto XVI nella CV afferma
che «la carità non esclude il sapere, anzi lo richiede, lo promuove e lo anima
dall’interno. Il sapere non è mai solo opera dell’intelligenza. Se vuole essere
sapienza capace di orientare l’uomo alla luce dei principi primi e dei suoi
fini ultimi, deve essere “condito” con il “sale” della carità. Il fare è cieco
senza il sapere e il sapere è sterile senza l’amore. C’è sempre bisogno di
spingersi più in là: lo richiede la carità nella verità».
Ci è sembrato che questa via di «guadagnarsi gli spazi
formativi» nel lavoro, centrato sulla persona, e quindi sulle relazioni, sul
riconoscimento delle competenze, sul patto di fiducia aziendale, fosse uno dei
possibili modi ‘nuovi’ per i cristiani di testimoniare una chiesa «esperta in
umanità».
Cominciare dal cambiamento
dentro di noi
Una sera a fine giornata lavorativa sono andato a celebrare
la messa in occasione del Natale in un’azienda di periferia. C’erano parecchie
tensioni per il cambio di proprietà che stava avvenendo in quei giorni.
L’azienda stava passando di mano ad una multinazionale francese con le logiche
preoccupazioni legate alla stabilità del lavoro. Mi sembrava importante fare
l’annuncio di un Dio appassionato dell’essere umano e che a partire da questa
esperienza della fedeltà di Dio, è possibile dare risposte diverse alle
tensioni e recriminazioni che ciascuno si porta dentro.
L’annuncio non cambia le situazioni ma cambia la vita e la
collocazione personale di fronte alle situazioni. Mi sembrava importante
sottolineare che il Natale dice la possibilità di salvare l’amore. Il giorno
dopo mi telefona un dipendente che mi fa gli auguri e mi confida che gli ha
fatto bene sentire quelle parole. Dice: «È proprio vero che le cose cambiano
non per le garanzie che ricevi dall’azienda di fronte alle paure e
preoccupazioni per il posto di lavoro, ma se cambio io. Ti accorgi allora che
la tua vita è nelle mani di Dio e mi sembra che questo sia il dono più bello
del Natale».
Formazione all’impegno politico
Un’attività particolarmente importante per l’ufficio è
anche la scuola di formazione all’impegno sociale e politico. Si tratta di un
percorso di formazione per persone che sono già impegnate o hanno intenzione di
impegnarsi in ambito politico e amministrativo. Naturalmente la scuola è
centrata sulla Dottrina sociale della Chiesa, e fin dall’inizio ha voluto
caratterizzarsi come uno spazio di incontro il più ampio possibile, sostenuta
dall’idea che l’eccedenza del bene praticabile, tipico del Vangelo e del
giudizio di Dio su noi dato in Gesù, permette e promuove condivisione e
confronto, fra percorsi politici anche molto diversi.
Quindi la scuola si presenta certamente come luogo di
comunicazione e di formazione di competenze, del sapere e del saper fare, ma
soprattutto vuole essere una rivisitazione del saper essere. Una delle
esperienza più comuni che rimbalza fra i partecipanti, infatti, è la fraternità
anche fra persone che hanno sensibilità e percorsi di partecipazione politica
diversi.
Ciò è dovuto non tanto al fatto di aver creato un luogo
asettico, fosse anche genuinamente etico, ma teorico e perciò neutrale. Ma di
aver dato l’opportunità e di aver risposto ad una domanda formativa non solo
attraverso dei contenuti, ma attraverso la «ferita» dell’altro. Ognuno dei
partecipanti infatti viene con le proprie idee, le proprie scelte e una certa
quantità di buone ragioni con cui difendere le proprie convinzioni, che
peraltro non intendiamo mettere in discussione. Come scuola chiediamo però di
sospendere per un attimo la campagna elettorale, che le armi della propaganda
vengano lasciate fuori, che non si cerchi la conferma o la difesa delle proprie
convinzioni, ma si sperimenti la fragilità dell’esporsi all’altro, del lasciarsi
interrogare, mettere in questione.
La CV direbbe così: «Il dono – e potremmo aggiungere
il bene tipicamente politico – per sua natura oltrepassa il merito e il
bisogno, la sua regola è l’eccedenza. Esso ci precede nella nostra stessa anima
quale segno della presenza di Dio in noi e della sua attesa nei nostri
confronti. La verità come l’amore, non nasce dal pensare e dal volere ma in
certo qual modo si impone all’essere umano» (n. 34). In questo senso una
formazione e un confronto politico vero, richiede che ciascuno si esponga
all’eccedenza del bene e alla «ferita» che è l’altro.
Il giudizio più appropriato sulla Scuola viene
dall’esperienza confermata da molti corsisti che una volta rientrati
nell’impegno politico attivo dicono di trovare la propria vita caratterizzata
da una maggiore disponibilità e capacità di dialogo, da una efficace competenza
nel confronto e nel raggiungere accordi condivisi.
Renzo Beghini