«Anche la politica ha bisogno di persone aperte al dono reciproco» (CV 39)
Scuole per politici «nuovi»
Intervista a Marco Fatuzzo
L’autore è responsabile diocesano della pastorale sociale. La sua esperienza mostra, tra l’altro, quanto sia vera l’affermazione della Caritas in Veritate: «L’amore di Dio ci chiama ad uscire da ciò che è limitato e non definitivo, ci dà il coraggio di operare e di proseguire nella ricerca del bene di tutti, anche se non si realizza immediatamente, anche se quello che riusciamo ad attuare, noi e le autorità politiche e gli operatori economici, è sempre meno di ciò a cui aneliamo. Dio ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune, perché Egli è il nostro Tutto, la nostra speranza più grande» (n. 78).
Ho avuto un sussulto, quando nel marzo 2007, il vescovo mi
propone di lasciare la parrocchia, per dirigere l’ufficio diocesano di
pastorale sociale. Sono prete da 36 anni, ho vissuto sempre in parrocchia, non
ho titoli di studio. Da sei anni vivo in profonda comunione con altri due
sacerdoti. Che devo fare?
I sentimenti sono contrastanti. Come posso comprendere
meglio la volontà di Dio, al di là delle paure? Mi confronto con gli altri due
sacerdoti e con quella luce che viene dall’unità e il loro incoraggiamento accetto.
Così comincia l’avventura. Ci ridiciamo insieme che la cosa più importante è
essere uomini di comunione, proprio là dove le spaccature, le contraddizioni,
le divergenze sono la normalità, magari l’aria che si respira.
E giacché la misura, la più grande lezione di cosa sia
l’amore, si trova nell’abbandono vissuto da Cristo in croce, sapendo le
difficoltà di ogni tipo che troverò non posso non ripetermi come programma di
vita per il mio impegno: «Ciò che mi fa male è mio, mio il dolore che mi sfiora
nel presente, mio tutto quello che non è bello, amabile…».
Una sfida difficile:
la politica dei partiti
La politica, ad esempio, richiama da vicino il volto di
Gesù crocifisso e abbandonato, la più alta vetta dell’amore. Come dovrebbe
essere, secondo Paolo VI, anche la politica: vetta di carità.
Inizio infatti il mio servizio pastorale nel momento in
cui, nella mia città, si stanno preparando le elezioni amministrative. Il
vescovo mi chiede, nell’immediato, di predisporre un intervento per le elezioni
e di pensare a una scuola “alta” di politica per i giovani.
Mi sento un po’ come se camminassi sulle acque del lago di
Tiberiade. Come Pietro sono andato verso Gesù, ma sotto i piedi sento un
ribollire di atteggiamenti non proprio limpidi, che cercano di tirare a destra
e a manca la comunità cristiana.
Ma mi sono impegnato a non camminare da solo, tanto meno
sull’acqua turbolenta. Mi ritrovo a stendere un documento e lo confronto una,
due, tre volte con i sacerdoti amici, con alcuni laici competenti e
cristianamente vicini. Il vescovo chiede due volte di rifare tutto. Mi trovo a
scegliere di ridare una prospettiva di speranza ai cristiani della città, che
vedo amareggiati dalle spaccature interne al mondo politico, dalla paura dei
tempi difficili.
Il vescovo approva e ogni volta che entro in una sala
parrocchiale per presentare il documento, so che non sarà facile far cogliere
come la certezza dell’Amore del Padre è motivo di un cammino sereno, capace di
dialogo e di rispetto, con tutti.
Un certo gruppo politico mi guarda con ossequiosa distanza,
l’altro (battuto nelle urne) mormora per incolpare me e il mio superiore del
fallimento elettorale. «Mio il dolore che mi sfiora nel presente».
Sconcertante, questo mondo cattolico, in cui l’appartenenza al partito è ben più
importante della fraternità battesimale.
Formare protagonisti «nuovi»
Secondo momento: la scuola di formazione alla politica.
Come elemento base si pone la condizione che nasca dall’impegno dei Movimenti
ecclesiali. Il vescovo ne è più che felice. Ma quali Movimenti? Mi accorgo ben
presto che, nonostante gli inviti trovo ancora l’ossequiosa distanza accennata,
che diventa sempre più marcata. Capisco fin troppo bene, che sono stato
politicamente etichettato. Che vi è sempre chi, anche tra i confratelli, rema
contro verso sponde diverse. Ancora una volta: cerco di “fare da ponte”,
andando oltre i dati sconfortanti, chiedendo a Gesù la luce della sua verità.
Non dimenticherò mai l’invito dei responsabili di un
partito perché parlassi in una loro assemblea, molto lontana dall’esperienza
cristiana. Ci vado serenamente, con l’unità degli amici sacerdoti, dando quanto
mi era richiesto: il senso del bene comune. E parlo della fraternità universale
che sa farsi concreta “in re sociali”.
Il giorno dopo arrivano telefonate di dissenso: con
“quelli” non si deve parlare. La solita spaccatura. Mi convinco sempre di più
quanto ha ragione Benedetto XVI, quando chiede “uomini nuovi, cristiani nuovi”
per l’impegno politico.
E intanto prende corpo la scuola di politica. A sei giorni
dall’inizio vi sono iscritti appena nove giovani! Chiedo al vescovo che fare: i
costi, le persone coinvolte nella docenza… mi pare convenga rinviare. Il
vescovo mi invita a continuare.
Credo alla “grazia di stato” del vescovo e continuo avanti
sulla fede, in comunione con lui. Dopo una settimana si parte… con
centodiciotto tra ragazzi e ragazze, con la presenza anche di immigrati.
Fondamentale è il gruppo di giovani collaboratori con i
quali per mesi, settimana dopo settimana, abbiamo progettato, fatto e rifatto
il cammino di questa scuola. È una piccola scuola di comunione fraterna, tra
credenti di esperienze ecclesiali diverse.
I partecipanti al corso sono ragazzi e ragazze puliti,
estremamente interessati anche nei momenti di lezioni intense. Con i
collaboratori decidiamo che fondamentale è tessere rapporti, farli sentire in
famiglia, non tanto a scuola.
Riporto due domande fatte al vescovo a conclusione del
primo anno, nel giugno scorso. Un venticinquenne, a cui è stato proposta la
candidatura a sindaco, manifesta davanti a tutti la richiesta di un cammino
serio di fede, oltre quello culturale: «Aiutateci – dice – a fare in modo che
non sia il fare politica l’ideale della vita, aiutateci a essere cristiani
perché non vorremmo diventare dei potenti». Un secondo corsista, neo laureato
in giurisprudenza: «Chiedo se è possibile, facendo politica, realizzare il
nostro battesimo, diventare santi come Gesù ci vuole».
E il vescovo, gioioso, esprime in modo intenso e
spiritualmente alto il suo essere “pastore”, con indicazioni che creano
serenità e commozione.
La scuola prosegue e i ragazzi sono costruttori di ogni
scelta che li riguarda. E non pochi adulti guardano con stupore e gioia questo
gruppo.
In tutti i risvolti della quotidianità
Credo si capisca che sto delineando i momenti emergenti
della mia attività pastorale, ma esiste la quotidianità che chiede accoglienza,
intuizioni d’amore e di sapere. Quella quotidianità che talvolta mi da
nostalgia della vita parrocchiale, ma che mi permette di fare la volontà di Dio
per strade che non avrei immaginato. Specie in questi mesi in cui la crisi
economica marchia col dolore e la necessità tanti nuclei famigliari.
Nasce anche comunione con gli amici direttori degli altri
settori pastorali: diventa normale trovarci insieme a pranzo, sentirci di più
senza baipassare nessuno, essere attenti ai compleanni o a momenti personali
sofferti. Ogni mattina li raggiungo col passaparola (una frase quotidiana per
aiutarci a vivere il Vangelo): anche in curia ci si può aiutare ad amare il
Signore.
Un’altra piccola esperienza. Devo prendere la parola in una
associazione di lavoratori cristiani di cui sono accompagnatore spirituale. La
situazione interna non è facile. Nel volgere della mattinata assembleare mi
accorgo che nessuno affronta le cose chiamandole col nome giusto. Straccio
nella tasca l’intervento che avevo pensato, prego intensamente chiedendo luce
al Padre. Quando tocca a me, prendo la parola con pacatezza, affrontando da
sacerdote i punti importanti, anche se potranno far soffrire. E termino nella
tranquillità, che non viene da me. Era quanto serviva all’associazione che
riprende il proprio cammino con fiducia.
In questo cammino sento come dono essenziale la possibilità
di confrontarmi con alcuni laici, appartenenti al Movimento dei focolari:
davvero la comunione è un contributo fondamentale affinché sia possibile «fare
la carità nella verità». È un’esperienza profonda, laboriosa, essenziale.
I cammini di Dio sono sempre nuovi e straordinari, anche
per chi lavora in curia.