Lo sviluppo integrale come esplicitazione dell’«amore sociale»
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educativa della
«Caritas in Veritate»
Di Vincenzo Zani
L’autore, sottosegretario del Pontificio Consiglio per l’Educazione Cattolica, dopo aver mostrato gli elementi di continuità e di novità presenti nell’enciclica nei riguardi della Dottrina sociale della Chiesa, e il serio dialogo che questo documento stabilisce con le scienze sociali, descrive i suoi contenuti educativi, che vanno ben al di là dei riferimenti espliciti all’educazione in quanto disciplina pedagogica.
Con la Caritas in veritate, terza enciclica di Benedetto XVI,
abbiamo un nuovo strumento per prendere coscienza, da cristiani, attraverso uno
sguardo a 360 gradi su “tutto l’uomo e su tutti gli uomini”, della realtà che
stiamo vivendo nella nostra epoca.
Benedetto XVI delinea con precisione l’intento del nuovo
documento: a oltre quarant’anni dalla Populorum progressio (26 marzo
1967), con la quale «Paolo VI ha illuminato il grande tema dello sviluppo dei
popoli con lo splendore della verità e con la luce soave della carità di Cristo
[…], intendo rendere omaggio […], riprendendo i suoi insegnamenti sullo
sviluppo umano integrale e collocandomi nel percorso da essi tracciato, per
attualizzarli nell’ora presente» (n. 8).
La finalità dell’enciclica è resa ancora più evidente se è
posta in relazione con la Deus caritas est (25 dicembre 2005) e la Spe salvi (30 novembre 2007). Infatti, anche le prime due encicliche di Papa
Ratzinger contenevano importanti elementi di teologia sociale, se non intere
sezioni dedicate esplicitamente alla dottrina sociale della Chiesa1. Perciò, i
legami che accomunano questi tre documenti2 evidenziano il tentativo coerente
di creare uno sfondo teologico al pensiero sociale cristiano.
Con il presente contributo, mi prefiggo di illustrare in
sintesi tre aspetti della Caritas in veritate: collocarla nel contesto
della dottrina sociale della Chiesa per coglierne gli elementi di continuità e
di novità; indicare la sfida che essa lancia alle scienze sociali; proporne la
lettura secondo la chiave interpretativa dell’educazione.
Nel contesto della
dottrina sociale della Chiesa
La dottrina sociale rappresenta una forma eloquente e
matura dell’impegno e della preoccupazione che la Chiesa da sempre ha avuto nei confronti della società, elaborando progressivamente – sempre
sulla base della rivelazione cristiana – un corpo di principi che abbraccia i
problemi fondamentali, quali: la dignità della persona, il ruolo della
famiglia, la funzione dello Stato, gli aspetti sociali della proprietà privata,
i principi riguardanti il lavoro, la giustizia, ecc.
Come ogni intervento del Magistero sociale, a partire dalla
Rerum novarum del 1891, ha messo a fuoco principi e contenuti,
approfondendone anche l’epistemologia, così la Caritas in veritate conferma in pieno questa regola. In essa, Benedetto XVI
ribadisce questo specifico corpus dottrinale gradualmente elaborato, ma allo
stesso tempo dischiude ulteriori prospettive.
Tra gli altri elementi di continuità, rispetto alle precedenti
encicliche sociali, riscontriamo lo stile di dialogo con cui, a partire dal
Concilio Vaticano II, la Chiesa ha affrontato l’avvento del mondo moderno,
analizzando i problemi, cogliendo le speranze e le aspirazioni della società in
evoluzione, ma anche ovviamente le sue contraddizioni, i guasti e le minacce
incombenti. Tutti i documenti pubblicati in seguito dai pontefici sono stati
influenzati dall’approccio conciliare ai problemi sociali, economici, culturali
e internazionali3. Il metodo caratterizzato da una riflessione incentrata sulla
teologia e sul ricorso all’analisi induttiva è già presente nella Populorum
progressio e viene ridefinito dalla Caritas in veritate.
E così, la prospettiva dello “sviluppo dei popoli”,
indicata dalla Populorum progressio e ripresa dalla Caritas in
veritate, diventa ora la questione dello “sviluppo integrale dell’uomo
nella carità e nella verità”. Pertanto la “questione sociale” assume una
dimensione più dilatata e la dottrina sociale si identifica con la questione
relativa al rapporto tra la Chiesa e il mondo.
Accanto a questi elementi di continuità, acquistano
rilevanza due apporti metodologici nuovi, forniti dall’enciclica: a. il luogo
teologico della fede apostolica; b. la collocazione della dottrina sociale della
Chiesa nel contesto della Tradizione.
a. Nel lungo dibattito epistemologico sulla natura della dottrina sociale della Chiesa, che ha segnato gli scorsi decenni, alcune posizioni sostenevano la necessità di affrontare le relative questioni prevalentemente secondo il metodo induttivo proprio delle scienze sociali, a partire dalla storia e dalla concretezza delle situazioni, fuori dalle quali lo stesso annuncio diventa incomprensibile.
Nella Caritas in veritate, Benedetto XVI non nega questo approccio ma allo stesso tempo riprende e sviluppa l’insegnamento da lui impartito nel Discorso alla Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano4, indicando che il punto di vista in cui porsi non sono solo le situazioni sociologicamente intese, ma analizzate alla luce della fede apostolica. Questo approccio non comporta una qualche forma di deduttivismo, ma permette di illuminare convenientemente anche le situazioni empiriche che la storia via via propone. La verità della fede apostolica entra, così, in dialogo con tutti gli altri livelli di verità, contribuendo a confermarli, nel loro ambito specifico, a purificarli e ad indirizzarli verso un loro pieno sviluppo.
La dottrina sociale della Chiesa riceve, pertanto, un chiarimento circa la propria collocazione nell’ambito del sapere. Essa sta «nel punto in cui la fede dialoga con la ragione, ove il messaggio di Cristo viene annunciato al mondo e da questo viene accolto nella misura in cui il mondo lo ri-conosce come proprio e in esso si ritrova pienamente, confermato nelle sue autentiche aspirazioni umane»5.b. Il secondo aspetto concerne la collocazione della dottrina sociale all’interno della Tradizione della Chiesa. Nella linea di quanto era già stato espresso dal Magistero precedente, Benedetto XVI rende più esplicito il concetto secondo il quale la fede in Gesù Cristo, tramandata dagli apostoli fino a noi, costituisce la Tradizione. Si tratta di un concetto sul quale il Papa ritorna spesso, come ha fatto nel suo volume su Gesù e nell’intervento a braccio durante l’ultimo Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio6.
La Tradizione non consiste in una invenzione costruita dalla prima comunità cristiana, ma è verità fondata su fatti accaduti e sulla logica della testimonianza; inoltre, essa illumina quei fatti, ne conferma il senso, lo purifica e lo sviluppa. Il Cristo della fede non contraddice né oscura il Gesù della storia. Il senso storico-letterale delle Scritture non è sufficiente; esso si rivela veramente utile se inserito dentro una lettura di ordine spirituale fondata sulla fede della Chiesa, ossia sulla Tradizione apostolica7. Pertanto la lettura dei problemi sociali condotta alla luce della Tradizione apostolica assume piena dignità conoscitiva e orientativa e rivendica pieno diritto di porsi come serio e corretto approccio di analisi e di studio dei fenomeni storici.
La conseguenza di questi due aspetti è che dalla fede cristiana trasmessa mediante la Tradizione deriva una coerenza di visione dei problemi umani e sociali, una sapienza unitaria e orientante che va mantenuta nella sua integralità, senza riduzionismi o amputazioni. In altri termini, non è possibile proiettare sullo sviluppo storico della dottrina sociale della Chiesa uno schema di lettura fatto di suddivisioni astratte o ideologiche. La Caritas in veritate chiarisce che vi è un’unica Tradizione della dottrina sociale della Chiesa, ma che allo stesso tempo essa evolve (cf. quanto detto da Benedetto XVI sulla corretta interpretazione del Concilio8).
In questa prospettiva, la Caritas in veritate va oltre la sua natura di enciclica sociale: essa intende compiere un’operazione ecclesiologica ed interpretare, in tale senso, il pontificato di Paolo VI. Papa Montini, sostiene l’enciclica, ha contribuito in modo significativo ad impostare la visione della dottrina sociale sulla scia della Gaudium et spes e della tradizione precedente, creando le basi sulle quali si è potuto inserire Giovanni Paolo II (cf nn. 11-12).
Infatti, egli ha strettamente collegato la dottrina sociale della Chiesa con l’evangelizzazione (come risulta dalla Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, dell’otto dicembre 1975) ed ha previsto l’importanza centrale che avrebbero assunto nelle problematiche sociali i temi etici, come quello legato alla procreazione (nell’enciclica Humanae vitae del 25 luglio 1968) (cf n. 15).
Una sfida per le scienze sociali
La Caritas in veritate non è un’enciclica
destinata solo al teologo, ma rappresenta un dialogo aperto con gli scienziati
sociali9. Negli ultimi vent’anni gli scambi tra la Santa Sede e gli scienziati sociali, avviati da Giovanni Paolo II, fondatore nel 1994 della
Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, sono aumentati considerevolmente e
sono stati incoraggiati anche dall’attuale Pontefice, il quale nel dialogo con
J. Habermas – decano dei teorici sociali – ha messo in luce l’impegno ad
aprirsi «alla verità, da qualunque parte essa venga» (n. 9). L’elemento di
novità che la Caritas in veritate propone è il “paradigma relazionale”, che si
pone in continuità creativa con i quattro pilastri della dottrina sociale
cristiana: dignità umana, sussidiarietà, solidarietà e bene comune.
Lo «sviluppo umano integrale» è il concetto fondamentale di
tutta l’enciclica, usato ben ventidue volte per amplificare il tradizionale
concetto di «dignità umana». Ma oggi è il significato di essere “umani” che è
cambiato; al centro di questa nuova interpretazione c’è la “relazionalità”, il
riconoscimento della nostra socialità intrinsecamente umana e delle sue
conseguenze. L’enciclica cerca di definire quali siano le condizioni per lo
«sviluppo dell’uomo nella sua interezza e di tutti gli uomini» (n. 79),
ritenendo che ciò debba basarsi su «una valutazione più profondamente critica
della categoria di relazione» (n. 53). Questa enfasi sulle relazioni umane –
cardine dell’unità globale – è sancita dal paragone diretto con la Trinità, che è «unità assoluta fino al punto in cui le tre persone divine sono pura
relazionalità» (n. 53). Ora tale concetto è ben lontano dalle altre forme di
relazionalità nell’ambito delle scienze sociali.
Per esempio, l’homo oeconomicus è un solitario
sottosocializzato che si pone la prevalente priorità di aumentare la propria
ricchezza; mentre l’homo sociologicus (più noto come l’“uomo
dell’organizzazione”) è sovra-socializzato, in quanto tutto ciò che ha gli
viene dalla società e, per questo, si rende “flessibile” nei confronti delle
circostanze sociali per potervisi adattare (quindi è un relativista). L’homo
oeconomicus è antropocentrico e l’homo sociologicus sociocentrico;
in entrambi non c’è spazio per la dimensione della trascendenza, perciò l’homo
relatus, su cui invece l’enciclica richiama l’attenzione, si distanzia da
questi due modelli.
La Caritas in veritate afferma che «una delle
più gravi forme di povertà che l’individuo possa sperimentare è l’isolamento»
(n. 53), cioè la mancanza di relazione. Per questo, essa invita a rendere sacro
ogni incontro umano mediante la “fraternità” ed estenderlo all’umanità intera,
costruendo una famiglia globale mediante l’«inclusione relazionale» (n. 54). La
relazionalità produce “beni relazionali”; essi sono indivisibili, nel senso che
qualsiasi tentativo di dividerli distruggerebbe le stesse relazioni sociali che
li genera. È in questo contesto sociale che si colloca anche l’esperienza
dell’economia di comunione. Ogni “bene relazionale” continua a esistere
solamente perché coloro che sono coinvolti vi attribuiscono importanza e
operano per sostenere le relazioni che lo generano. L’atteggiamento sociale
della “fraternità” è ciò che Giovanni Paolo II fa definito “amore sociale” (Redemptor
hominis, n. 16) e che, sufficientemente esteso, contribuisce a costruire
quella “civiltà dell’amore” verso cui indirizza anche la Caritas in veritate.
La chiave educativa
Apparentemente il tema sociale affrontato nell’enciclica
non riguarda, almeno direttamente, il problema educativo; ma se il suo oggetto
è lo «sviluppo umano integrale nella carità e nella verità», in esso sta un
rapporto stretto tra questione sociale e questione educativa10. In uno dei
pochi passi in cui si parla esplicitamente di educazione, Benedetto XVI afferma
che «con il termine “educazione” non ci si riferisce solo all’istruzione o alla
formazione al lavoro, entrambe cause importanti di sviluppo, ma alla formazione
completa della persona» (n. 61). “Formazione completa” e “sviluppo integrale”
possono essere considerati sinonimi. L’educazione ha questa finalità
fondamentale e perciò il lavoro educativo va considerato come condizione
principale per promuovere l’autentico sviluppo delle persone e dei popoli.
E l’impegno di coniugare carità e verità costituisce la via
maestra per poterlo raggiungere. Ricordando la Populorum progressio di Paolo VI, l’enciclica indica un punto chiave che fa da
filo rosso a tutto il documento: «Egli ha affermato che l’annuncio di Cristo è
il primo e principale fattore di sviluppo e ci ha lasciato la consegna di
camminare sulla strada dello sviluppo con tutto il nostro cuore e con tutta la
nostra intelligenza, vale a dire con l’ardore della carità e la sapienza della
verità» (n. 8); e ancora: «Il Vangelo è elemento fondamentale dello sviluppo,
perché in esso Cristo, rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela
anche pienamente l’uomo all’uomo» (n. 18).
La vita come vocazione
Così si può dire che la proposta educativa offerta dalla Chiesa trova nella persona di Cristo e nella concezione della vita come vocazione il suo riferimento essenziale. «Non vi è dunque umanesimo vero – afferma Paolo VI – se non aperto verso l’Assoluto, nel riconoscimento d’una vocazione, che offre l’idea vera della vita umana» (n. 16). In Cristo sta il principio di quella visione autentica dell’uomo senza la quale non si dà educazione. Per questo fin dall’inizio dell’enciclica di Benedetto XVI si afferma la via maestra di ogni compito educativo e prima ancora dell’impegno di ognuno con la propria vita: «Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui» (n. 1).
Il principio di gratuità: conoscere e amare
Il contenuto e la valenza educativa, che consistono nella coniugazione di carità e verità, scaturiscono da quello che l’enciclica chiama il «principio di gratuità» (n. 34), cioè dono di un Altro, Dio Amore e Verità. «Conoscere non è un atto solo materiale, perché il conosciuto nasconde sempre qualcosa che va al di là del dato empirico. Ogni nostra conoscenza, anche la più semplice, è sempre un piccolo prodigio, perché non si spiega mai completamente con gli strumenti materiali che adoperiamo. In ogni verità c’è più di quanto noi stessi ci saremmo aspettati, nell’amore che riceviamo c’è sempre qualcosa che ci sorprende» (n. 77). Questa uguale natura di dono di carità e verità richiede sempre la loro unione, pena la riduzione della carità a sentimento vuoto e della verità a sterile intellettualismo.
Unire verità e carità
La verità è dono perché nel rapporto fecondo tra ragione e fede apre orizzonti che da solo l’essere umano non potrebbe raggiungere ed è forza che unifica creando comunicazione e comunione tra le persone. «La verità, infatti, è “logos” che crea “dia-logos” e quindi comunicazione e comunione. La verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose» (n. 4). D’altra parte la verità è inscindibilmente legata alla carità che promuove e anima il sapere dall’interno, il quale non è mai solo opera dell’intelligenza, ma è mosso dall’amore. «Le esigenze dell’amore non contraddicono quelle della ragione. […] Non c’è l’intelligenza e poi l’amore: ci sono l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore» (n. 30).
Educazione e nuova comunità
Se il primo effetto della presenza in noi della carità
unita alla verità è lo svelamento della nostra autocoscienza, nello stesso
tempo «perché dono ricevuto da tutti, la carità nella verità è una forza che
costituisce la comunità, unifica gli uomini secondo modalità in cui non ci sono
barriere né confini. La comunità degli uomini può essere costituita da noi stessi,
ma non potrà mai con le sole sue forze essere una comunità pienamente fraterna
né essere spinta oltre ogni confine, ossia diventare una comunità veramente
universale: l’unità del genere umano, una comunione fraterna oltre ogni
divisione, nasce dalla con-vocazione della parola di Dio-Amore» (n. 34).
Compito primario di ogni vero educatore cristiano è quello
di costruire insieme agli altri educatori un luogo comunitario, attingendo al
dono dell’unità che viene dall’accoglienza della verità di Cristo, presente
sempre dove due o tre si riuniscono nel suo nome.
All’interno di una vera esperienza comunitaria, la persona
non viene mai mortificata bensì aiutata a sviluppare tutte le sue dimensioni a
partire da quella religiosa e morale. Anche lo sviluppo sociale ha bisogno di
persone capaci di coniugare carità e verità, di “allargare la ragione e
dilatare il cuore”. Non si affrontano e nemmeno si risolvono i complessi
problemi dello sviluppo personale e sociale se non si educano persone dotate di
mentalità aperta a tutte le dimensioni della realtà umana e capaci di donare
nella condivisione dei bisogni materiali e spirituali di ogni persona.
Una nuova cultura animata dal dialogo fecondo e sapiente
tra ragione e fede, e un nuovo impegno di solidarietà fraterna aperto alle
dimensioni del mondo, sono le esigenze più grandi del nostro tempo.
A. Vincenzo Zani
01) Vedi, ad esempio, il paragrafo 28 della Deus caritas est.
02) Cf G. Crepaldi, Sulla strada della carità nella verità, in Benedetto XVI, Caritas in veritate, Cantagalli, Siena 2009, pp. 9-42.
03) Cf H Carrier, Dottrina sociale. Nuovo approccio all’insegnamento sociale della Chiesa, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, pp. 57-64.
04) Cf Benedetto XVI, Discorso alla sessione inaugurale dei lavori della V Conferenza generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi (13 maggio 2007), in Insegnamenti III, 1 (2007), pp. 854-870.
05) G. Crepaldi, Sulla strada della carità nella verità, op. cit., p. 28.
06) Cf Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007; «Intervento di Benedetto XVI al Sinodo dei Vescovi», in “L’Osservatore Romano” (19 ottobre 2008), p. 1.
07) Cf Ibid., p. 29.
08) Cf Benedetto XVI, Discorso di auguri alla Curia Romana in occasione del Natale, in “L’Osservatore Romano”, 22 dicembre 2005.
09) Cf M. Archer, L’enciclica di Benedetto provoca la teoria sociale, in “Vita e Pensiero”, 5 (2009), pp. 52-56.
10) Cf L. Feré, Temi educativi nella “Caritas in veritate”, in “Cultura oggi”, 4 (2009), pp. 10-18.