Il modello trinitario: la chiave di lettura della Caritas in veritate
Comunione trinitaria e sviluppo sociale
Di Enrique Cambón
L’intento dell’autore è di mostrare l’antropologia trinitaria quale asse portante fondamentale che percorre l’enciclica, senza la cui comprensione non si riesce a cogliere l’importanza innovativa e le “rivoluzionarie” conseguenze teoriche e pratiche contenute nel documento.
Questione sociale:
questione antropologica
Quando fu pubblicata Caritas in veritate (CV)
ero in Argentina e lì ho fatto una prima lettura. Tornando in Europa l’ho letta
ancora e mi ha suscitato delle risonanze diverse: nell’America Latina mi veniva
più in rilievo l’importanza sociale dell’enciclica, mentre in Europa coglievo
maggiormente i risvolti culturali del documento. È stata un’ennesima
constatazione di quanto può cambiare la comprensione di un testo, secondo il
contesto culturale e sociale nel quale lo si legge.
Tuttavia, nell’uno e nell’altro caso, una domanda di fondo
mi ritornava: «Quanto sarà capito questo documento?». L’interrogativo mi
sorgeva riguardo a quello che mi appariva un suo asse portante, una sua chiave
fondamentale di comprensione: il suo peculiare approccio antropologico.
L’enciclica è stata ricevuta positivamente dai più svariati
ambienti, spesso apprezzando o mettendo in rilievo l’uno o l’altro dei temi
trattati, secondo la competenza o il punto di vista di chi la recepiva. Ma c’è
un aspetto sul quale concordano tutti i commentatori, anche quelli che hanno
mosso delle critiche: l’importanza dell’antropologia teologica che la sottende.
Infatti la CV afferma che «oggi la questione sociale
è diventata radicalmente questione antropologica» (n. 75). Perciò risulta
decisivo capire a quale visione antropologica si fa riferimento nel trattare le
molteplici tematiche che il documento affronta. «Nella concorrenza tra le varie
visioni dell’uomo, che vengono proposte nella società di oggi (…), la visione
cristiana ha la peculiarità di affermare e giustificare il valore
incondizionato della persona umana e il senso della sua crescita. La vocazione
cristiana allo sviluppo aiuta a perseguire la promozione di tutti gli uomini e
di tutto l’uomo» (n. 18).
Un’antropologia… «trinitaria»
Il documento non si ferma però a quest’ordine di
affermazioni – classico perché molto presente nella dottrina sociale cristiana
–, ma trova l’ultimo fondamento di ciò in una prospettiva che in qualche misura
costituisce una novità: fa riferimento ad un’antropologia chiaramente
“trinitaria”. «Il tema dello sviluppo coincide con quello dell’inclusione
relazionale di tutte le persone e di tutti i popoli nell’unica comunità della
famiglia umana (…). Questa prospettiva trova un’illuminazione decisiva nel
rapporto tra le Persone della Trinità» (n. 54).
Anzi, l’enciclica non esita ad indicare la Trinità come “modello” della vita sociale: «le relazioni tra gli uomini lungo la storia non
hanno che da trarre vantaggio dal riferimento a questo divino Modello» (Id.).
Ciò implica delle conseguenze determinanti per la storia
umana, dato che «Dio vuole associare anche noi a questa realtà di comunione:
‘perché siano come noi una cosa sola’ (Gv 17, 22)» (Id.).
Se questo può avere degli esiti ecclesiologici
fondamentali, dal momento che «di questa unità la Chiesa è segno e strumento (LG 1)» (Id.), ha di certo ricadute che possono
diventare capovolgenti, in questo senso “sovversive”1, a livello antropologico: «La rivelazione cristiana sull’unità del genere umano presuppone
un’interpretazione metafisica dell’humanum in cui la relazionalità è
elemento essenziale» (n. 55). «Un simile pensiero obbliga ad un approfondimento
critico e valoriale della categoria della relazione. (…) La creatura umana (…)
si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più
matura anche la propria identità personale» (n. 53).
Da questo tipo di affermazioni si avverte che
l’impostazione trinitaria è presente non soltanto nei passaggi dove la si
nomina esplicitamente (ad es. lì dove dice che la scaturigine della carità «è
l’amore sorgivo del Padre per il Figlio, nello Spirito Santo», n. 5), ma si
tratta piuttosto di una logica e una dinamica che in qualche misura sottostà a
tutte le risposte che il documento cerca di offrire alle grandi problematiche e
sfide che assillano l’umanità, e che si può denominare “relazionalità
unitrinitaria”.
Cosa significa
relazionalità «unitrinitaria»?
Per cogliere questa chiave ermeneutica dell’enciclica,
bisognerebbe descrivere il più ampiamente possibile che cosa significa
comunione trinitaria, quali caratteristiche fanno sì che una dinamica di
rapporti possa dirsi unitrinitaria. Qui siamo costretti a farlo attraverso
pochi cenni2, e tuttavia basilari per capire quanto sia significativa una tale
chiave per capire a fondo l’enciclica.
Il concetto cardine, la “parola magica” per nominare la
dinamica unitrinitaria che costituisce la vita di Dio è pericoresi. È un
termine greco che ha usato per la prima volta già nei primi secoli del
cristianesimo san Giovanni Damasceno, e significa che due o più realtà sono
l’una nell’altra «senza confusione e senza divisione», essendo cioè una sola
realtà pur conservando – anzi promovendo in questo modo – le rispettive
identità.
La vita divina, proprio perché «Dio è Amore» (1Gv 4,
8.16), “si apre” in unitrinitarietà, deve cioè contenere in sé, nella più
assoluta unità, contemporaneamente pluralità, relazioni reciproche, donazione
totale, accoglienza nella piena “restituzione”, la più alta unicità e
uguaglianza nella più radicale diversità. Perciò un Uno che può dire “siamo” (Gv 10, 30; 17, 21.23), nel quale cioè si trovano “tre Reali” (l’Amante, l’Amato e
l’Amore) ognuno dei quali è pienamente e “totalmente” Dio.
Questo apparente paradosso, questa fede in un Dio allo
stesso tempo Uno e Trino, costituisce «il mistero centrale della fede e della
vita cristiana»3. Anzi, si trova qui il nucleo della novità che Gesù ha portato
all’umanità4. Solo così, con tutto ciò che ne consegue teologicamente e nella
pratica, si riesce a presentare non solo un Dio più vicino al Dio vero e quindi
più divino, ma anche più adeguato alle esigenze dell’umanità di oggi.
Se le cose stanno così, bisogna riconoscere due cose. La
prima che conoscere un tale Dio non può essere una realtà complicatissima,
fatta solo per intelligenze eccezionali, ma in qualche modo alla portata di
tutti. Si comincia a trovare “il bandolo della matassa” nella comprensione
dell’unitrinità di Dio, quando s’intuisce che questa dottrina è il modo, per
certi versi inevitabilmente difficile (dato che Dio è sempre “di più” e al di
là delle nostre capacità di comprensione e di linguaggio), con cui esprimiamo
il semplice fatto che Dio è Amore!5. Nella misura in cui si penetra in questa
realtà, dispiegando in modo esperienziale e intellettuale le sue conseguenze,
il mistero diventa «non soltanto esperibile, ma anche interamente comprensibile
senza tuttavia cessare di essere un mistero»6.
Un secondo aspetto da rilevare è che oggi sempre più
correntemente si parla della Trinità come Archetipo, prototipo, “modello” dei
rapporti umani e della vita sociale in tutte le sue espressioni. Si afferma con
coerenza che la vita trinitaria dev’essere la realtà più gravida di conseguenze
per l’esistenza umana; si riconosce che in essa devono trovarsi le risposte ad
una serie di problematiche che altrimenti non avrebbero soluzione. Ma
difficilmente si trova chi spieghi cosa ciò significhi concretamente, quale sia
la novità di una tale impostazione, quali possano essere le caratteristiche
tipiche di un tale stile di vita. Una tale “lacuna” fa ancora più prezioso il
fatto che la CV scenda al concreto muovendosi in questa direzione.
Alcuni cenni
per «spiegare» l’ineffabile
La dinamica che costituisce la vita di Dio la si può
esprimere in moltissimi modi. Uno è quello usato da A. Manaranche: essa
consiste nel «dono di sé, quale unica modalità di Essere-sé»7. Dio, nel suo
eterno Amore fontale, si dona completamente (non esiste infatti amore senza
donazione) e con ciò genera “all’interno” di se stesso, senza addizione né
moltiplicazione (perciò non si parla di triade, ma di trinità, di triunità),
“un altro se stesso”; quella sorgente eterna dell’Amore è quello che da Gesù è
stato vissuto e presentato come Abba, Padre. Colui che nella vita intima di Dio
è generato ridonandosi pienamente a sua volta nel più totale ritorno e reciprocità,
è la realtà che nella rivelazione cristiana è stato chiamato Figlio/Verbo. Il
rapporto fra di essi come Amore straripante, è la realtà che conosciamo come
Spirito Santo. Ognuno dei tre non esiste senza gli altri due, ognuno dei tre è
l’unico Dio, secondo il suo modo proprio. Il monoteismo cristiano è
unitrinitario: in questo fulcro è riconosciuta oggi la frontiera più ardita ma
più feconda, non solo per la teologia, ma per la vitalità del cristianesimo e
il futuro dell’umanità.
C’è quindi vita unitrinitaria quando ciascuno è se stesso
facendo essere l’altro, quando ciascuno ama l’altro come sé nella reciprocità:
«ciascuno è sé nell’altro tanto in quanto l’altro ritorna a lui nell’amore»8.
Per dirla con K. Hemmerle, «Dio è questo e null’altro: è
Padre, Figlio e Spirito che si relazionano reciprocamente, si donano
reciprocamente e giocano l’uno con l’altro. Ed essi sono la realtà della
reciprocità del darsi: nient’altro oltre, prima, al di fuori o dopo il loro
reciproco darsi»9.
Si tratta di un rapportarsi e di un “darsi” in quell’amore
agapico che non solo costituisce la vita di Dio, ma come conseguenza il cuore
del Vangelo, con tutto il suo spessore teologico e antropologico. È questo tipo
di “darsi” che permetteva a Chiara Lubich di ripetere instancabilmente ai
giovani e a tutti: “solo ciò che si dona si ha, solo quando ci doniamo siamo”,
e di proporre, come programma spirituale e sociale: dobbiamo «realizzare
l’unità a mo’ della SS. Trinità, ossia instaurare un rapporto tra le persone in
cui la diversità è ricchezza, e l’individualità di ciascuno fiorisce
nell’apertura e nel dono all’altro»10.
Questa comunione trinitaria, in cui è innestata la
creazione, imprime quindi un suo stile tipico e inconfondibile a tutto ciò in
cui si esprime. A questa dinamica, con delle qualità e particolarità precise ma
di una ricchezza inesauribile, tutto l’universo e in modo specifico tutta la
storia dell’umanità sono chiamati a partecipare («tutti siano una sola cosa,
come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi», Gv 17,
21). È su questa convinzione che la CV può fare, come vedremo, delle
affermazioni pericoretiche chiare e audaci riguardanti i più svariati ambiti
sociali: dai rapporti intersoggettivi o fra le varie discipline scientifiche a
quelli con la natura, dal rapporto fra popoli e culture a quelli economici e
politici, e via discorrendo.
Bisogna fare un chiarimento per rispondere a una certa
perplessità o incomprensione che può suscitare l’elenco che offriremo a
continuazione. Scorrendo le varie affermazioni dell’enciclica che riporteremo,
ci si potrebbe domandare: in che senso si tratta di espressioni di
“unitrinitarietà”? L’interrogativo può essere suscitato dal fatto che, come
vedremo, in quei testi si parla semplicemente di carità, di fraternità, di
relazione fra culture rispettando l’identità dei vari soggetti, di rapporti
economici solidari che facciano diventare anche la parte più debole vera
protagonista senza paternalismi, d’interdisciplinarietà tra le varie scienze
per affrontare in modo più adeguato e integrale le varie problematiche dello
sviluppo, e così via.
Ebbene, una conquista che si sta realizzando nel
cristianesimo (e man mano, nell’umanità) di oggi, è che bisogna arrivare a
scoprire che quando si parla di ognuna di queste tematiche, ci si riferisce a
una relazione, fraternità, reciprocità, solidarietà, sussidiarietà,
interdisciplinarietà, rapporto interculturale o commerciale o fra partiti
politici… basati su un amore che “si esplicita” in unitrinità. Fondati cioè su
una carità che soltanto arriva alla sua misura massima, alla sua manifestazione
piena, più intelligente, creativa e risolutiva, quando si esprime in modo pericoretico.
Tutto va declinato
«pericoreticamente»
Ecco allora un elenco di tali affermazioni, lette da
un’ottica “unitrinitaria”, pericoretica, e che solo attraverso questa cifra è
possibile comprendere in tutta la loro portata e consequenzialità, sia
interpersonale che sociale. Ovviamente si tratta di una direzione di tendenza,
giacché nelle analisi puntuali e nelle mediazioni istituzionali e progettuali
tutto può essere perfettibile.
Come mostrano i numeri corrispondenti abbiamo preso questi
testi da tutta l’enciclica, per rilevare che si tratta effettivamente di un
messaggio che la percorre praticamente per intero (le sottolineature sono della
stessa enciclica).
– «La carità nella verità, (…) è la principale forza
propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera» (n. 1).
– «Il rischio del nostro tempo è che all’interdipendenza di
fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle
coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno
sviluppo veramente umano. (…). La condivisione dei beni e delle risorse, da cui
proviene l’autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da
mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con
il bene (Cf Rm 12, 21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle
libertà» (n. 9).
– «L’ideale cristiano di un’unica famiglia dei popoli,
solidale nella comune fraternità» (n. 13).
– «La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma
non ci rende fratelli» (n. 19).
– «Oggi le possibilità di interazione tra le culture sono
notevolmente aumentate dando spazio a nuove prospettive di dialogo
interculturale, un dialogo che, per essere efficace, deve avere come punto di
partenza l’intima consapevolezza della specifica identità dei vari
interlocutori» (n. 26).
– «Ci si impegni per far interagire i diversi livelli del
sapere umano in vista della promozione di un vero sviluppo dei popoli. (…)
Considerata la complessità dei problemi, è ovvio che le varie discipline
debbano collaborare mediante una interdisciplinarità ordinata. La carità non
esclude il sapere, anzi lo richiede, lo promuove e lo anima dall’interno. Il
sapere non è mai solo opera dell’intelligenza. Può certamente essere ridotto a
calcolo e ad esperimento, ma se vuole essere sapienza capace di orientare
l’uomo alla luce dei principi primi e dei suoi fini ultimi, deve essere “condito”
con il “sale” della carità. Il fare è cieco senza il sapere e il sapere è
sterile senza l’amore. Infatti, “colui che è animato da una vera carità è
ingegnoso nello scoprire le cause della miseria, nel trovare i mezzi per
combatterla, nel vincerla risolutamente” (PP 75). (…) ci sono l’amore
ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore. (…) la carità deve
animarle in un tutto armonico interdisciplinare, fatto di unità e di
distinzione» (nn. 30-31).
– «La novità principale è stata l’esplosione dell’interdipendenza
planetaria, ormai comunemente nota come globalizzazione. (…) Si tratta di
dilatare la ragione e di renderla capace di conoscere e di orientare queste
imponenti nuove dinamiche, animandole nella prospettiva di quella “civiltà
dell’amore” il cui seme Dio ha posto in ogni popolo, in ogni cultura» (n. 33).
– «La carità nella verità pone l’uomo davanti alla
stupefacente esperienza del dono. La gratuità è presente nella sua vita in
molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo
produttivistica e utilitaristica dell’esistenza. L’essere umano è fatto per il
dono» (n. 34).
– «La dottrina sociale della Chiesa ritiene che possano
essere vissuti rapporti autenticamente umani, di amicizia e di socialità, di
solidarietà e di reciprocità, anche all’interno dell’attività economica» (n.
36).
– «Un’economia della gratuità e della fraternità (…). Oggi
possiamo dire che la vita economica deve essere compresa come una realtà a più
dimensioni: in tutte, in diversa misura e con modalità specifiche, deve essere
presente l’aspetto della reciprocità fraterna» (n. 38).
– «L’umanità che diviene sempre più interconnessa (…). La
verità della globalizzazione come processo e il suo criterio etico fondamentale
sono dati dall’unità della famiglia umana e dal suo sviluppo nel bene. Occorre
quindi impegnarsi incessantemente per favorire un orientamento culturale
personalista e comunitario, aperto alla trascendenza, del processo di
integrazione planetaria» (n. 42).
– «Vivere ed orientare la globalizzazione dell’umanità in
termini di relazionalità, di comunione e di condivisione» (n. 42).
– «Il potenziamento delle diverse tipologie di imprese e,
in particolare, di quelle capaci di concepire il profitto come uno strumento
per raggiungere finalità di umanizzazione del mercato e delle società, deve
essere perseguito anche nei Paesi che soffrono di esclusione o di emarginazione
dai circuiti dell’economia globale, dove è molto importante procedere con
progetti di sussidiarietà opportunamente concepita e gestita che tendano a
potenziare i diritti, prevedendo però sempre anche l’assunzione di
corrispettive responsabilità. Negli interventi per lo sviluppo va fatto salvo
il principio della centralità della persona umana, la quale è il soggetto che
deve assumersi primariamente il dovere dello sviluppo. (…) I programmi di
sviluppo, per poter essere adattati alle singole situazioni, devono avere
caratteristiche di flessibilità; e le persone beneficiarie dovrebbero essere
coinvolte direttamente nella loro progettazione e rese protagoniste della loro
attuazione. (…) “Artefici del loro proprio sviluppo, i popoli ne sono i primi
responsabili. Ma non potranno realizzarlo nell’isolamento” (PP 77). (…)
Le soluzioni vanno calibrate sulla vita dei popoli e delle persone concrete, sulla
base di una valutazione prudenziale di ogni situazione. Accanto ai
macroprogetti servono i microprogetti e, soprattutto, serve la mobilitazione
fattiva di tutti i soggetti della società civile, tanto delle persone
giuridiche quanto delle persone fisiche. La cooperazione internazionale ha
bisogno di persone che condividano il processo di sviluppo economico e umano,
mediante la solidarietà della presenza, dell’accompagnamento, della formazione
e del rispetto» (n. 47).
– «Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono
sulle modalità con cui tratta se stesso e, viceversa. (…) Ogni lesione della
solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali, così come il
degrado ambientale, a sua volta, provoca insoddisfazione nelle relazioni sociali»
(n. 51).
– «Una delle più profonde povertà che l’uomo può
sperimentare è la solitudine» (n. 53).
– «La ragione trova ispirazione e orientamento nella
rivelazione cristiana, secondo la quale la comunità degli uomini non assorbe in
sé la persona annientandone l’autonomia, (…) ma la valorizza ulteriormente
perché il rapporto tra persona e comunità è di un tutto verso un altro tutto»
(n. 53).
– «L’unità della famiglia umana non annulla in sé le
persone, i popoli e le culture, ma li rende più trasparenti l’uno verso
l’altro, maggiormente uniti nelle loro legittime diversità» (n. 53).
– «Riconoscendo nella reciprocità l’intima costituzione
dell’essere umano, la sussidiarietà è l’antidoto più efficace contro ogni forma
di assistenzialismo paternalista» (n. 57).
– «La cooperazione allo sviluppo non deve riguardare la
sola dimensione economica; essa deve diventare una grande occasione di incontro
culturale e umano» (n. 59).
– «Esiste non solo “interconnessione mondiale” (n. 66), ma
“interdipendenza mondiale» (n. 67).
– «Lo sviluppo dei popoli è legato intimamente a quello
dello sviluppo di ogni singolo uomo» (n. 68).
– «Lo sviluppo della persona si degrada, se essa pretende
di essere l’unica produttrice di se stessa» (n. 68).
– «Promuovere l’incontro tra i popoli e (…) favorire lo
sviluppo partendo dall’amore e dalla comprensione reciproca» (n. 72).
– «I media possono costituire un valido aiuto per far
crescere la comunione della famiglia umana» (n. 73).
Affermazioni idealistiche?
Questo tipo di affermazioni possono apparire a qualcuno
“fideistiche”, “spiritualistiche”, piene di buone intenzioni ma senza aggancio
con la realtà e soprattutto senza quella efficacia necessaria per risolvere la
vastità e complessità dei problemi del mondo. Solo la concreta esperienza a tutti
i livelli, culturale, ambientale, tecnico, scientifico, politico, economico,
può dimostrarne la pertinenza (o almeno la plausibilità) e l’enorme rilevanza.
È questo il motivo di fondo per cui il documento è stato
considerato da diversi commentari all’enciclica non solo dono ma anche compito
per la Chiesa. Perché da una parte la dottrina sociale cristiana può diventare
sempre più ardita, sapiente e profetica nelle sue proposte, se è stimolata da
un’esperienza che la precede e sostiene11. Ma allo stesso tempo è nella
pratica, a cominciare dalle stesse comunità cristiane, dove si vedrà la
fattibilità e importanza di tali proposte per l’avvenire umano.
Perciò l’enciclica non poteva nascondersi che «l’amore
nella verità – caritas in veritate – è una grande sfida per la Chiesa» (n. 9). Prima di tutto al suo interno, perché non potrebbe proporre all’umanità ciò
che non cercasse di vivere in se stessa.
In continuità
con intuizioni precedenti
Si conoscono i nomi dei principali collaboratori
nell’estensione dell’enciclica12. Eppure non si tratta di una semplice
“assunzione” da parte di Benedetto XVI, ma di una notevole continuità nel suo
pensiero, a partire ovviamente dal teologo Ratzinger.
Basterebbe rileggere le pagine dedicate alla fede
trinitaria nella sua Introduzione al cristianesimo13, dove oltre ad
affermare che la relazionalità trinitaria contiene una «rivoluzione
dell’immagine cristiana del mondo e di Dio»14, così conclude il capitolo
dedicato alla Fede nel Dio Uno e Trino15: «La dottrina sulla Trinità non arriva
a capire il mistero, possiamo però constatare come, grazie ad essa, affiori una
nuova comprensione della realtà, un nuovo modo di comprendere chi sia l’uomo e
chi sia Dio. Proprio quando sembra si navighi nel campo della più estrema
teoria, affiora invece ciò che è più concreto; parlando di Dio si intravede chi
sia l’uomo; ciò che è più paradossale è al contempo ciò che è più chiaro e più
di aiuto»16.
Tale visione è stata reiteratamente confermata nel suo
pontificato. È rimasto storico il suo “grido” nella Giornata mondiale della
gioventù in Germania: «Solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento
decisivo del mondo»17. Ma proprio perché si tratta di un Dio che è Amore, più
volte il Papa ritorna, concretamente, non solo sulle conseguenze ecclesiali18,
ma anche su quelle sociali del volto unitrinitario di Dio: «Come cambierebbe il
mondo se (…) i rapporti fossero vissuti seguendo sempre l’esempio delle tre
Persone divine, in cui ognuna vive non solo con l’altra, ma per l’altra e
nell’altra!»19.
Tutta l’enciclica può essere letta come un’estensione,
un’applicazione di questa convinzione, alla ricerca di risposte sempre più
adeguate sia ai drammi che alle più profonde e legittime esigenze della nostra
epoca.
Enrique Cambón
01) Cf M. Toso, A servizio di un umanesimo degno dell’amore: la rivoluzione della Trinità nella storia, in Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Dizionario di Dottrina Sociale della Chiesa, LAS, Roma 2005, pp. 23-36.
02) Rimando ad altri testi dove ho avuto occasione di descrivere con maggiore ampiezza le caratteristiche tipiche di una dinamica interpersonale e sociale impostata secondo una comunione “trinitaria”; cf soprattutto Valore sociologico dei racconti di vita, in “Nuova Umanità” XXVII/162 (2005) spec. pp. 877-880; Trinità modello sociale, Città Nuova, Roma 20093, spec. pp. 39-74.
03) Catechismo della Chiesa Cattolica, 234, 261.
04) «…il Nome di Dio è detto al singolare, perché Dio è Uno, ma al tempo stesso… Egli dispiega distintamente il suo Essere che è Amore come Padre, Figlio e Spirito Santo. È questa la novità della rivelazione che si è compiuta in Gesù» (P. Coda, Dio che dice Amore. Lezioni di teologia, Città Nuova, Roma 20072, p. 96). «La rivelazione cristiana dischiude l’orizzonte dell’essere come Agàpe, e cioè come libero e gratuito dono di sé. È questo il novum della rivelazione ebraica, che giunge a inaspettato compimento in Cristo». (Id., voce “Trinità. C. Prospettive”, in J.-Y. Lacoste, Dizionario critico di teologia [ediz. ital. a cura di P. Coda], Borla/Città Nuova, Roma 2005, p. 1414); cf Id., Dio Uno e Trino. Rivelazione, esperienza e teologia del Dio dei cristiani. Paoline, Cinisello Balsamo 1993.
05) Cf E. Jüngel, Che cosa significa dire: Dio è amore?, in “Protestantesimo” 56 (2001).
06) Ibid., pp. 160-161.
07) Il monoteismo cristiano, Queriniana, Brescia 1988, p. 210.
08) G. M. Zanghí, “Vivere in Cristo la vita trinitaria per trasformare la storia”: Per un nuovo paradigma culturale (NMI 29), in “Path” 1 (2005), p. 136; Cf Id., Dio che è Amore. Trinità e vita in Cristo, Città Nuova, Roma 20043; Id., Notte della cultura europea. Agonia della terra del tramonto?, Città Nuova, Roma 20073; Id., Occidente, la mia terra. Storia, società, politica alla luce del paradigma trinitario, Città Nuova, Roma 2008.
09) Preludio alla teologia, Città Nuova, Roma 2003, p. 142; cf Id., Partire dall’unità. La Trinità come stile di vita e forma di pensiero, Città Nuova, Roma 1998.; Id., Tesi di ontologia trinitaria. Per un rinnovamento del pensiero cristiano, Città Nuova, Roma 1996 (2a. ediz. rinnovata e ampliata).
10) C. Lubich, Una cultura nuova per una nuova società, (ad uso interno del Mov. dei focolari), Città Nuova, Roma 2002, p. 92. Si tratta di un tema e una realtà fondamentale nella spiritualità e nel pensiero che questa grande carismatica propone al nostro tempo: vedi tra l’altro M. Cerini, Dio Amore nell’esperienza e nel pensiero di Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 20106.
11) Cf P. Foresi, Colloqui. Domande e risposte sulla spiritualità dell’unità, Città Nuova, Roma 2009, p. 116.
12) Cf “Il Regno – Attualità”, LIV/14 (2009), p. 434.
13) Da alcuni considerato il suo capolavoro, l’originale tedesco è del 1969, tradotto in 17 lingue, arrivato in italiano ormai alla 16 ediz.: Queriniana, Brescia 2008.
14) Ibid., p. 296.
15) Ibid., pp. 152 ss. (per il nostro tema, particolarmente indicativo l’analisi del pensiero giovanneo, pp. 174 ss., dove si mostra quanto “la dottrina sulla Trinità si tramuti in affermazione sull’esistenza”).
16) Ibid., p. 180.
17) Benedetto XVI, La rivoluzione di Dio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano – San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 65.
18) Cf ad es. la magnifica catechesi di mercoledì 29 marzo 2006, sulla Chiesa «come mistero di comunione, nel quale si rispecchia in qualche misura la stessa comunione trinitaria».
19) Sulla Trinità come modello dei rapporti umani, nella catechesi di mercoledì 25 novembre 2009.