Idee e principi per una nuova economia
Economia di comunione nella libertà
di Chiara Lubich
In occasione del conferimento della “laurea honoris causa” da
parte dell’Università cattolica di Milano, sede di Piacenza, il 29 gennaio
1999, Chiara Lubich nella sua prolusione, dopo una presentazione generale del
Movimento dei focolari ne descrive brevemente la sua dimensione culturale e il
suo aspetto sociale, concludendo con la presentazione dell’Economia di
comunione che trascriviamo a continuazione.
Tipica del nostro Movimento è la cosiddetta “economia di
comunione nella libertà”, una particolare esperienza di economia solidale.
Essa, autentica espressione della spiritualità dell’unità nella vita economica,
può essere compresa nella sua interezza e complessità solo se inserita
all’interno della visione che tale spiritualità ha dell’uomo e dei rapporti
sociali.
Nascita e prime idee
È nata in Brasile nel 1991. Il Movimento, presente in
quella nazione sin dal ‘58, si era diffuso in ogni suo Stato, attraendo persone
di tutte le categorie sociali. Da qualche anno però, nonostante la comunione
dei beni, mi ero resa conto che, data la crescita del Movimento – in Brasile
siamo circa 250.000 persone –, non si riusciva a coprire neanche i più urgenti
bisogni di certi nostri membri. Mi era sembrato, allora, che Dio chiamasse il
nostro Movimento a qualcosa di più e di nuovo.
Pur non essendo esperta in problemi economici, ho pensato
che si potevano far nascere fra i nostri delle aziende, in modo da impegnare le
capacità e le risorse di tutti per produrre insieme ricchezza a favore di chi
si trovava nella necessità. La loro gestione doveva essere affidata a persone
competenti, in grado di farle funzionare efficacemente e ricavarne degli utili.
Questi dovevano essere liberamente messi in comune. E cioè in parte essere
usati per gli scopi stessi della prima comunità cristiana: aiutare i poveri e
dar loro da vivere, finché abbiano trovato un posto di lavoro; un’altra parte
per sviluppare strutture di formazione per “uomini nuovi” – come li chiama
l’apostolo Paolo –, cioè persone formate e animate dall’amore, atte a quella
che chiamiamo la “cultura del dare”; un’ultima parte, certo, per incrementare
l’azienda.
In tal modo, nelle nostre cittadelle di testimonianza – ne
abbiamo una ventina nel mondo – che si presentano come moderne convivenze con
tutte le espressioni della vita moderna ed esigono quindi anche la presenza di
aziende accanto alle scuole di formazione, alle case per famiglie, alla chiesa,
all’artigianato e altre opere sorte per il mantenimento degli abitanti, accanto
a tutto questo sarebbe dovuto sorgere anche un vero polo produttivo.
L’idea è stata accolta con entusiasmo non solo in Brasile e
nell’America Latina, ma in Europa e in altre parti del mondo. Molte aziende
sono nate e molte già esistenti hanno aderito al progetto modificando il
proprio stile di gestione aziendale.
A questo progetto oggi aderiscono circa 654 aziende e 91
attività produttive minori. Esso, questo progetto, coinvolge imprese operanti
nei diversi settori economici, in più di trenta Paesi: 164 operano nel
commercio, 189 sono imprese industriali e 301 operano in altri servizi.
Le sue «regole di gioco»
L’esperienza dell’economia di comunione, con le sue
particolarità che le derivano dalla spiritualità da cui nasce, si pone a fianco
delle numerose iniziative individuali e collettive che hanno cercato e cercano
di “umanizzare l’economia”, e ai molti imprenditori e lavoratori, spesso poco
conosciuti, che concepiscono e vivono la loro attività economica come qualche
cosa di più e di diverso dalla pura ricerca di un vantaggio materiale. Infatti,
come in tante altre realtà economiche permeate da motivazioni ideali, gli
aderenti al progetto – imprenditori, dirigenti, lavoratori ed altre figure
aziendali –, si impegnano in primo luogo a porre al centro dell’attenzione, in
tutti gli aspetti della loro attività, le esigenze e le aspirazioni della
persona e le istanze del bene comune.
In particolare essi cercano di: instaurare rapporti leali e
rispettosi, animati da sincero spirito di servizio e di collaborazione, nei
confronti di clienti, fornitori, pubblica amministrazione e anche verso i
concorrenti; valorizzare i dipendenti, informandoli e coinvolgendoli in varia
misura nella gestione; mantenere una linea di conduzione dell’impresa ispirata
alla cultura della legalità; riservare grande attenzione all’ambiente di lavoro
ed al rispetto della natura, anche affrontando investimenti ad alto costo;
cooperare con altre realtà aziendali e sociali presenti nel territorio, con uno
sguardo anche alla comunità internazionale, con la quale si sentono solidali.
Il progetto di Economia di comunione presenta poi altre
caratteristiche, per noi molto significative perché più direttamente legate
alla visione del mondo che nasce dalla nostra spiritualità. Eccone alcune.
Quattro caratteristiche
fondamentali
1) Gli attori delle imprese dell’Economia di comunione cercano di seguire, seppure nelle forme richieste dal contesto di un’organizzazione produttiva, lo stesso stile di comportamento che vivono in tutti gli ambiti della vita. Siamo infatti convinti che occorra informare dei valori in cui si crede ogni momento della vita sociale e quindi anche economica, che così diventa anch’essa luogo di crescita umana e spirituale.
2) L’Economia di comunione propone dei comportamenti ispirati a gratuità, a solidarietà e attenzione agli ultimi – comportamenti che normalmente si considerano tipici delle organizzazioni senza scopo di lucro – anche ad imprese a cui è connaturale la ricerca del profitto. L’Economia di comunione, quindi, non si presenta tanto come una nuova forma di impresa alternativa a quelle già esistenti, piuttosto essa intende trasformare dal di dentro le usuali strutture d’impresa, siano esse società per azioni, cooperative, od altro, impostando tutti i rapporti intra ed extra aziendali alla luce di uno stile di vita di comunione; il tutto nel pieno rispetto degli autentici valori dell’impresa e del mercato, quelli evidenziati dalla dottrina sociale della Chiesa, e in particolare da Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus.
3) Coloro che si trovano in difficoltà economica, i destinatari di una parte degli utili, non sono visti semplicemente come “assistiti” o “beneficiari” dell’impresa; essi sono invece membri essenziali del progetto, all’interno del quale essi fanno dono agli altri delle loro necessità. Vivono anch’essi la cultura del dare. Infatti molti di essi rinunciano all’aiuto che ricevono, non appena recuperano un minimo di indipendenza economica, e non di rado condividono con altri il poco che hanno. Tutto ciò è espressione del fatto che nell’Economia di comunione, che pur sottolinea la cultura del dare, l’enfasi non è posta sulla filantropia da parte di alcuni, ma piuttosto sulla condivisione, dove ciascuno dà e riceve con pari dignità, nell’ambito di una relazione di sostanziale reciprocità.
4) Le imprese di Economia di comunione, oltre a poggiare su una profonda intesa tra i promotori di ciascuna di esse, si sentono parte di una realtà più vasta. Si mettono in comune gli utili, perché si vive già un’esperienza di comunione. Per questo motivo le imprese – come ho già accennato – si sviluppano all’interno di piccoli, almeno per ora, “poli industriali” in prossimità delle cittadelle del Movimento e, se geograficamente lontani, si “collegano” idealmente ad esse.
Qualche altro «segreto»
Molti si chiedono come possano sopravvivere nel mercato
delle imprese così attente alle esigenze di tutti i soggetti con cui trattano e
al bene dell’intera società. Certamente lo spirito che le anima le aiuta a
superare tanti di quei contrasti interni che ostacolano e in certi casi
paralizzano tutte le organizzazione umane. Inoltre il loro modo di operare
attira la fiducia e la benevolenza dei clienti e fornitori e finanziatori.
Non bisogna tuttavia dimenticare un altro elemento
essenziale: la Provvidenza, che ha accompagnato costantemente lo sviluppo
dell’Economia di comunione in questi anni. Nelle imprese di Economia di
comunione si lascia spazio all’intervento di Dio, anche nel concreto operare
economico; e si sperimenta che dopo ogni scelta controcorrente, che l’usuale
prassi degli affari sconsiglierebbe, egli non fa mancare, Dio non fa mancare,
quel centuplo che Gesù ha promesso: un introito inatteso, un’opportunità
insperata, l’offerta di una nuova collaborazione, l’idea di un nuovo prodotto
di successo.
Questa è in breve l’Economia di comunione. Nel proporla non
avevo certo in mente una teoria. Vedo tuttavia che essa ha attirato
l’attenzione di economisti, sociologi, filosofi e studiosi di altre discipline,
che trovano in questa nuova esperienza e nelle idee e categorie ad essa
sottostanti, dei motivi di interesse che vanno al di là del Movimento in cui
storicamente si è sviluppata.
In particolare, nella visione trinitaria dei rapporti
interpersonali e sociali che sta alla base dell’Economia di comunione alcuni
intravedono una nuova chiave di lettura che potrebbe arricchire anche la
comprensione delle interazioni economiche e quindi contribuire ad andare oltre
l’impostazione individualista che prevale oggi nella scienza economica.
Chiara Lubich