«Rimanete nel mio amore»

Riportiamo l’omelia del Prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica nella Messa celebrata per il Congresso (letture: 1Gv 4, 11-16; Gv 15, 9-17). Egli descrive in modo profondo ed essenziale la necessità della comunione trinitaria come decisiva per la vita dei presbiteri, soprattutto nel momento storico che stiamo vivendo, all’inizio di questo terzo millennio.

Vi siete riuniti qui da molte nazioni per questo 5° Congresso internazionale di seminaristi promosso dal Movimento dei Focolari. Saluto tutti voi, seminaristi, giovani orientati al sacerdozio, sacerdoti e formatori presenti, i responsabili del Movimento.

“C’è una via…”: ecco il titolo del Vostro Convegno. Così si prospetta davanti ai nostri occhi la via stupenda al sacerdozio e del sacerdozio. Un coinvolgimento personale e diretto nel collaborare con il Signore per la salvezza degli uomini, per arricchire l’umanità del bene più grande.

Il sottotitolo, o la seconda parte del titolo – “la sfida dei rapporti” – specifica l’oggetto particolare del quale intende occuparsi il vostro Convegno. “La sfida dei rapporti”: si tratta di una grande realtà del cristianesimo, che caratterizza in maniera del tutto particolare l’identità del presbitero. Infatti, «Non si può […] definire la natura e la missione del sacerdozio ministeriale, se non in questa molteplice e ricca trama di rapporti, che sgorgano dalla Santissima Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa, come segno e strumento, in Cristo, dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»1.

Le letture di oggi ci parlano in maniera egregia proprio di questa “trama di rapporti” che affondano la loro radice nel mistero insondabile di Dio e da lì si estendono alla Chiesa, per arrivare fino agli ultimi confini e rinnovare la faccia della terra: rapporti caratterizzati dall’amore.

Il seminario: tempo dell’amicizia con Cristo

«Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore» – esclama con stupore San Giovanni nell’odierna prima lettura.

«Abbiamo creduto all’amore di Dio – ha scritto Papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica –, così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva»2.

In questa visuale sono significative le parole dello stesso Benedetto XVI ai seminaristi convenuti nel 2005 a Colonia per la Giornata mondiale dei giovani: «Voi siete seminaristi, cioè giovani che, in vista di un’importante missione nella Chiesa, si trovano in un tempo forte di ricerca di un rapporto personale con Cristo, dell’incontro con Lui. Perché questo è il seminario: non tanto un luogo, ma appunto, un significativo tempo della vita di un discepolo di Cristo. […] Il seminarista vive la bellezza della chiamata nel momento che potremmo definire di “innamoramento”. Il suo animo è colmo di stupore, che gli fa dire nella preghiera: Signore, perché proprio a me? Ma l’amore non ha “perché”, è dono gratuito, a cui si risponde con il dono di sé»3.

È questa l’esperienza decisiva da fare in seminario, il primo e più importante rapporto da porre a fondamento di tutto. «Più conosci Gesù e più il suo mistero ti attrae: più lo incontri e più sei spinto a cercarlo»4. «Il segreto della santità è l’amicizia con Cristo e l’adesione fedele alla sua volontà. “Cristo è tutto per noi”, diceva Sant’Ambrogio; e San Benedetto esortava a nulla anteporre all’amore di Cristo. Cristo sia tutto per voi»5 – così ancora Benedetto XVI ai seminaristi convenuti a Colonia.

Il sacerdozio ministeriale: opera radicalmente comunitaria

Ma l’amicizia con Cristo, la scoperta di Dio Amore, non può non avere una conseguenza immediata. «Se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri», abbiamo sentito nella prima lettura. E nel Vangelo Gesù rivolge ai suoi questa esortazione: «Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore […]. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati». Ecco come lo stesso Gesù unisce il “rimanere nel suo amore” e “amare gli altri”.

I documenti della Chiesa parlano del seminario come di «una comunità compaginata da una profonda amicizia e carità, così da poter essere considerata una vera famiglia che vive nella gioia […], una comunità che rivive l’esperienza del gruppo dei Dodici uniti a Gesù»6. Mirare a questa meta non è che un anticipo della realtà del presbiterio riunito attorno al vescovo che è dimensione costitutiva dell’esistenza presbiterale. Il ministero ordinato, infatti, «ha una radicale “forma comunitaria” e può essere assolto solo come “un’opera collettiva”»7.

La fisionomia del presbiterio – afferma la Pastores dabo vobis – è «quella di una vera famiglia, di una fraternità, i cui legami non sono dalla carne e dal sangue, ma sono dalla grazia dell’Ordine: una grazia che assume ed eleva i rapporti umani, psicologici, affettivi, amicali e spirituali tra i sacerdoti; una grazia che si espande, penetra e si rivela e si concretizza nelle più varie forme di aiuto reciproco, non solo quelle spirituali ma anche quelle materiali»8.

«Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione»

Ma la “sfida dei rapporti” si estende oltre: a tutta la comunità dei fedeli, in mezzo ai quali i presbiteri sono chiamati a vivere come «fratelli tra i fratelli»9, e in definitiva all’umanità intera.

Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), Giovanni Paolo II ci ricorda le parole di Gesù: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35), e ne trae per il cammino del Popolo di Dio questa conclusione: «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo». Per questo – prosegue – «occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità»10.

Attingendo alla sua grande esperienza umana e spirituale, Giovanni Paolo II spiega: «Spiritualità della comunione significa [...] capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze […]. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me” […]. Spiritualità della comunione è infine saper “fare spazio” al fratello, portando “i pesi gli uni degli altri” (Gal 6, 2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie»11.

«Nessuno ha un amore più grande...»

Ma c’è un’ultima radicalità della sfida dei rapporti, che Gesù esprime in queste parole: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).

Ho saputo, e mi ha fatto molto piacere, che ieri avete sentito parlare di un giovane sacerdote della Transilvania che ha donato la vita per salvare dalle acque del Danubio un giovane.

«Secondo quanto Paolo scrive ai cristiani di Filippi, il sacerdote deve avere gli “stessi sentimenti” di Gesù, spogliandosi del proprio “io”, per trovare, nella carità obbediente, casta e povera, la via maestra dell’unione con Dio e dell’unità con i fratelli (cf Fil 2, 5)»12.

«Mi ami tu più di costoro?», ha detto il Risorto a Pietro. «Mi ami di più?» (cf Gv 21, 15-19), è la domanda decisiva che Gesù rivolge a ciascuno di noi, a ciascun sacerdote. È a questo «amore più grande» che voi siete chiamati.

Siete venuti qui, in questa sala che un tempo era l’aula delle udienze estive del Papa, per attingere ad una spiritualità che la Chiesa ha riconosciuto come uno dei doni di Dio per l’umanità di oggi, una spiritualità che vi fa andare alle radici dell’amore. «È con la passione in croce e col grido d’abbandono che Gesù ha unito gli uomini con Dio e fra di loro», ha detto Chiara Lubich proprio qui dieci anni fa ai seminaristi. E ha lanciato a loro un impegnativo invito: «Si tratta di spendere la vita per il mondo intero! [...] Tutti i dolori del mondo sono nostri, perché siamo cristiani, siamo seguaci di Cristo».

È questa la via di cui parla il titolo del vostro Congresso e che vi auguro di percorrere con decisione e generosità.

Conclusione

Vorrei concludere con l’appello che Benedetto XVI ha rivolto nel 2005 a Colonia nel già citato discorso ai seminaristi: «Ricordatevi sempre le parole di Gesù: “Rimanete nel mio amore” (Gv 15, 9). Se rimarrete vicino a Cristo, con Cristo e in Cristo, porterete molto frutto, come egli ha promesso. Non voi avete scelto lui [...] ma lui ha scelto voi (cf Gv 15, 16). Ecco il segreto della vostra vocazione e della vostra missione!»13.

In ogni caso, per vivere veramente il proprio sacerdozio e per essere efficaci nello svolgimento della propria missione, si deve caricare il proprio cuore di un autentico amore, nutrito ogni giorno con la preghiera che ci unisce con il nostro Grande Maestro, Cristo.

 

Card. Zenon Grocholewski

 

 

 

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01)              Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis (Pdv), circa la formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali (25 marzo 1992), n. 12d.

02)              Deus Caritas est (25 dicembre 2005), n. 1d.

03)              19 agosto 2005, cpv. 1-2.

04)              Ibid., cpv. 3.

05)              Ibid., cpv. 5.

06)              Pdv, n. 60e-f.

07)              Pdv 17a; cf PO 7-8.

08)              N. 74g.

09)              Cf ibid., 74b.

10)              Rispettivamente, nn. 42a, 43a, 43b.

11)              Ibid., n. 43b.

12)              Ibid., n. 30 parte finale.

13)       Ibid., ultimo paragrafo.