Oltre l’anonimato delle grandi città

Se “la maggiore tristezza è la solitudine”, uno dei problemi delle grandi megalopoli è precisamente la mancanza di comunicazione che paradossalmente la provoca, pur in mezzo al frastuono delle moltitudini. In un simile contesto, l’evangelizzazione parte da gesti quotidiani in “controtendenza”, come quelli di questo sacerdote spagnolo.

A Madrid, come in ogni grande metropoli, ogni giorno migliaia di persone prendono i mezzi pubblici e affollano le grandi stazioni. Ma nessuno parla con l’altro. Neanche si osa guardare in faccia le persone che si hanno accanto, perché impegnate a leggere il giornale, ad ascoltare musica o a parlare al cellulare.

Il saluto: atto d’amore che porta frutti

Osservando questi comportamenti, mi sono proposto di andare contro corrente, superando abitudini tradizionali e cercando modi concreti di stabilire rapporti veri in modo che nessun prossimo “mi sfiori in vano”.

Ho cominciato a salutare la gente, come si usa fare in quei piccoli villaggi dove sono vissuto negli anni passati e, anche se per natura sono molto introverso, saluto qualsiasi persona incontro per la strada, alla stazione ferroviaria, durante i miei quotidiani viaggi in treno dalla Cittadella dove abito a Madrid.

Il primo saluto mi costa sempre tanta fatica. La gente all’inizio si meraviglia ma poi, di solito, gradisce. Magari saliamo insieme sul treno o c’incamminiamo insieme parlando.

Così, dopo tre anni, sono circa 200 le persone con cui ho instaurato un dialogo. Certo non sempre la cosa funziona: qualcuno quando mi vede, abbassa la testa o prende un’altra strada. Ma in genere vengono fuori bellissime esperienze.

La prima persona che ho salutato era una signora. Quattro giorni dopo ho potuto amministrare il sacramento dell’unzione degli infermi a suo papà. Subito dopo mi ha chiesto: «Ma perché quel giorno mi ha salutata?». Le ho risposto: «Perché credo nella fraternità universale, perché Gesù ha chiesto “Che tutti siano uno”». E lei: «No; forse perché Dio voleva preparare bene mio padre per questo momento. Da oggi, se qualcuno mi dirà che Dio non esiste, offrirò la mia esperienza della sua esistenza !». Questa fu per me la conferma che bisogna essere attenti al prossimo che Dio ci mette davanti nell’attimo presente e non lasciarcelo sfuggire. Quella signora mi ha portato poi a conoscere tutte le sue compagne di lavoro e in seguito ho presieduto la celebrazione del matrimonio di sua sorella e battezzato la sua bambina.

Nella cappella del nostro Centro Mariapoli, la mamma di una ragazza mi ha raccontato di un fatto accaduto a sua figlia: «Un giorno se ne era andata a lavorare arrabbiata contro Dio, ma quando tornò a casa mi disse: “Mamma, sai cosa mi è successo? In stazione ho incontrato un signore che mi ha salutata, abbiamo viaggiato insieme parlando di tante cose, ed era un prete!”». Per quella ragazza, questo era un segno che Dio le veniva incontro. Mi hanno così invitato più volte a pranzare con loro, a benedire la loro casa e mi hanno poi presentato ai loro vicini. Questi, anche se la moglie appartiene alla Chiesa ortodossa russa, mi hanno chiesto di benedire pure la loro casa e più volte sono rimasto a cena da loro.

Oltre i contatti occasionali

Un giorno c’era uno sciopero e si doveva aspettare per parecchio il treno. Due bambini e il loro papà erano annoiati dalla lunga attesa. Mi sono messo allora a insegnare loro delle canzoni coi gesti. Il giorno dopo i piccoli hanno convinto il papà a venire a trovarmi. Da allora ogni sabato vengono alla nostra Messa e hanno voluto che fossi io ad amministrare la prima comunione alla figlia.

Alcune persone che da anni erano vicini di casa, o altri che da tempo si erano incrociati alla stazione o avevano viaggiato sullo stesso treno, non si erano mai conosciuti. Sono stato io a presentarli l’uno all’altro. Alcuni sono diventati oggi amici inseparabili.

Nascono rapporti molto belli anche con chi non crede. Un signore, “agnostico di sinistra” (così lui stesso si definiva nella prima mail), mi ha sentito raccontare che da bambino avevo desiderato uno Scalextric (gioco di macchinette), e che dopo aver risparmiato per ben due volte i soldi necessari, li avevo donati per i missionari. Il giorno dell’Epifania ho visto arrivare un grande pacco, anonimo. Era quel gioco; provvidenziale perché proprio in quei giorni avevo assunto l’impegno di animare un gruppetto di bambini.

Sono consapevole che queste belle cose sono frutto della vita di famiglia con i sacerdoti diocesani con cui abito condividendo lo stesso ideale di vita e anche con altri sacerdoti con i quali mi trovo ogni lunedì per fare fraternità e condividere ogni cosa nella comunione; ma sono anche frutto della vita d’unità con i focolarini e le famiglie che abitano attorno a noi, nella piccola cittadella di testimonianza del Movimento dei focolari, alle porte di Madrid.

Francisco Tomás Rodriguez