Gesù in mezzo ai suoi: dono e sfida

Marco Tecilla è stato il primo giovane che, avendo sentito la chiamata a seguire Gesù in questa nuova via, iniziò a Trento il focolare maschile. Durante il Convegno i seminaristi lo hanno intervistato ed egli ha raccontato in maniera molto spontanea la sua scoperta e i primi passi del cammino nella spiritualità di comunione, tipica del Focolare, ma che oggi mostra tutta la sua attualità per la vita della Chiesa.

Rivivere Gesù

Quando hai incontrato Chiara Lubich tu eri un bravo giovane e un cattolico praticante; cosa è accaduto di nuovo nella tua vita?

Io allora credevo senza’altro in Gesù, ma mi dicevo: peccato che ora egli non è più qui con noi, perché è vissuto duemila anni fa….

A contatto con il focolare ho scoperto con sorpresa che Gesù poteva e voleva essere presente nella mia vita 24 ore su 24.

Chiara faceva questo paragone: come il commediante impara una parte, poi va nel camerino, si trucca per bene, quindi si presenta sul palco, rappresenta quel dato personaggio immedesimandosi in lui, ma appena ha terminato il suo lavoro, torna nel camerino, si toglie il trucco e riprende il suo vestito abituale per continuare la normale vita di sempre, così facciamo spesso anche noi cristiani. Viene la domenica, ci mettiamo il trucco, per così dire, del cristiano, andiamo alla messa, poi torniamo a casa e deponiamo nel cassetto la “maschera” di cristiano per riprenderla la domenica seguente. Spesso durante la settimana la nostra vita non si distingue da quella di chi non crede.

Ora Gesù era Gesù sia quando pregava il Padre, sia quando camminava per le vie della Palestina nella polvere e nel caldo, sia quando andava sulla barca, sia quando mangiava o dormiva, sia quando si trovava con gli Apostoli o in mezzo alle folle. Così dovrebbe fare ogni cristiano: essere sempre discepolo fedele di Cristo.

In quel tempo io ero un operaio, lavoravo in una ferrovia. A contatto con Chiara capii che come cristiano dovevo rivivere Gesù operaio, Gesù che camminava per la strada, Gesù che si riposava, ma sempre Gesù, 24 ore su 24. Questo mi sorprese, mi sconvolse e allo stesso tempo mi entusiasmò.

Ricordo che la notte dopo questa scoperta non riuscii a dormire, perché una nuova luce aveva rivoluzionato la mia vita.

Tutti fratelli!

Eravamo nell’immediato dopo guerra ed ero immerso nell’ambiente operaio, dove i discorsi erano spesso molto pesanti. Tanti colleghi erano stati ammaliati dall’ideologia comunista e lanciavano frecciate contro la Chiesa. Fino a quel momento non avevo fatto altro che controbattere queste accuse; ora mi rendevo conto per la prima volta che in fondo avevo solo difeso le mie idee, ma non avevo mai visto nei colleghi dei prossimi da amare.

Nell’ambiente cristiano tradizionale, in cui ero cresciuto, avevo imparato a cercare costantemente un rapporto con Dio: io e Dio, ma il prossimo non c’entrava. Ora invece Chiara ci insegnava che bisognava andare a Dio passando attraverso il fratello. I miei fratelli erano i compagni di lavoro, anche se alle volte bestemmiavano, se la prendevano con Dio, col Papa, con la Chiesa e spesso anche con me. Fino a quel momento io non li consideravo fratelli, ma nemici da combattere e per questo reagivo.

Lentamente questo ambiente di lavoro, che per me prima era stato un inferno, si è trasformato, tanto che i miei compagni non facevano più davanti a me certi discorsi per un senso di rispetto verso la mia persona. Per parte mia quando entravo nel mio reparto e mi mettevo a lavorare pensavo a Chiara e a quel gruppetto di focolarine, alla loro vita di purezza, di bellezza, di Vangelo vissuto. I miei compagni notarono la mia serenità e man mano si stabilì tra noi un rapporto sereno e rispettoso.

Rispondere alla propria chiamata

In quella famosa casetta del primo focolare dove si parlava di Vangelo, si respirava un tale clima di purezza, di semplicità, di unità, che io lì mi sentivo veramente trasformato. Ero giovane, non avevo ancora raggiunto i vent’anni e avevo nell’anima un sogno: formare una bella famiglia. Ad un certo punto Chiara mi pose davanti quella frase del Vangelo: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri…». In quel momento sentii con chiarezza che Gesù mi stava chiamando. E dissi il mio sì e mi buttai a capofitto in questa avventura. Lasciai la mia famiglia di origine per seguire Gesù nella via del focolare.

Una nuova via: la comunione tra noi

Proprio sul focolare vogliamo farti una domanda. Qualche mese dopo questa tua chiamata è nato il primo focolare maschile. Puoi raccontarci qualcosa degli inizi della nuova vita?

Prima andavo nella casetta (ancora non si chiamava focolare) dove abitava Chiara col primo gruppo di ragazze e lì respiravo l’atmosfera di Gesù in mezzo, ma io non facevo nulla: venivo talmente avvolto, talmente preso dentro che vivevo un po’ di rendita di tutto ciò che le prime focolarine facevano fra di loro per vivere in unità.

Quando incominciammo a convivere con altri due compagni, ci rendemmo conto che avere sempre Gesù in mezzo a noi non era facile.

Eravamo in tre. Uno, Fons, era amante della pittura, era un artista, aveva frequentato una scuola d’arte e aveva fatto anche delle mostre; l’altro, Carlo, era più portato all’aeronautica, quindi con ben altri interessi, e quando abbiamo cominciato a trovarci insieme, a mangiare e dormire sotto lo stesso tetto, ci siamo accorti come i nostri caratteri erano completamente diversi. Io da trentino, abituato a vivere in mezzo alle montagne, avevo un carattere roccioso, spigoloso, portato all’ordine e alla puntualità, e di colpo mi trovai a contatto con persone ben differenti per cultura e formazione.

Il dialogo fraterno e l’ora della verità

Ricordo che al mattino andavamo a messa presto per poi tornare a casa, fare colazione e correre al lavoro. In quel tempo c’era la celebrazione eucaristica solo al mattino con il digiuno dalla mezzanotte. Ed ecco che l’artista incominciava a raccontare i suoi sogni notturni: «Ah Marco, ho sognato un’aurora… Se avessi qui una tela…». E io, che sapevo che bisognava arrivare puntuali alla messa, dicevo: «Lascia stare, perché adesso dobbiamo dire le preghiere…». Pregavamo durante il cammino, perché il tempo era breve.

Naturalmente non sempre intervenivo con la dovuta delicatezza, interrompendo molto bruscamente le conversazioni che mi sembravano inutili. E lì cominciammo a capire cosa significa “costruire un rapporto”. Mentre prima, come dicevo, vivevo di rendita, trovavo il rapporto già fatto nel focolare femminile, qui bisognava crearlo, sapendo morire negli altri, accogliendoli. E non era cosa facile, perché ognuno aveva il suo modo di fare e anche il proprio “uomo vecchio”, come lo chiama san Paolo. E a volte nascevano incomprensioni.

Avevamo adattato ad abitazione quello che prima era un pollaio con una legnaia e nell’ambiente adibito a cucina avevamo messo un tavolo rotondo da giardino, donatoci da un giardiniere. Quando arrivavano questi momenti di difficoltà, ci rendevamo conto che non c’era più tra noi quella gioia, quella serenità, quella pienezza che sperimentavamo abitualmente, e ci dicevamo: «Gesù in mezzo a noi s’è messo il cappello e se n’è andato». Allora, ci sedevamo attorno a questo piccolo tavolo rotondo e guardandoci in faccia ci dicevamo le cose nella verità, nella schiettezza, chiedendoci perdono: «Scusami io ti ho detto quelle cose senza delicatezza, senza carità». L’altro diceva: «Ma anch’io ho sbagliato, è colpa mia, perché ho fatto quello che non dovevo fare…». Alla fine si ricomponeva l’unità e arrivava una tale gioia che, per esprimere la nostra felicità, saltavamo sui nostri lettini.

Racconto un piccolo episodio. Prima che entrassero in focolare Fons e Carlo, Chiara pose la condizione che almeno uno dei due trovasse un lavoro. E in quel dopoguerra non era facile. Fons il pittore, aveva lasciato il suo impiego per venire in focolare a Trento e per parecchi mesi non fece più il pittore ma l’imbianchino. Poi ci venne offerto un posto in banca come impiegato. Ci sembrò che Fons fosse la persona adatta. Lui acconsentì, ma fece notare: «Io lascio il lavoro di imbianchino e vado in banca, però c’è un problema: non ho un vestito adatto». Io ero tornato da poco dal servizio militare e gli avevo offerto la mia divisa, ma non si poteva andare in banca vestiti né da militare né da imbianchino. Ci voleva un abito con la cravatta, la camicia, ecc. Come fare? Abbiamo chiesto all’Eterno Padre che ci mandasse la stoffa. Arrivò tutto l’occorrente e uno dei migliori sarti di Trento, che aveva conosciuto il Movimento, fece il vestito. Il pittore, tutto felice, iniziò il suo lavoro in banca con l’unico vestito che aveva, quindi doveva stare molto attento a non farlo sporcare o bagnare, perché non ce n’era uno di ricambio.

Una sera siamo andati nel focolare femminile per un lavoro da fare insieme. Uscendo, era già sera tardi, abbiamo incominciato il cammino per tornare nel nostro “focolaretto”. Il cielo era nuvoloso e minacciava la pioggia. Ad un certo punto Fons mi dice: «Senti, torno indietro e chiedo alle focolarine un ombrello». Io rispondo: «Ma guarda che di ombrelli anche loro ne hanno pochi, domattina devono andare al lavoro e ne avranno bisogno. Noi siamo giovani, facciamo una corsa e arriviamo a casa senza farci prendere dalla pioggia».

Forse parlai un po’ energicamente, secondo il mio carattere. Arrivammo a casa, non piovve, ma tra noi non c’era più l’unità, non c’era Gesù in mezzo. Fons si era talmente preoccupato del suo vestito, che non aveva accolto bene il mio invito; da parte mia probabilmente l’avevo detto con una certa autorità, senza saperlo porgere. Persino Carlo, che normalmente era molto scherzoso non diceva una parola. E allora pensai: «Qua non possiamo andare a letto, se prima non abbiamo ricostruito il rapporto fra di noi». Ci siamo seduti attorno al solito tavolo, abbiamo cominciato a parlarci schiettamente e abbiamo capito che io dovevo dire le cose con delicatezza, l’altro doveva anche fidarsi e non essere attaccato al vestito, l’altro ancora doveva fare tutta la sua parte in una situazione così  delicata. Insomma ci chiedemmo perdono e anche quella notte andammo a letto veramente felici. Avevamo riscoperto la gioia di vivere.

a cura della redazione