Dio nei rapporti interpersonali

L’autore, professore di antropologia comunionale nella Pontificia Facoltà Teresianum di Roma, presenta in modo sintetico il nocciolo della “spiritualità di comunione” caratteristica di questo terzo millennio, espressione di quanto sempre più chiaramente «lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2, 29).

Il desiderio di Dio

«Sei tu, Signore, che susciti nell’uomo il desiderio di celebrare le tue lodi, perché tu ci hai fatti per te e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te». Come sono vere queste parole, con le quali sant’Agostino incomincia le sue celebri Confessioni!

Il desiderio di Dio è inscritto nel nostro cuore, perché siamo stati da Lui creati e per Lui siamo fatti. Egli non cessa di attirarci a sé e soltanto in Lui troveremo la verità e la felicità che cerchiamo1.

Ma come trovare Dio oggi, immersi nella folla, chiamati ad essere cristiani, cioè altri Gesù? Come dimorare in Dio, pur rimanendo in questo mondo che spesse volte può essere per noi anche pietra d’inciampo?

Di certo Egli, Dio, è dentro di noi, «più intimo a noi di noi stessi» e, se Lo vogliamo incontrare, dobbiamo avere il coraggio di affrontare la solitudine, di “entrare nella nostra camera” (cf Mt 6, 6), di chiudere le imposte della nostra anima, far tacere i nostri sensi, per raccoglierci in Lui, nel profondo del nostro essere, lì dove Egli è.

È scritto di Gesù che alle volte passava la notte in orazione (cf Lc 6, 12) e che si ritirava in luoghi solitari a pregare (cf Lc 5, 16); così è pure di ogni suo autentico discepolo.

La spiritualità monastica che contrassegna il primo millennio della storia della Chiesa ce lo ricorda e le opere compiute da santi come Antonio, Basilio, Benedetto ci fanno pure vedere che più si sale verso le vette dell’unione con Dio, più si arde d’amore per l’umanità intera e si portano frutti di salvezza per essa. L’amore di Dio infatti è tale, se incrementa sempre in chi lo vive l’amore del prossimo.

L’unità con Dio nel fratello

D’altronde è anche vero che l’uscita da noi stessi, il vivere per Dio che è presente negli altri, è pure esso una via per trovare sempre più Dio dentro di noi.

Lo esemplificano in modo mirabile tanti altri santi, specie quelli del secondo millennio della storia della Chiesa, come Vincenzo de Paoli, don Bosco, Filippo Neri, madre Teresa di Calcutta... santi che appaiono più attivi che contemplativi, ma che di certo non sono per questo meno uniti a Dio.

Le loro vite ci dimostrano chiaramente che più si ama e si serve Cristo in ogni prossimo, più si trova Cristo dentro di sé. Per cui ci insegnano che il mondo dal quale ci giungono ogni genere di notizie attraverso i media e la gente con la quale veniamo a contatto ovunque la volontà di Dio ci chiama, se li guardiamo con gli occhi di Dio e li amiamo, possono diventare pure per noi altrettante occasioni di rivivere Cristo, di amare come lui ha amato e di conseguenza di crescere nell’unione anche sentita con Dio.

Azione e contemplazione, contemplazione e azione… sono due poli della vita cristiana, di ogni vita cristiana, due poli indissolubilmente legati come i comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo ai quali essi rimandano. «Nel terreno del nostro cuore – diceva san Gregorio Magno – [Dio] ha piantato prima la radice dell’amore verso di Lui e poi si è sviluppato, come chioma, l’amore del fratello»2.

La via della reciprocità …

Semplificando le cose, potremmo dire che la spiritualità cristiana nel primo millennio ha posto maggiore attenzione alla radice dell’albero, mentre nel secondo ha evidenziato di più la chioma. Ma nel passaggio dal secondo al terzo millennio sta avvenendo un ulteriore passo: viene ora alla ribalta il comandamento dell’amore reciproco (cf Gv 13, 34). È il comandamento che Gesù chiama suo e “nuovo” e già questo dovrebbe farci intuire la sua importanza e la sua unicità. Notiamo che è un comandamento che non si può vivere da soli – e pure questo è insolito – infatti per amarsi bisogna essere almeno in due.

Per cui accanto alle vie più contemplative o più attive, che da secoli abbelliscono la Chiesa, emerge oggi una via nuova, quella della reciprocità, dell’unità. È una spiritualità personale e comunitaria insieme: la “spiritualità di comunione”. Giovanni Paolo II l’ha indicata come impegno programmatico per la Chiesa all’inizio del nuovo millennio e Benedetto XVI continua a promuoverla.

In questa via di comunione il cammino non si fa da soli, ma con gli altri. Si raggiungono le vette dell’unione con Dio “in cordata”, ci si muove assieme come membri del medesimo corpo. Per cui si sta innanzitutto attenti a stabilire dei rapporti di mutua e continua carità con i fratelli e le sorelle, e a mantenerli tali. E questo prima di qualsiasi attività, prima di mangiare, prima di studiare, prima persino di portare la nostra offerta all’altare… prima di tutto si cerca di vivere la carità, di essere e di rimanere nell’amore fraterno. È l’amore infatti che dà valore a tutto e ci stanzia in Dio: «se ci amiamo gli uni gli altri Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi» (1Gv 4, 12).

Spiritualità di comunione significa – secondo Giovanni Paolo II – «capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia»3.

… nella comunione trinitaria

Chiara Lubich che, con il suo carisma dell’unità, ha promosso sin dagli anni ’40 una simile spiritualità, si esprime così: «Dio che è in me, che ha plasmato la mia anima, che vi riposa in Trinità, è anche nel cuore dei fratelli. Non è ragionevole che io Lo ami solo in me. Se così facessi il mio amore avrebbe ancora qualcosa di personale, d’egoistico: amerei Dio in me e non Dio in Dio, mentre questa è la perfezione: Dio in Dio»4 (cioè Dio ovunque Egli è).

Di conseguenza come amo Dio in me, raccogliendomi in Lui, nel profondo del mio “castello interiore” – come lo chiama santa Teresa d’Avila –, così sono chiamato ad amare Dio nei fratelli/sorelle, a edificare con loro, per la bellezza del rapporto fra noi, un “castello esteriore” nel quale Dio possa regnare.

È questa l’esperienza meravigliosa e sconvolgente che oggi la Chiesa va sempre più riscoprendo: la presenza particolare di Dio lì dove è vissuta la reciprocità, il comandamento nuovo di Gesù, la vita trinitaria; la presenza tangibile di Dio nei rapporti interpersonali; Dio in mezzo ai fratelli e sorelle uniti dall’Amore e nell’Amore5.

Oggi come 2000 anni fa Egli vuole vivere in mezzo a noi, ovunque siamo: in seminario, a casa, all’università, nei negozi, sui campi di calcio, al cinema... e questo è possibile e avviene se Lo attiriamo fra noi con la nostra concordia. Egli, che è Dio, ci porta alla più alta contemplazione pur in mezzo a tutti, ci guida, ci sostiene, ci illumina, ci adopera per fare nuove tutte le cose, per fare di tutti uno.

Michel Vandeleene

 

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1) Cf Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 27.

2) Gregorio Magno, Moralia in Iob, 1.7, 28 (Gb 24, 14) (PL 75, 780-781).

3) Novo Millennio Ineunte, n. 43.

4) C. Lubich, La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, 74; P. Coda, Dio che dice Amore. Lezioni di teologia, Città Nuova, Roma 2007, 161.

5) Cf F. Ciardi, Tre comandamenti per una triplice presenza di Cristo, in AA.VV., Egli è vivo. La presenza del Risorto nella comunità cristiana, Città Nuova, Roma 2006, 11-34