Tutto sia espressione di rapporti fraterni

I rapporti di comunione sono fondamentali per la vita e la formazione dei seminaristi, non soltanto tra di loro, ma anche nelle relazioni con le altre realtà che si trovano a vivere nell’ambiente circostante. Due seminaristi di Rovigo (Italia), componenti del complesso musicale che ha animato il congresso,raccontano la loro esperienza al riguardo.

Formazione del complesso musicale

Alberto: Quando è cominciata la mia avventura in seminario, ho subito costatato che vi regnava un clima fraterno che ha facilitato il mio inserimento. Siamo in 17, compresi quattro diaconi. L’anno scorso prima del Natale abbiamo organizzato una festa assieme ai nostri genitori, con la presenza del vescovo. In quell’occasione è nata la proposta di formare un gruppo musicale per eseguire alcune canzoni di Natale. Dopo Pasqua, poi, sono stato invitato a Grottaferrata al Centro gens – il centro che tiene i contatti con i seminaristi di tutto il mondo che vivono la spiritualità dell’unità – per cominciare a raccogliere qualche idea per questo congresso che ora stiamo vivendo. È stato lì che mi è venuta l’idea di proporre ai miei compagni di metterci a disposizione come band per il congresso. L’idea è stata accolta dal Centro gens con entusiasmo. Io ero contento di questa prospettiva, ma allo stesso tempo un po’ preoccupato di come proporla in seminario, visto il sacrificio che avrebbe comportato.

Parlai di questo con il rettore esponendogli anche le mie perplessità. Lui mi ha ascoltato e ha lodato quest’idea, dicendomi: «Stai tranquillo, Alberto, vedrai che, se quest’iniziativa vi piace, troverete il tempo per fare le prove». Questo mi ha incoraggiato a presentare personalmente ad ognuno  in seminario la proposta e quasi tutti hanno l’accolta positivamente. Qualche mese dopo, Andreas e Nuri del Centro gens sono venuti da noi a parlarci del congresso, del tema e del metodo con cui l’avremmo svolto; ed è lì che abbiamo dato la nostra disponibilità. Io da un lato ero molto felice e sorpreso dell’interesse e della disponibilità che avevo trovato, dall’altra parte cresceva in me un senso di preoccupazione per due motivi. Primo: la mancanza di un pianista solista, necessario per questo tipo di brani. E secondo: l’organizzazione delle prove.

È stato importante ricordarmi ogni giorno di affidare tutto a Dio, sicuro che, se quest’esperienza fosse stata volontà sua, Egli stesso ci avrebbe pensato.

Così è stato! In agosto ad un incontro gens in Croazia, Nuri mi ha parlato di Andrea, un seminarista di Verona che suona molto bene il pianoforte e che avrebbe partecipato al congresso. Di ritorno in Italia, una sera ho accennato del progetto a Marco, amico con cui ho suonato nel complesso Genarcobaleno; lui, conoscendo bene i brani che avremmo dovuto preparare, si è offerto di provarli con noi.

Abbiamo cominciato le prove all’inizio di ottobre, cercando di rimanere fedeli a quest’impegno settimanale. Ci hanno fatto sperimentare un clima di  fraternità, dandoci anche la possibilità di aprire il nostro seminario a tante persone che ogni tanto venivano a farci visita: Andrea da Verona, il pianista che arrivava in treno o accompagnato dal padre per fare le prove, i gens del Centro e alcuni sacerdoti diocesani del Movimento dei focolari che sono venuti un sabato a trovarci, i gen del complesso Genarcobaleno che ci hanno aiutato a perfezionarci. Infine dei nostri amici che, attirati dalla curiosità, hanno voluto assistere a qualche prova. Una  comunità aperta come dev’essere ogni vera comunità cristiana, in cui ogni persona si sente a casa propria.

Seminario e contesto pastorale diocesano

Patrizio: Il nostro seminario vive un particolare rapporto anche con le persone all’esterno, perché inserito in un “complesso pastorale” (così definito dal nostro vescovo). Vorrei ricordare, a questo riguardo, due iniziative.

La prima è quella che è stata chiamata Mane nobiscum, cioè “resta con noi”, l’espressione latina che riprende l’invito rivolto a Gesù dai due discepoli di Emmaus, come racconta San Luca al capitolo 24 del suo Vangelo. Consiste nel condividere ogni settimana la nostra preghiera vespertina con chi vuole parteciparvi.

La seconda iniziativa è legata ad una casa di accoglienza per gruppi giovanili, da tutti conosciuta in diocesi come Gp2 (perché dedicata a Giovanni Paolo II). Solitamente accoglie gruppi di giovani che si fermano per un week-end, per alcuni giorni, per una settimana o anche di più, facendo un’esperienza di vita comune.

Ogni giorno condividono la Parola di Dio, nella preghiera e anche nella vita quotidiana. Dopo aver iniziato la giornata con l’ascolto della Parola, continuano a fare la loro vita normale (andare a scuola, lavorare, ecc.), guidati dalla luce di quella Parola, e allo stesso tempo trascorrono dei momenti assieme.

In questo periodo di permanenza la loro vita s’intreccia anche con quella di noi seminaristi. Partecipano alla nostra preghiera e ricevono da noi frequenti visite. Questi giovani spesso rimangono colpiti dalla nostra attenzione nei loro confronti e ancor più profondamente da quello che è il nostro stile di vita basato sulla fratellanza, sulla comunione, nella semplicità e nella gioia. Non sono rari infatti commenti del tipo: «stiamo bene con voi», «quasi farei anch’io il seminarista», detti anche da ragazzi che magari di Gesù o della Chiesa solitamente non vogliono tanto saperne.

Alberto Rimbano
Patrizio Boldrin