L’arte d’amare

Riguardo alla sfida dei rapporti, si è riproposta all’incontro, una parte del discorso che la fondatrice del Movimento dei focolari aveva tenuto il 30 dicembre 1989 al 2° Congresso internazionale di seminaristi al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo. Testo di particolare bellezza, profondità e concretezza.

Reverendi sacerdoti e cari seminaristi, anzitutto un saluto ed un augurio pieno della gioia natalizia, per il loro convegno in questo Centro Mariapoli di Castel Gandolfo. Che Dio conceda loro di trarne tanti tanti frutti per il bene loro e della Chiesa!

A me tocca ora esporre un tema intitolato: «L’amore reciproco: nucleo fondamentale della spiritualità dell’unità del Movimento dei focolari».

L’amore, l’amore cristiano nella sua radicalità e reciprocità è fondamentale per il Movimento dei focolari; è stato infatti «la prima scintilla ispiratrice» – così l’ha definita il Papa – della sua spiritualità dell’unità.

Infatti, quando, all’inizio del nostro Movimento, Dio si manifestò con tanta chiarezza a noi per quello che è in realtà, e cioè Amore, e ci chiamò a fare di lui l’ideale del nostro futuro, comprendemmo immediatamente che dovevamo impostare la nostra vita sull’amore, e capimmo, con quella comprensione che solo lo Spirito può dare, l’importanza, per il cristiano, dell’amore reciproco.

Dio infatti è Amore e perché Amore è Trinità. In Dio le Divine Persone si amano reciprocamente.

Cosa poteva essere allora la nostra vita, chiamata a seguire Dio Amore, se non carità e carità vicendevole?

Il Figlio di Dio, venuto dal Cielo in terra, trasmigrato per così dire – pur rimanendo sempre in Cielo – dalla vita trinitaria a quella terrena, aveva sottolineato in modo tutto speciale questo comandamento, l’aveva chiamato “suo” e “nuo-vo”, e l’aveva raccomandato nel suo testamento.

I primi cristiani lo consideravano sintesi degli insegnamenti di Gesù e lo praticavano in modo esemplare.

Era, dunque, un comandamento particolare. E sempre così abbiamo avuto la grazia di vederlo anche noi.

Il comandamento nuovo!

Ma come si interpreta, come si pratica, cosa significa e quale conseguenza ha per il Movimento dei focolari l’attuazione del comandamento nuovo di Gesù?

Per spiegare bene ciò sarà necessario vedere dapprima cos’è per noi l’amore, l’amare.

Amare il prossimo come se stessi

Sin dall’inizio si è subito compreso che l’amare il prossimo come sé stessi (cf Mt 22, 38), così come chiedeva il Vangelo, andava preso sul serio, alla lettera. Che quel “come” significava proprio “come”. Che, se prima l’amore verso noi stessi eccedeva di gran lunga l’amore verso gli altri, quando non si esauriva quasi in noi, ora occorreva cambiare atteggiamento e cuore: bisognava curarsi degli altri come di se stessi.

Si fece così e sempre si fa così dove comincia a vivere il Movimento. E nasce, dovunque, una rivoluzione.

Questo amore radicale, infatti, colpisce e attrae i fratelli che, vedendosi amati in questa maniera, chiedono spesso il perché del nostro atteggiamento e spesso lo vogliono condividere. Cosicché persone che, pur cristiane, vivevano pressoché nell’indifferenza le une verso le altre, si ravvivano, si mettono in comunione reciproca, si compaginano in comunità e danno l’idea di quello che può essere la Chiesa viva. E ciò vivendo questa sola parola del Vangelo perché, dice Paolo, «tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso» (Gal 5, 14).

Vedere nell’altro Gesù

Ma come vedere il prossimo per poterlo amare in modo veramente cristiano e chi vedere nei prossimi?

I membri del Movimento si pongono sempre dinanzi la stupenda pagina del Vangelo che riguarda il giudizio finale: «Ho avuto fame e mi hai dato da mangiare. Ho avuto sete e mi hai dato da bere. Ho avuto fame e non mi hai dato da mangiare...» (Mt 25, 35. 42) dice Gesù, affermando con ciò che ritiene fatto a sé quanto si fa o non si fa ad ogni uomo.

È lui il destinatario di ogni atto buono e di ogni azione cattiva fatta al prossimo. Egli, dunque, quasi si nasconde dietro ogni essere umano cosicché, seguendolo, non sono consentite accettazioni di persone. Non vale dire: quello è meritevole, quello non lo è; quello è bello, quello è brutto; quello è simpatico, quello è antipatico; quello è cattolico, quello è ortodosso o protestante; quello è uomo, quella è donna... Vale a dire: tutti i miei prossimi sono Gesù, rappresentano Gesù.

Amare tutti

L’amore che Dio vuole, dunque, è un amore universale, rivolto a tutti. A differenza dell’amore semplicemente umano, che ama certi fratelli e non altri: quelli del proprio sangue, ad es., di bell’aspetto, i ricchi, gli onorati, gli appartenenti a certe razze e non ad altre..., l’amore soprannaturale non fa distinzioni. Dice il Vangelo: «Siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5, 45; cf Lc 6, 35).

Amare per primo

Ma l’amore cristiano ha un’altra caratteristica, che lo distingue dall’amore semplicemente umano. Dovendosi conformare su quello che Gesù ha avuto per noi (più manifesto che mai nella sua morte in croce, offerta al Padre per noi ingrati e peccatori) l’amore verso il prossimo si muove per primo.

Noi, discepoli di Gesù, dobbiamo amare per primi. Non come si fa nel mondo, dove si ama spesso perché si è amati, o per interesse, o per pura amicizia, o altro...

Ecco quindi ciò che caratterizza l’amore autentico, ecco i quattro aspetti dell’arte di amare cristiana: amare come sé, vedere Gesù nei fratelli, amare tutti, amare per primi.

Amare. Ma da dove cominciare?

Da chi ci sta più vicino. Prossimo, infatti, vuol dire: vicino.

La nostra spiritualità perciò insegna a tradurre in carità i vari contatti che abbiamo con i prossimi durante la giornata. Dal mattino, quando ci alziamo, alla sera, quando ci corichiamo, ogni rapporto con gli altri va sublimato con la carità. In chiesa, in casa, a scuola, per strada dobbiamo trovare le varie occasioni per vivere la carità. È nostro compito insegnare, istruire, studiare, obbedire, governare, accudire i familiari, aiutare i bisognosi, sbrigare pratiche? Dobbiamo fare ogni cosa per Gesù nei fratelli, non trascurando nessuno, anzi amando tutti per primi. E, se lo facciamo bene, ciò è sufficiente per cominciare a fermentare con il Vangelo la società.

Farsi uno con ogni prossimo

C’è poi un modo tipico (sempre comunque emerso dalla Scrittura) che il Movimento conosce per sapere come amare. È il “farsi uno” con ogni prossimo.

Per amare cristianamente occorre “farsi uno” con ogni fratello, come dice Paolo: farsi debole con i deboli... farsi tutto a tutti (cf 1Cor 9, 22).

Farsi uno: entrare il più profondamente possibile nell’animo dell’altro; capire veramente i suoi problemi, le sue esigenze; condividere le sue sofferenze. Chinarsi sul fratello. Farsi in certo modo lui, farsi l’altro. In tale maniera il prossimo si sente compreso, sollevato, perché c’è chi porta con lui i suoi pesi, le sue pene e anche le sue gioie.

“Vivere l’altro” – come diciamo noi – e non condurre più una vita ripiegata su se stessi, piena delle proprie preoccupazioni, delle proprie cose, delle proprie idee, di tutto ciò che è nostro. Partecipare totalmente alla vita dell’altro e sentirla in sé a tal punto da dimenticare se stessi.

Farsi uno in tutto con tutti, tranne che nel peccato – si capisce –, come Gesù ha fatto con noi.

E farsi uno non solo sentimentalmente, a parole o con la sola compassione, ma concretamente, a fatti. Perché c’è una Parola che spiega con tutta chiarezza cos’è l’amare per Gesù: è servire.

L’amore dunque esige che si passi all’azione, alle opere, come ha fatto Gesù, che ci ha detto cos’è l’amore sanando, risuscitando, lavando i piedi ai discepoli. E amare, infine, offrendo il dolore, che è sempre presente in ogni vita, per i fratelli: per il loro bene, per la loro salvezza e santità.

Nel Movimento si cerca di amare come ha fatto Gesù che ha amato certamente tutti, che ha amato per primo, che s’è fatto uno con noi – Dio s’è fatto uomo –, ma che ha anche offerto la sua passione per la nostra salvezza.

Il grande criterio di discernimento

Amare dunque.

A questo Dio ha chiamato noi e chiama molti. Perché l’amore è tutto nel cristianesimo. Sant’Agostino, maestro di carità, ammonisce in maniera forte: «Se tutti si sapessero segnare con la croce, se rispondessero amen e cantassero l’alleluia; se tutti ricevessero il battesimo ed entrassero nelle chiese, se facessero costruire i muri delle basiliche, resta il fatto che soltanto la carità fa distinguere i figli di Dio... Quelli che hanno la carità sono nati da Dio, quelli che non l’hanno non sono nati da Dio. È questo il grande criterio di discernimento. Se tu avessi tutto, ma ti mancasse quest’unica cosa, a nulla gioverebbe ciò che hai; se non hai le altre cose, ma possiedi la carità, tu hai adempiuto la legge...». (...)

Chiara Lubich