La sfida dei rapporti

Quali rapporti sono pedagogicamente costruttivi, sananti, umanizzanti? L’Autore, pedagogo, responsabile della formazione dei futuri focolarini nella cittadella di Loppiano (Firenze), partendo dalla lettera enciclica “Deus caritas est”, vede nella dinamica trinitaria l’archetipo del cammino formativo di ogni discepolo di Cristo.

 

«Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4, 16). Queste parole esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino.

L’annuncio di Dio amore, che risuona potente nella prima enciclica di Papa Ratzinger come in tutta la storia del Movimento dei focolari, può cambiare profondamente il nostro modo di guardare noi stessi e la realtà che ci circonda.

Eppure, se guardiamo al nostro mondo, la realtà dell’amore sembra oscurata non solo da guerre e ingiustizie ma da una tendenza sempre più planetaria all’individualismo e al rifugiarsi nel privato. Nonostante la crescente possibilità di conoscersi e di incontrarsi, grazie allo sviluppo continuo dei mezzi di trasporto e di comunicazione, sperimentiamo spesso la sensazione di abitare in una piazza affollata e vociante in cui sembra difficile costruire relazioni autentiche. 

Questo colpisce in particolare tanti giovani che rischiano di trovarsi isolati tra la folla, con una conseguente tendenza a ripiegarsi su se stessi1, nella ricerca della propria realizzazione, nel chiudersi magari nel piccolo gruppo dei buoni riancorandosi a spiritualità piuttosto individuali o nel lasciarsi trascinare a vivere come tutti.

Come diventare persone realizzate?

«Come faccio ad essere felice e realizzato?» è una domanda che mi sento ripetere più volte dai giovani che incontro o che mi scrivono. Esigenza in sé giusta, ma che parte dall’idea che ognuno viva tra tanti e debba costruirsi il suo cammino accanto a quello degli altri, spesso difendendosi o isolandosi.

Vi sono poi molti che scoprono che possono vivere non tra, ma con gli altri e cercano di conoscere e incontrare chi sta accanto. Spesso, però, si bloccano quando alla propria azione non corrisponde la reazione attesa: «Cosa serve amare, se gli altri se ne approfittano? Perché devo fare tutto io nella mia casa (o comunità, o lavoro, o università) mentre gli altri pensano solo a se stessi?».

Vivendo come singolo tra o anche con gli altri, allora, non si arriverà a realizzarsi pienamente, né a sviluppare il disegno che Dio ha pensato per noi.   

Torniamo, allora, alle origini dell’essere persona, rileggendo nel libro della Genesi un’espressione che ben conosciamo ma che, se la cogliamo in profondità, non può non stupirci: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò»2.  

Siamo creati ad immagine di Dio, di un Dio che è amore, che è Trinità! Ma come si concretizza in noi questo? Vorrei lasciare la parola a Chiara Lubich: «Il Padre – commenta – genera il Figlio per amore: uscendo del tutto, per così dire, da sé, si fa, in certo modo, “non essere” per amore; ma è proprio così che è Padre. Il Figlio, a sua volta, quale eco del Padre, torna per amore al Padre, si fa anch’egli, in certo modo, “non essere” per amore, e proprio così è, Figlio…»3.

Vivere rapporti trinitari

Quando, quindi, cerchiamo di metterci al centro, di imporci, di difendere la nostra realizzazione, di diventare magari anche bravi cristiani… stiamo percorrendo la strada nella direzione sbagliata. Più andiamo verso noi stessi e più non siamo. Se invece, ad immagine della relazione tra le divine Persone, percorriamo la strada che ci fa uscire da noi stessi per donarci agli altri, allora siamo.

Noi siamo, se amiamo: se viviamo non tra o con gli altri, ma per gli altri.

Tale realtà viene plasticamente espressa in una espressione ancora di Chiara, dell’anno 1949: «Ho sentito che io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato da Dio in dono per me. Come il Padre nella Trinità è tutto per il Figlio ed il Figlio è tutto per il Padre»4.

Non siamo quindi creati come singoli che prima si realizzano e poi si donano, ma, fin dall’eternità, siamo pensati da Dio in relazione con gli altri. Esiste, potremmo dire, una primarietà ontologica della relazione: la nostra essenza come persona, cioè, non si esaurisce nel nostro essere ma è definita dalle relazioni con Dio e con gli altri. 

La strada della nostra realizzazione, anche se parrebbe a prima vista assurda, parte dal dimenticarci di noi, dall’essere “morti” perché interamente donati.

È chiaro, allora, che l’intessere rapporti autentici di questo tipo con chi incontriamo non è solo un gesto di cortesia o un modo di farci vedere socievoli e disponibili: è il nostro essere, la nostra vita.

Io sono se amo! Mi realizzerò, quindi, essendo in relazione con gli altri in modo positivo: donando e anche sapendo ricevere. Infatti, lo sperimentiamo ogni giorno e lo sottolineano psicologi e pedagogisti, è l’altro che permette alla nostra identità di affermarsi e svilupparsi. È nel volto dell’altro che io mi ritrovo.

La sfida dei rapporti e il senso della vita

La sfida dei rapporti è, in definitiva quindi, la sfida della vita. È importante esserne consapevoli per poter fare ogni giorno le scelte giuste. Così, in ogni momento potremo dire di sì all’altro o rinchiuderci in noi stessi, magari giustificandolo con buoni motivi.

Potremo studiare per conoscere e sapere più degli altri, o potremo farlo per poter donare ciò che abbiamo appreso; potremo puntare ad una buona posizione, o metterci al servizio; potremo imporre la nostra idea, o posporla per capire profondamente quella dell’altro…

Se lo faremo nelle piccole scelte quotidiane, diventerà un nostro modo di essere e saremo veramente morti a noi stessi per donarci senza vincoli. «Bisogna riuscire a disarmarsi… – diceva con profonda saggezza il Patriarca Athenagoras di Costantinopoli –. Non ho più paura di niente, perché l’amore scaccia la paura. Sono disarmato dalla volontà di spuntarla, di giustificarmi alle spalle degli altri. Non sono più all’erta, gelosamente aggrappato alle mie ricchezze. Accolgo e condivido. Non tengo particolarmente alle mie idee, ai miei progetti. Se ne vengono proposti altri migliori, li accetto volentieri. O piuttosto non migliori, ma buoni. Lo sapete che ho rinunciato al comparativo»5.

Se oggi partecipate a questo Congresso, sicuramente avete già fatto scelte importanti e superato ostacoli. Ma ogni giorno vi troverete davanti a nuove scelte. E ci vorranno coraggio e pazienza.

Coraggio di accettare voi stessi così come siete, con la serenità di sapervi figli di un Dio che ama proprio voi; e per conoscere, accettare e amare gli altri diversi da voi. Coraggio, poi, per cambiare in quegli aspetti che non vi permettono di entrare in relazione costruttiva con gli altri; e per aiutare, senza pretese, gli altri a cambiare.

Pazienza per ricordarvi che un lungo viaggio comincia con un piccolo passo fatto nel presente. Pazienza per poter riprendere il cammino quando si sbaglia, senza chiudersi in un «non ce la faccio», ma dicendo: «non ce l’ho ancora fatta, ma posso farcela».

Vivrete così un’avventura unica: morti a voi stessi per donarvi a Dio e ai fratelli, sperimenterete la luce e la gioia che l’amore vi porta attraverso di loro e godrete per frutti e frutti che mai avreste potuto donare basandovi solo sulle vostre capacità. Veramente il chicco che muore porta molto frutto6!

Un’avventura che non terminerà su questa terra ma proseguirà in Cielo, dove resterà solo l’amore e il nostro essere-in-relazione si manifesterà in tutta la sua bellezza e ricchezza, come potete scoprire sempre di più in questi giorni.

Francesco Châtel

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1) Con conseguente riflusso nel privato e nell’egocentrismo, come sottolineato da tante ricerche svolte in diversi Paesi. Per l’Italia: Cf C. Buzzi – A. Cavalli – A. De Lillo (a cura di), Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna 2007.

2) Gn 1, 27.

3) C. Lubich, Spiritualità dell’unità e vita trinitaria. Lezione per la Laurea h.c. in Teologia, in “Nuova Umanità” 26 (2004/1) n. 151, 15.

4) C. Lubich, Scritti Spirituali/1, Città Nuova, Roma 19913, 134.

5) Cf O. Clément, Dialoghi con Atenagora, Gribaudi, Torino 1972.

6)         Cf Gv 12, 24