Guardando la realtà

In apertura del Congresso, nel corso della presentazione dei partecipanti, seminaristi di varie regioni del mondo hanno brevemente descritto la situazione delle vocazioni e dei presbiteri nel loro contesto socio-culturale. Riportiamo qui quattro loro testimonianze.

Dall’Irlanda

Colin, tu sei diacono irlandese, puoi dirci quali problemi oggi si trova ad affrontare un prete nel tuo paese e quali sono i tuoi propositi?

Il mio paese si trova in un momento di profonda crisi d’identità e direzione. C’è paura e confusione, la scristianizzazione, il materialismo, il consumismo. L’unica risposta sembra essere la sicurezza economica e il gruppo ristretto dei propri famigliari, degli amici, senza nessuna speranza d’una vita dopo la morte. Aumenta l’uso delle droghe e dell’alcol. Dopo la scoperta che sacerdoti amati e conosciuti erano di fatto grossi bugiardi, è nata una sfiducia nei confronti della Chiesa. Regna un clima di sospetto nei confronti dei sacerdoti. Visitando le scuole mi chiedo se i genitori avranno il timore che anche io, sconosciuto, potrei abusare dei loro figli. Personalmente tutto questo mi dà la certezza che per il sacerdote di oggi l’unica via che crea fiducia è l’amore cristiano. Perché l’amore vero non si confonde con qualsiasi altra cosa: dà sempre nuova vita alla gente e alla Chiesa.

Colin Rothary

Dalla Polonia

Come è la situazione del clero in Polonia?

In Polonia godiamo ancora di un grande numero di vocazioni al sacerdozio. La maggior parte dei seminaristi proviene da gruppi di chierichetti  o da movimenti ecclesiali animati, nella maggioranza dei casi, da sacerdoti. Tanti seminaristi hanno scoperto la loro vocazione in seno a queste realtà ecclesiali.

Nonostante questa abbondanza di vocazioni, i nostri sacerdoti soffrono quasi tutti di un sovraccarico di lavoro. Le molte ore di catechesi nelle scuole consumano tanta forza e tempo per preparare bene le lezioni. In quasi tutti i campi della pastorale e nella maggioranza dei gruppi parrocchiali sono i sacerdoti a fare da animatori. Poi c’è tutto il lavoro amministrativo, e ci sono i diversi consigli nelle parrocchie a cui presiedono. Ne può nascere un attivismo esagerato che porta alla stanchezza.

Alcuni, affaticati, come relax trascorrono tante ore davanti alla TV o navigano in internet. Così si impoveriscono i rapporti con gli altri sacerdoti e con i laici. Viene a mancare  il tempo per la preghiera e per la meditazione, per la lettura spirituale e per la preparazione dell’annuncio della Parola, per la direzione spirituale.

Krzysztof Mlotek

Dall’Italia

Come fare a non deprimersi in mezzo alle realtà del mondo d’oggi?

Un giorno in seminario, dopo pranzo, ho preso in mano il giornale e come al solito non vi ho trovato niente di buono.

Dentro di me un senso di angoscia mescolata a una tristezza profonda… omicidi, guerre, ingiustizie, suicidi… Scappai in cappella. Rivolgendomi a Gesù quasi piangevo. Cercavo di pregare sia per tutta quella gente, di cui avevo letto, ma anche per me e per i miei compagni: «Signore come potremo dare speranza a questo mondo? Il mondo che soffre… cosa se ne farà di noi?».

Il Signore mi suggerì le parole di un canto: «Dimmi perché c’è il dolor quando il mondo cerca amor… una parola solo mi hai dato come risposta ai miei perché, mi hai detto ama se vuoi capire vedrai la luce sgorgare in te». Ho capito che non devo temere, devo solo amare, amare, amare sempre… al resto ci penserà Lui.

Claudio Maino

Dall’Uganda

Come si presenta la situazione dei sacerdoti in una società tradizionale come quella dell’Uganda?

Nel mio Paese, com’è noto, ci sono tanti problemi nella società e tra i sacerdoti. Uno dei principali è il seguente. In Africa la famiglia ricopre un ruolo molto importante, anche per i sacerdoti.  In famiglia, i sacerdoti – come tutti gli altri – si sentono amati, incoraggiati, sostenuti e corretti. Si può condividere liberamente la propria vita. Dopo l’ordinazione, però, molti sacerdoti sentono la mancanza  dell’appartenenza  a una vera famiglia. Nella parrocchia e nel presbiterio  spesso non trovano questa reciproca attenzione: l’amore evangelico, la condivisione, la correzione e  l’incoraggiamento. Iniziano, quindi, una vita individualistica che porta con sé la solitudine e altri problemi.

Da noi  il sacerdozio è visto spesso come un privilegio e una promozione sociale. Per cui c’è chi sceglie il sacerdozio per questo motivo e non per Dio. C’è il pericolo allora che prima o poi prevalga l’attaccamento a una vita confortevole e ci si lasci prendere dall’orgoglio. Così diventa difficile dare una testimonianza autentica del Vangelo. In molte zone dell’Uganda, la gente non dispone delle cose  più basilari della vita, come l’acqua pulita, la casa, il cibo e il vestiario. Eppure la società si aspetta che  i sacerdoti siano uomini di Dio, e che proprio per questo abbiano una preferenza per i poveri e gli emarginati. Solo con l’amore verso tutti – come l’abbiamo imparato in modo così concreto e sapiente da Chiara – troviamo una via per evitare più facilmente questi pericoli e per creare una comunità dove l’amore vero circoli fra tutti.

John Mary