Uno sguardo ai seminari oggi

Quale la situazione e quali i tratti fondamentali della formazione dei futuri presbiteri? L’Autore, teologo, consultore della Congregazione per l’educazione cattolica, responsabile del centro dei sacerdoti diocesani focolarini, guarda con realismo alla vita attuale dei seminari e evidenzia linee di rinnovamento della formazione ispirate al cuore del messaggio evangelico e rispondenti ai segni dei tempi.

Abbiamo fatto insieme, in apertura di questo Congresso, un interessante giro attraverso il mondo1. E pensare che ciascuno dei presenti avrebbe da aggiungere qualcosa a questo quadro sulla situazione dei seminari nei cinque continenti! Cercherò di evidenziare qui alcune grandi linee.

I numeri

Una buona notizia: non siamo affatto una categoria in estinzione. Quando io studiavo, i seminaristi diocesani nel mondo erano poco più di 50.000. Oggi sono oltre 72.000. La maggiore crescita si è verificata nell’America Latina e nell’Africa, e anche in Asia.

Ma c’è pure un grido di dolore. Ci giunge soprattutto dal Nord delle Alpi: le cinque diocesi delle Fiandre tutte insieme hanno solo 18 seminaristi. In Irlanda, dai 450 che erano a metà degli anni ’90, sono arrivati ad essere poco più di 60. Nell’Est Europeo fino a poco fa fiorente, è iniziata un’improvvisa diminuzione delle vocazioni.

Questi ultimi, assieme ad altri analoghi, possono sembrare dati negativi. In realtà si tratta di una purificazione delle comunità cristiane chiamate a esprimere una vita più evangelica, capace di generare vocazioni forti; e di una purificazione dei chiamati: nelle società del benessere diventare sacerdote non offre più una posizione privilegiata, un ruolo comodo e sicuro, ma è una scelta controcorrente che può nascere solo da un incontro forte e profondo con Gesù.

È questo, mi pare, un primo passaggio che è in atto oggi nel mondo dei seminari: dalla scelta del sacerdozio alla più fondamentale scelta di Dio che ne è la base.

Mi fa impressione come, da questa più profonda scelta di Dio, oggi nascono splendide chiamate che fanno pensare ai primi tempi del cristianesimo quando tutt’attorno la società era in decadenza. E viene in mente la parola di Paolo: «Splendete come astri nel mondo, tenendo alta la Parola di Dio» (Fil 2, 15).

Il profilo del seminario

L’istituzione “seminario” è nata dopo il Concilio di Trento, per assicurare una solida formazione dei futuri sacerdoti, ben strutturata, con una precisa disciplina di vita. Concepiti così, i seminari erano uno spazio protetto, in cui poteva avvenire quell’iniziazione alla vita spirituale, alla conoscenza delle Scritture e della tradizione ecclesiale, alla vita liturgica e alla teologia, che era indispensabile per chi era chiamato ad essere presenza di Cristo in mezzo al suo popolo.

Oggi, con lo sviluppo onnipresente dei media, questo spazio protetto esiste sempre meno. Potrà essere chiusa a chiave la porta d’ingresso del seminario, ma col telefonino si varcano le recinzioni a tutte le ore. Potrà essere limitata la possibilità di andare al cinema, ma col proprio computer, e magari con l’internet, si possono vedere cose di ogni genere.

È cresciuto il rischio di una adesione solo di “facciata” alla formazione. Ufficialmente si può essere seminaristi perfetti, ma in realtà tutto potrebbe rimanere come prima.

Sta qui la chiamata ad un più di responsabilità: a far sintesi delle molteplici realtà  che ciascuno di noi porta dentro di sé, per non fare una doppia vita, ma essere persone intere, libere, coerenti, come Gesù.

Afferma la Pastores dabo vobis: il seminario «prima che essere un luogo, uno spazio materiale, rappresenta uno spazio spirituale, un itinerario di vita» (n. 42); «una continuazione nella Chiesa della comunità apostolica stretta intorno a Gesù, in ascolto della sua Parola, in cammino verso l’esperienza della Pasqua, in attesa del dono dello Spirito per la missione» (n. 60).

È questo un secondo passaggio che vedo in atto nei seminari: dal seminario istituzione al seminario scuola di Vangelo.

Spiritualità di comunione

Da sempre i seminari sono stati un luogo di interazione reciproca e di mutuo arricchimento, di comunanza di interessi e di vicendevole correzione, di formazione da parte dei responsabili. In genere questo avveniva nel contesto di una comunità numerosa: grandi edifici e lunghi corridoi...

Oggi si sente il bisogno che i seminari si articolino al loro interno in unità più piccole che rendano possibili relazioni più concrete e più intense, più comunionalmente evangeliche e quindi più formative e adeguate ai tempi. Sempre più spesso ciò si esprime anche nell’aspetto architettonico: non più una fila di stanze stile convento, ma unità abitative tipo “famiglia”.

Ma le strutture non bastano per assicurare un’effettiva vita di comunione. Senza una spiritualità di comunione – ha avvertito Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte – «a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita» (n. 43).

È la dolorosa esperienza di non pochi seminaristi e formatori. Parliamo tutti, sì, di “comunione”, ma spesso siamo assai disillusi riguardo alla possibilità di realizzarla. Oltretutto, in tempi recenti sembra avanzare una mentalità da singles ecclesiastici. Mi sembra una vera tentazione!

Ed ecco allora un terzo passaggio richiesto oggi ai seminari: da una mentalità e una spiritualità piuttosto individuali a una spiritualità di comunione.

Missione: la sfida dei rapporti

Parliamo del futuro come sacerdoti. Leggendo i risultati del sondaggio che si è  condotto in preparazione a questo congresso, le paure si concentrano in particolare  in questo campo: ce la farò? sarò ascoltato, accolto? riuscirò ad essere fedele?

Ma che cos’è la missione? Annunciare Cristo come Salvatore? Senz’altro. Battezzare, catechizzare, celebrare la messa, guidare? Certamente. Ma qual è in definitiva il mistero che annunciamo e celebriamo?

Benedetto XVI ci risponde: Dio Amore, Dio comunione che per mezzo della Chiesa vuole estendere la sua vita fino agli ultimi confini della terra. È questa la grande visione che ci offre il Concilio Vaticano II: la Chiesa come fermento di rapporti nuovi, fraterni, ad immagine del Dio uno e trino, come germe di un’umanità nuova dove si vive ciascuno con e per l’altro: in unione con Dio innanzi tutto, e quindi unito a tutti gli altri (cf LG 1, 4 e 9). «Spazio del mondo riconciliato», la chiamò Agostino. È più esplicito ancora san Bonaventura: «Ecclesia enim mutuo se diligens est», che potremmo tradurre: «La Chiesa è l’evento dell’amore reciproco».

Come sacerdoti non possiamo non puntare lì. Sta qui un quarto passaggio che è in atto: dall’apprendere tanti dettagli pur importanti per l’azione pastorale all’acquisire soprattutto la capacità di stabilire rapporti comunionali con tutti.

Mi ha scritto qualche anno fa un seminarista alla vigilia della sua ordinazione, oggi qui presente come un sacerdote realizzato, felice: «Non avrei mai il coraggio di consacrare l’Eucaristia, se non avessi imparato innanzi tutto a consacrare con l’amore tutti i rapporti».

Il sacerdote – ebbe a dire André Malraux – è «l’uomo dei rapporti profondi». Oggi diremmo, rapporti che hanno la radice e profondità esemplare nella vita stessa del Dio Uno e Trino. È così che lo vedono e lo presentano i documenti per la formazione sacerdotale, dalla Ratio fundamentalis alla Pastores dabo vobis2.

Sono convinto che la “sfida dei rapporti” è la sfida per il futuro del Vangelo e della Chiesa nel mondo di oggi e del domani, e quindi la sfida per i seminari.

Hubertus Blaumeiser

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1) Cf le testimonianze riportate alle pp. 9-10 di questo Quaderno.

2) Cf Ratio fundamentalis 3; Pastores dabo vobis 12, che si rifanno alla visione espressa dal Concilio Vaticano II nel Decreto Presbyterorum Ordinis 7-9.