Meditando col Papa
sul sacerdozio

Tutte le volte che il Santo Padre ha avuto occasione di incontrare i sacerdoti, ha aperto loro il suo cuore, parlando a braccio. Ero perciò molto curioso di sapere cosa avrebbe detto all’inizio dell’Anno Sacerdotale prendendo in mano la penna.

Al sentire che quest’Anno si sarebbe incentrato sul santo curato d’Ars, non nascondo che ho avuto un certo timore. La figura di questo sacerdote santo, così come è stata presentata nel passato da certa agiografia, non avrebbe potuto oscurare un po’ il cammino fatto dal Concilio Vaticano II riguardo alla concezione di Chiesa e quindi del ministero sacerdotale? Non c’era il pericolo di esaltare il sacerdozio ministeriale al di fuori e al di sopra del sacerdozio battesimale, indebolendo l’impegno della comunione ecclesiale e della visione conciliare dell’unico popolo di Dio, corpo mistico di Cristo? Il Popolo di Dio infatti si articola nella varietà dei doni, fra i quali quello del minstero ordinato occupa senz’altro un posto particolare.

Con gioia ho dovuto ricredermi.

Nella lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale il Papa scrive con molta chirezza: «Il suo esempio (del curato d’Ars) mi induce a evidenziare gli spazi di collaborazione che è doveroso estendere sempre più ai fedeli laici, coi quali i presbiteri formano l’unico popolo sacerdotale e in mezzo ai quali, in virtù del sacerdozio ministeriale, si trovano “per condurre tutti all’unità della carità, ‘amandosi l’un l’altro con la carità fraterna, prevenendosi a vicenda nella deferenza’ (Rm 12, 10)”.

È da ricordare, in questo contesto, il caloroso invito con il quale il Concilio Vaticano II incoraggia i presbiteri a “riconoscere e promuovere sinceramente la dignità dei laici, nonché il loro ruolo specifico nell’ambito della missione della Chiesa… Siano pronti ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovandosi della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell’attività umana, in modo da poter insieme a loro riconoscere i segni dei tempi».

Il sacerdote nel Popolo di Dio

Il Papa ha ben chiaro quale posto il sacerdote occupa in mezzo al Popolo di Dio: egli non è un gerarca al di sopra degli altri, ma un battezzato con il delicato e gravoso compito di “rappresentare” Gesù buon Pastore e quindi a servizio di tutti. E per far bene questo deve essere unito al vescovo e agli altri presbiteri ed avere attorno a sé laici corresponsabili della diffusione del Regno di Dio.

D’altra parte Benedetto XVI aveva già esposto questo pensiero nel Convegno annuale della diocesi di Roma lo scorso mese di maggio: «È necessario migliorare l’impostazione pastorale, così che, nel rispetto delle vocazioni e dei ruoli dei consacrati e dei laici, si promuova gradualmente la corresponsabilità dell’insieme di tutti i membri del Popolo di Dio. Ciò esige un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli “collaboratori” del clero al riconoscerli realmente “corresponsabili” dell’essere e dell’agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato».

Il Papa ci mostra l’impegno personale del curato d’Ars di mettere al primo posto Dio e non la sua persona e lo faceva ritirandosi in preghiera e praticando anche dure penitenze secondo lo stile del tempo, ma poi sapeva vivere con la sua gente e manteneva rapporti veri con il suo vescovo e con i sacerdoti. Viveva veramente i consigli evanglici e veniva incontro anche alle necessità materiali del suo popolo con opere sociali. Per il suo tempo era un prete di avanguardia: capiva le necessità umane, ma con lo sguardo verso l’alto per scoprire i disegni di Dio sul suo popolo

I due aspetti della vita cristiana

Leggendo con attenzione la vita del Vianney, troviamo in lui ben vissuti questi due aspetti di ogni autentica spiritualità cristiana: il personale e intimo rapporto con Dio e il rapporto d’amore che si fa servizio verso ogni prossimo.

Il Papa ha messo in luce ambedue le cose che sono una. Scrive nella Lettera di indizione: «Mi viene subito alla mente una sua (del curato d’Ars) bella e commovente affermazione, riportata nel Catechismo della Chiesa Cattolica dove dice: “Il sacerdozio è l’amore del Cuore di Gesù” (n. 1589). Come non ricordare con commozione che direttamente da questo Cuore è scaturito il dono del nostro ministero sacerdotale? Come dimenticare che noi presbiteri siamo stati consacrati per servire, umilmente e autorevolmente, il sacerdozio comune dei fedeli? La nostra è una missione indispensabile per la Chiesa e per il mondo, che domanda fedeltà piena a Cristo ed incessante unione con Lui; esige cioè che tendiamo costantemente alla santità come ha fatto san Giovanni Maria Vianney»

Una nuova primavera nella Chiesa

Tutto questo il Papa lo ha messo ben in luce scrivendo: «Nel contesto della spiritualità alimentata dalla pratica dei consigli evangelici, mi è caro rivolgere ai sacerdoti, in quest’Anno a loro dedicato, un particolare invito a saper cogliere la nuova primavera che lo Spirito sta suscitando ai giorni nostri nella Chiesa, non per ultimo attraverso i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità. “Lo Spirito nei suoi doni è multiforme… Egli soffia dove vuole. Lo fa in modo inaspettato, in luoghi inaspettati e in forme prima non immaginate… ma ci dimostra anche che Egli opera in vista dell’unico Corpo e nell’unità dell’unico Corpo”.

A questo proposito, vale l’indicazione del Decreto Presbyterorum ordinis: “Sapendo discernere quali spiriti abbiano origine da Dio, (i presbiteri) devono scoprire con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici, devono ammetterli con gioia e fomentarli con diligenza” (n. 9). Tali doni che spingono non pochi a una vita spirituale più elevata, possono giovare non solo per i fedeli laici ma per gli stessi ministri. Dalla comunione tra ministri ordinati e carismi, infatti, può scaturire “un valido impulso per un rinnovato impegno della Chiesa nell’annuncio e nella testimonianza del Vangelo della speranza e della carità in ogni angolo del mondo”».

Non deve sorprenderci se poi egli continua così: «Vorrei inoltre aggiungere, sulla scorta dell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis del Papa Giovanni Paolo II, che il ministero ordinato ha una radicale “forma comunitaria” e può essere assolto solo nella comunione dei presbiteri con il loro vescovo. Occorre che questa comunione fra i sacerdoti e col proprio vescovo, basata sul sacramento dell’Ordine e manifestata nella concelebrazione eucaristica, si traduca nelle diverse forme concrete di una fraternità sacerdotale effettiva ed affettiva. Solo così i sacerdoti sapranno vivere in pienezza il dono del celibato e saranno capaci di far fiorire comunità cristiane nelle quali si ripetano i prodigi della prima predicazione del Vangelo».

È con queste significative attualizzazioni che il grande modello del curato d’Ars continuerà ad essere significativo punto di riferimento anche per i sacerdoti di oggi.

Enrico Pepe