Riflessione ecclesiologica-pastorale

Cristo nel cuore della società

 

Le riflessioni che qui riportiamo, sono state proposte a conclusione del Convegno di vescovi amici del Movimento dei focolari che, nel febbraio scorso, ha riunito a Castel Gandolfo circa 80 vescovi di quattro continenti per approfondire il tema «Cristo nel cuore della società. Le piccole comunità cristiane e altre forme di irradiazione del Vangelo».

Mi è stato chiesto di offrire alla fiine di questa settimana una riflessione ecclesiologica e pastorale sul tema di questo Convegno: «Cristo nel cuore della società». Penso che, dopo aver ascoltato tante esperienze concrete, sia il momento migliore per tentare una tale riflessione. Il primum, infatti, è la fede vissuta, il mistero vitalmente approfondito e assimilato, sul quale in un secondo momento possiamo poi anche riflettere. Parafrasando la nota espressione di Anselmo d’Aosta «fides quaerens intellectum», potremmo dire: «vita quaerens intellectum»: la vita ci invita a un approfondimento anche teologico.

Da dove cominciare in questa riflessione ecclesiologica e pastorale?

Proporrei di partire dal fatto che nel titolo di questo Convegno non ricorre affatto la parola “Chiesa”. “Cristo” e la “società”, ovvero l’umanità nella sua complessità e vastità, sono i due termini in gioco. E la Chiesa? La Chiesa è il “tra”, il “tramite” fra questi due termini. Ma un tramite che è chiamato quasi a scomparire perché i due termini – Cristo e la società, Cristo e l’umanità – si incontrino.

La Chiesa Trasparenza di Dio

Non un ecclesiocentrismo quindi, ma una Chiesa “estroversa”, protesa tutta verso l’umanità; e allo stesso tempo una Chiesa che sia il più possibile trasparenza di Dio, e quindi Chiesa mariana: un popolo che non pone al centro se stesso e la propria vita, ma Dio; e dona non se stesso, ma Dio.

Ma è giusto vedere la Chiesa così? È legittimo impostare le cose in questo modo? Una Chiesa che sia, per dirlo con un’espressione cara al vescovo Klaus Hemmerle, Expo di Dio, esposizione, mostra di Dio, e, se vogliamo, anche “fonte” da cui si può attingere Dio?

Ci indirizza in questa direzione lo stesso Benedetto XVI. Quando nel febbraio del 2000 si svolse in Vaticano un “Simposio sull’attuazione del Concilio Vaticano II”, l’allora card. Ratzinger intervenne con un contributo su “L’ecclesiologia della Costituzione Lumen Gentium”. E fece questa affermazione: «Subito la prima frase della Costituzione sulla Chiesa chiarisce che il Concilio non considera la Chiesa come una realtà chiusa in se stessa, ma la vede a partire da Cristo: “Cristo è la luce delle genti; e questo sacro Concilio, adunato nello Spirito Santo, ardentemente desidera che la luce di Cristo, riflessa sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini…”1». «Sullo sfondo – osservò il Card. Ratzinger – riconosciamo l’immagine presente nella teologia dei Padri, che vede nella Chiesa la luna, la quale non ha da se stessa luce propria, ma rimanda la luce del sole Cristo2»3. E disse con forza: «Il discorso sulla Chiesa è un discorso su Dio, e solo così è corretto»4.

Saremo senz’altro tutti d’accordo su questa affermazione. Ma come far sì che nella pratica, nel vissuto quotidiano, il discorso sulla Chiesa sia “discorso su Dio”; ovvero: come far sì che la Chiesa, in tutto quello che fa e che dice, sia davvero “trasparenza di Dio” e non ombra che oscura la vita, la luce di Dio?

«Chiesa-Gesù»:
visibilità della sua vita

È qui che la realtà di “Gesù in mezzo ai suoi”, mostra tutta la sua attualità. Dove c’è Lui fra due o più persone, la Chiesa diventa “teofora”, “cristofora” – portatrice di Dio, di Cristo – e non solo perché custodisce nel suo seno il grande tesoro dell’Eucaristia e degli altri sacramenti e il tesoro della Parola, che è anch’essa presenza di Dio, ma perché la Chiesa stessa, nella sua dimensione umana e concreta, nella sua vita nello spazio e nel tempo, fa trasparire Dio, quel Dio che si è unito a Lei nel battesimo e nell’Eucaristia, ma che vuole apparire sul suo volto, nei suoi gesti, nelle sue parole.

In questo senso, Benedetto XVI e, in piena sintonia con lui, Chiara Lubich, ci chiamano a un passo che va in un certo senso oltre la Chiesa-comunione: si tratta di essere sempre più Chiesa-Gesù, visibilità della vita e dell’amore di lui. O nelle parole di Paolo: Corpo di Cristo.

Piccole comunità:
cellule vive

La realtà delle piccole comunità cristiane, che vivono con semplicità e radicalità la Parola di Dio, le piccole cellule che con l’amore reciproco manifestano la vita e la presenza del Cristo Risorto, sono un passo decisivo in questa direzione. Col loro moltiplicarsi il tessuto della vita della Chiesa si vivifica e rende visibile Cristo in sempre più punti. Con ciascuna di queste cellule vive, un bagliore della Gerusalemme celeste comincia a risplendere sulla terra e manifesta quel Dio Amore, quel Dio uno e trino di cui Papa Ratzinger, nella sua prima enciclica, ha fatto il programma del suo pontificato. Deus caritas est: è questa la costatazione che gli uomini devono poter fare quando vedono la vita delle nostre diocesi, delle nostre parrocchie, delle piccole comunità.

La Chiesa nel mondo:
sorgente di rapporti nuovi

Ma tentiamo ancora un secondo percorso, che ci fa rileggere in chiave ecclesiologica e pastorale quello che si è vissuto e approfondito in questi giorni.

 “Cristo nel cuore della società”. Con questo non si intende ritornare alla situazione della christianitas, in cui la Chiesa era al centro della società e i suoi ministri, spinti da particolari circostanze storiche, influivano molto direttamente sul governo della comunità civile. E non si intende neppure sacralizzare, ovvero dotare di una sovrastruttura religiosa, i vari ambiti della vita e della convivenza umana. Ma ci poniamo piuttosto nella scia del Concilio Vaticano II che ha voluto la Chiesa radicalmente immersa nella vita dell’umanità, partecipe delle gioie e delle speranze, ma anche delle tristezze e delle angosce dei propri contemporanei (cf GS 1); e l’ha presentata, in seno all’umanità, come “segno e strumento d’unità”, modello e sorgente di unione degli uomini con Dio e tra di loro (cf LG 1). In questo modo, il Concilio vedeva Dio e la Chiesa non tanto al vertice della società, ma al cuore, come fonte di un supplemento d’amore, come sorgente di rapporti nuovi e di uno spirito nuovo.

E viene in mente la ben nota profezia del cap. 47 di Ezechiele che parla delle acque che escono dal tempio e come un fiume inondano la terra, risanando tutte le acque e suscitando sovrabbondante vita: pesci in gran numero e alberi di ogni sorta che portano frutto ogni mese e le cui foglie – dice il profeta – sono come medicina. C’è in questo brano un tratto assai sorprendente che non può non far riflettere: quanto più le acque si allontanano dal tempio, tanto più diventano profonde e feconde.

Moltiplicare la presenza di Cristo
là dove le persone vivono

Qualcosa di simile avviene attraverso le piccole comunità cristiane e forse più ancora attraverso le cellule d’ambiente. Esse moltiplicano la salutare presenza di Cristo nel mondo e la rendono operante là dove le persone vivono, come abbiamo potuto sentir raccontare in questi giorni: nelle famiglie, nelle varie articolazioni di una parrocchia, in un ospedale, nei quartieri di una città, nel mondo delle scienze e della cultura…

Che cosa opera la presenza di Cristo in questi luoghi? A guardare gli esempi che abbiamo potuto conoscere, essa suscita ovunque rapporti nuovi; rapporti che sono la piena realizzazione, anzi la salvezza della persona umana, che inizia di qua e si compirà in Paradiso: rapporti di condivisione e di solidarietà, di mutuo aiuto e di fraternità, di reciprocità. Rapporti nuovi con Dio e con gli altri: un solo Padre e tutti fratelli. E così la presenza di Cristo rinnova dal di dentro la convivenza umana: i rapporti politici, sociali, economici, il mondo della comunicazione, dell’educazione, ecc.

È il sogno che abbiamo sentito espresso da Chiara quando ha parlato della “Risurrezione di Roma”: «Allora tutto si rivoluziona: politica ed arte, scuola e religione, vita privata e divertimento. Tutto. (…) Gesù (…) è la Vita, è la Vita completa. Non è solo un fatto religioso (…). No, Egli è l’Uomo, l’uomo perfetto, che riassume in Sé tutti gli uomini. E chi ha trovato quest’Uomo ha trovato la soluzione di ogni problema umano e divino».

Un’ostia nella società

Quando, alla fine degli anni ‘80 si tenne in Corea il Congresso eucaristico internazionale, il card. Stefano Kim, ebbe questo ardente desiderio: vorremmo essere “come una grande ostia nella società”. Presenza di amore, fonte di rapporti nuovi, come Gesù eucaristia; rapporti fraterni che affondano le loro radici nella vita delle divine Persone (cf LG 4) e diventano così – come ebbe ad affermare il Concilio Vaticano II – «per tutta l’umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza» (LG 9).

Essere un’ostia nella società, presenza di Cristo e del suo amore, fonte di rapporti improntati alla vita del Dio uno e trino: è questa la chiamata e la missione delle piccole comunità cristiane e delle cellule d’ambiente. Quanto più esse sapranno arrivare lontane dal “tempio”, cioè quanto più sapranno oltrepassare l’ambito della vita strettamente religiosa ed ecclesiale e farsi presenti in mezzo alle case degli uomini e nei luoghi di lavoro, nella vita dei singoli e della società, restando allo stesso tempo saldamente ancorati al “tempio”, cioè alla presenza di Cristo, tanto più – secondo la profezia di Ezechiele – porteranno “acqua” e saranno feconde.

E viene da pensare ai primissimi secoli della Chiesa, quando le circostanze non permettevano ancora di avere luoghi pubblici di riunione e strutture su cui fare affidamento, ma il cristianesimo era vita che dilagava. Conosciamo tutti il noto brano della Lettera a Diogneto che si chiede che cosa sono i cristiani nel mondo e, dopo averne disegnato un affascinante quadro, conclude: «A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani»5.

Oggi viviamo in una situazione assai diversa. Fortunatamente la Chiesa in quasi tutti i posti può avere una sua espressione pubblica e istituzionale. Ma allo stesso tempo lo Spirito ai nostri giorni sembra spingere il Popolo di Dio – non per ultimo attraverso gli odierni carismi e movimenti – a tornare alle origini e a ravvivare quella che è la dimensione primordiale della sua vita: essere comunione in atto e diventare così “anima” della convivenza umana in ogni sua espressione.

Le piccole comunità cristiane e le cellule d’ambiente sembrano uno strumento privilegiato per questo. A partire da esse si può realizzare quella profonda comprensione della natura della Chiesa che san Bonaventura nel XIII secolo ha espresso in queste parole: «Ecclesia enim mutuo se diligens est – la Chiesa è l’evento dell’amore reciproco»6. Visione che, nove secoli prima, Sant’Agostino, secondo lo spirito dei Padri aveva espresso nella formulazione: la Chiesa è spazio del “mondo riconciliato”7.

Pilastri su cui poggiano
le piccole comunità cristiane

Ma domandiamoci in conclusione: che cosa sostiene queste cellule e queste piccole comunità cristiane? Quali i pilastri su cui poggiano?

Esse sono – come ha sottolineato nel suo intervento Mons. Hirmer8 – “piccole Chiese”. Come tali esse non possono non portare in sé i tratti costitutivi delle prime comunità cristiane che gli Atti degli Apostoli descrivono così: «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2, 42).

Se le piccole comunità verso l’esterno agiscono come lievito di unità e quindi come fermento di una socialità nuova caratterizzata dalla fraternità e dalla reciprocità (l’unione fraterna), al loro interno esse sono sostenute da una robusta vita teologale (le preghiere). In questa duplice dimensione della loro vita – sociale e teologale – sono alimentate da un lato dall’ascolto e dall’attuazione della Parola di Dio (l’insegnamento degli Apostoli) e dall’altro dall’eucaristia e da tutta la vita sacramentale (la frazione del pane) che le mantiene saldamente unite con l’insieme della Chiesa e col ministero ordinato.

È proprio per questa loro ecclesialità, che esse possono essere come i vasi capillari della vita della Chiesa, presenza di Cristo nel cuore della società.

Ma vorrei fare qui un’ultima considerazione. Perché una cellula o piccola comunità possa irradiare tutta la luce e la vita di Gesù, vale a dire: perché sia Gesù-Chiesa ovvero – per usare il linguaggio di Chiara – perché testimoni “Gesù in mezzo”, occorre che la Parola e l’Eucaristia siano assimilate e vissute eis to telos – fino alla fine (cf Gv 13, 1). Occorre cioè che la Parola sia messa in pratica con la misura di Gesù in croce: «Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). E occorre che l’Eucaristia venga non solo celebrata e ricevuta, ma vissuta nella sua piena dimensione pasquale e sacrificale: come dono di sé senza riserve a Dio e ai fratelli. Così la comunione con la Parola e quella con l’Eucaristia si compiono nella piena comunione con i fratelli, com’è testimoniata dagli Atti degli Apostoli quando affermano che la moltitudine dei credenti era «un cuore solo e un’anima sola» e «ogni cosa era tra loro comune» (4, 32).

Allora si stabilisce “Gesù in mezzo” e si attualizza in pienezza non solo quello che la Chiesa è in sé, cioè il Corpo di Cristo, ma si verificano pure le condizioni perché le piccole comunità cristiane possano essere a tutti gli effetti presenza viva e operante di Cristo nel cuore della società.

Hubertus Blaumeiser

 

1)    LG I, 1.

2)    Cf. H. Rahner, Symbole der Kirche. Die Ekklesiologie der Väter, Salzburg 1964, pp. 89-173.

3)    L’ecclesiologia della Costituzione Lumen Gentium, in Nuova Umanità 22 (2000/3-4) 396.

4)    Ibid., 397.

5)    Cf. Lettera a Diogneto (2° sec. dopo Cristo) 6, 1.

6)    Esamerone I, 4. Secondo Klaus Hemmerle si tratta della “più audace definizione della Chiesa” che egli conosca (Partire dall’unità, La Trinità come stile di vita e forma di pensiero, Roma 1998, p. 145).

7)    Agostino, Sermones 96, 7, 9.

8)    Nel corso del Convegno il vescovo sudafricano Oswald Hirmer ha presentato – attraverso un esempio pratico – “Small Christian Communities” diffuse ormai non soltanto in tutta l’Africa ma anche in Asia.