Alcuni effetti di Gesù in mezzo a noi nella pastorale

Parrocchia: comunione di comunità

 

L’autore di questa esperienza è parroco in un quartiere di periferia a Budapest e da lungo tempo docente universitario di teologia pastorale. Per cui la sua narrazione offre il doppio versante di una valida esperienza e di una riflessione teoretica che s’illuminano a vicenda.

Come viceparroco ho curato per sei anni gruppi di giovani e di sposati con un lavoro clandestino, perché severamente proibito nell’Ungheria sotto il regime comunista.

In quel tempo il mio vescovo ebbe la possibilità di mandare qualche sacerdote a Roma per studiare. Scelsi la sociologia, per conoscere meglio le dinamiche di gruppo, per applicare poi questa conoscenza nel lavoro pastorale.

Mentre ero a Roma conobbi il Movimento dei focolari e la sua spiritualità. Questa conoscenza mi trasformò la mia vita personale e anche la pastorale (nell’insegnamento e nella prassi).

Come professore mi è stata certamente utile la sociologia. Allo stesso tempo era proprio la sociologia a farmi capire meglio che il lavoro pastorale non può avere scopo più grande di quello di creare comunità dove vige un vero amore scambievole e dove Gesù può essere veramente e visibilmente presente fra due o tre riuniti nel suo nome.

Ho lavorato per 16 anni come educatore e professore nel seminario di Eger, poi anche nell’Università Cattolica di Budapest. Una parte dei seminaristi e degli adulti miei alunni hanno capito questo segreto: che il fine, lo scopo della pastorale è che siamo uno nell’amore, uno in Gesù, affinché la parrocchia sia un luogo dove Gesù si avverte la Sua presenza viva, perché “da questo tutti sapranno che siete i miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 14, 35).

Certo, non tutti hanno compreso questo – forse perché non ne ne vedevano l’esempio nel loro ambiente –, ma posso testimoniare che attorno a quei sacerdoti e laici che hanno accolto questo dono è nata una pastorale nuova, viva e feconda.

Alle prese con un ambiente
fortemente secolarizzato

Venti anni fa, dopo la svolta politica che c’è stata nei nostri paesi, ho chiesto al mio vescovo di diventare parroco in un quartiere nuovo di Budapest. Secondo i piani comunisti questi quartieri nuovi dovevano essere il modello di una generazione nuova di gente completamente atea. Per questo lo Stato non aveva permesso alla Chiesa di mettere piede in quei posti.

Dopo la caduta del comunismo il vescovo è riuscito a comperare in quel quartiere un piccolo appartamento per due di noi sacerdoti diocesani impegnati nel vivere la spiritualità dell’unità. Siamo andati ad abitarvi con la fede che Gesù poteva vivere fra persone unite nel suo nome. Abbiamo cercato di testimoniare che nella convivenza fra sacerdoti che attuano il comandamento nuovo Gesù è presente e “lo si vede”.

L’ambiente era veramente secolarizzato. Nel nostro quartiere c’erano grandi case costruite solo per ufficiali e poliziotti, che per forza dovevano essere comunisti ed atei. E anche i giovani, loro figli, non avevano quasi nessuna formazione religiosa.

Per celebrare la messa domenicale abbiamo ricevuto il permesso di usare la sala che in quel tempo apparteneva ancora al Partito comunista. Era l’unica sala nel quartiere con 200 posti a sedere. Per la prima messa abbiamo depositato l’invito nelle buche delle lettere di ogni casa. Sono arrivate 80 persone dei circa 20.000 battezzati cattolici del quartiere.

Il vero pastore: Gesù fra noi

Noi due sacerdoti eravamo convinti che il vero pastore in quel territorio poteva essere solo Gesù. E ci siamo detti che se lui era presente almeno fra noi due attraverso l’amore scambievole, avrebbe prodotto quegli effetti che solo lui sa suscitare. Con questa convinzione ci siamo promessi ogni mattina di cercare di vivere in modo che Lui potesse manifestarsi presente fra noi. Ogni giorno cercavamo non solo di meditare, pregare e possibilmente celebrare la messa insieme, ma dopo ogni equivoco o sbaglio abbiamo ricominciato rinnovando questo amore, questa fede fra noi. Credevamo che Gesù in mezzo a noi ci avrebbe indicato la via e avrebbe mostrato la sua presenza anche alla nostra gente.

Questo è stato lo scopo di tutta la nostra pastorale: far diventare il nostro “piccolo gregge” una comunità dove ciascuno cerca concretamente di amare l’altro in modo che Gesù sia presente fra tutti. Ogni catechesi dei giovani e degli adulti, ed anche dei bambini, ogni nostra liturgia o festa della comunitá invitavamo i pochi presenti ad avere questa fede, questa convinzione. E i giovani e gli adulti hanno cominciato, prima lentamente e poi sempre più, a capire e a praticare questo stile di vita. In questi venti anni abbiamo constatato che ne sono rimasti colpiti specialmente i “lontani” venuti a contatto con noi.

In un primo tempo si è formato un gruppo di adulti e due di giovani, oltre a quelli di bambini e di genitori. In questi gruppi si cercava di vivere ogni giorno – con azioni concrete – la Parola di Dio: specialmente le parole di Gesù che parlano dell’amore scambievole. Era una vera scuola, dove si imparava ad amare come Gesù ci ha amato.

Naturalmente ogni giorno era una nuova sfida anche per noi sacerdoti. Ma dopo due-tre anni quasi la metà dei membri di quei gruppi sapevano vivere in comunione e diventavano animatori di nuovi gruppi. Oggi esistono nella parrocchia una ventina di queste cellule o piccole comunità. Il mio primo compito oggi è curare coloro che ne sono gli animatori, aiutandoli a rinnovarsi costantemente nella preghiera, nel vivere la Parola, nell’amore verso i fratelli e nell’amore scambievole.

Le prime conversioni

Qualche mese dopo la nascita della comunità parrocchiale – e nel frattempo anche della costruzione del centro parrocchiale – cominciarono le conversioni, che sono costanti anche oggi. Conversioni dall’indifferentismo, dall’ateismo e anche da diversi gruppi religiosi liberi, popolarmente conosciuti come “sette”. Ci sono genitori prima indifferenti, venuti in contatto con la comunità  per aver scoperto un modo nuovo di vivere dei loro figli, e ci sono giovani che hanno scoperto la comunità per la rinnovata vita dei genitori. Ci sono convertiti che sono venuti da noi vedendo la vita trasformata in modo inatteso e sorprendente dei loro vicini. Ogni anno ci sono battesimi di giovani o adulti, che si preparano durante 2-3 anni attraverso il catecumenato. I membri della nostra comunità sono aumentati da 80 a cir-ca 800.

Nello stesso tempo si sperimenta, com’è ovvio, che l’amore non é facile. Si deve ogni giorno, ad esempio, saper accettare la diversità dell’altro.

Ci siamo incontrati con Gesù crocifisso e abbandonato come misura del nostro amore al prossimo e a Dio e l’abbiamo amato e riamato. È Lui la radice e la condizione della possibilità di ogni amore scambievole evangelicamente autentico.

I questi vent’anni della nostra parrocchia sono venute fuori difficoltà e disunità di ogni sorte. È stata una grande scuola, dove noi stessi e tanti della nostra comunità hanno imparato ad amare, “abbracciando” Gesú crocifisso ed abbandonato. E così tanti hanno sperimentato il mistero pasquale: che “passiamo dalla morte alla vita” quando amiamo i fratelli.

Nel frattempo è cresciuta una nuova generazione di giovani. Anche loro sono per noi una sfida. Ma in ogni difficoltà ritorniamo sempre alla legge di Gesù: «Amatevi come io ho amato voi», pronti a dare la vita, perché egli possa essere presente fra noi. E egli guarisce sempre le nostre ferite.

Vocazioni ed ecumenismo

Dalla comunità sono nate otto vocazioni alla vita consacrata: due sacerdoti, un seminarista diocesano, tre che hanno consacrato la loro vita nel focolare e altri due che sono entrati in ordini religiosi. Molte sono le famiglie giovani con tre, quattro, cinque bambini e coppie che vivono una vita donata a Dio e al prossimo.

È nato un bellissimo rapporto anche con altre Chiese cristiane. Tante volte ci dicono: «Se la Chiesa fosse stata sempre così, non sarebbero avvenute le divisioni».

Diverse parocchie vengono a visitarci e ci domandano quale è il “segreto” della nostra vita. E in ogni incontro persone della comunità e responsabili dei gruppi raccontano la loro esperienza personale e comunitaria.  Così sono nati contatti profondi con altre parrocchie e sacerdoti. Alcuni hanno cominciato a condividere la nostra stessa vita. Attualmente in Ungheria ci sono circa 30 sacerdoti che stanno facendo questa stessa esperienza nelle loro parrocchie in città o nei vallaggi.

Ferenc Tomka