La forza delle piccole cellule per umanizzare la società

Dove due o più… in ogni dove

 

La presente riflessione, proposta dalla sociologa brasiliana Vera Araújo, pur nella sua brevità, offre una panoramica utile per cogliere i cambiamenti in atto nel mondo – antropologici, sociali, culturali – e le sfide che pongono al cristianesimo, mostrando la risposta appagante e gravida di conseguenze che costituisce la spiritualità dell’unità.

Gesù, Verbo incarnato, è la piena realizzazione dell’essere umano ed è l’unica possibilità offerta all’umanità per raggiungere la pienezza della propria condizione.

Ciò è espresso in modo mirabile nella Gaudium et Spes: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Ada-mo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (n. 22).

La Chiesa, custode di questo messaggio, lo annuncia nella storia e, dunque, calandosi nella vita delle donne e degli uomini di ogni tempo. Non è perciò un optional conoscere questa condizione, onde realizzarla nel miglior modo possibile. In un certo qual senso nel mondo globalizzato questa analisi, proprio perché complessa, si fa ancor più esigente.

Cambiamento del mondo:
analisi sociologica

La realtà è che ci troviamo davanti a dei cambiamenti che introducono qualcosa di veramente nuovo nel senso pieno della parola. Si tratta di una “nuova condizione umana”1, di un mutamento epocale nella storia dell’umanità. Il sociologo polacco Bauman, uno dei più grandi analisti e interpreti del nostro tempo, afferma senza mezzi termini che «mai come in questo momento la ricerca di una condizione umana (con tutte le conseguenze pratiche derivanti) è apparsa così urgente e necessaria. Nell’era della globalizzazione, l’ideale e le politiche di una umanità condivisa si preparano a fare il passo più fatidico della loro storia»2.

La globalizzazione incide su tutti gli aspetti della vita umana: dall’economia alla comunicazione, dalla politica all’etica, e così via.

La domanda che può venire spontanea è: il processo di globalizzazione in atto è irreversibile o no?

Ci sono molte voci che sostengono che questo processo sia una “moda” e che in realtà sia già in via di estinzione e che ci stiamo avviando verso un’era post-globale.

Io sarei piuttosto dell’opinione opposta e concordo pienamente con la posizione di Bauman che afferma: «Opporre resistenza al processo di globalizzazione sarebbe come scendere in piazza contro un’eclissi solare. La globalizzazione intesa come un processo che instaura legami di interdipendenza a livello planetario intessendo trame di “vulnerabilità reciprocamente indotta” tra tutti gli abitanti del pianeta, a prescindere dalla loro distanza nello spazio e nel tempo, è ormai una realtà. La nostra civiltà, in questo senso, ha già raggiunto il punto di non ritorno»3.

La crisi finanziaria ed economica attuale non muta questa situazione, caso mai ci distrae dal problema più profondo che deve costituire il fulcro della nostra attenzione, anche se ci dobbiamo occupare pure dell’emergenza.

E il problema più profondo è l’esigenza dell’individuazione di un nuovo paradigma di lettura, interpretazione e soluzione delle nuove sfide.

Ulrich Beck, il più importante sociologo tedesco contemporaneo, in un’intervista concessa alla rivista dell’Università Cattolica di Milano afferma: «Stanno emergendo un nuovo tipo di capitalismo, un nuovo tipo di economia, un nuovo tipo di ordine globale, un nuovo tipo di politica, un nuovo tipo di istituzioni, un nuovo tipo di società e di vita personale, i quali, sia separatamente che nel loro insieme, sono nettamente distinti dalle fasi precedenti dell’evoluzione sociale. Di conseguenza, si rende necessario un cambiamento di paradigma sia nelle scienze sociali che in politica»4.

La globalizzazione è una sfida che trova valutazioni diverse e anche contrastanti. Ci sono quelli che ne tessono le lodi indicando in essa la soluzione di tutti i problemi e ci sono quelli che non ne vedono che i limiti, le contraddizioni, i rischi, i vizi.

Una serena e oggettiva valutazione deve considerare le opportunità che essa offre e i rischi che porta con sé.

Non è questo il luogo per affrontare questo lavoro. Tocca agli esperti indicarci il risultato della loro fatica.

A me preme invece guardare questo fenomeno con uno sguardo direi teologico.

Fondamento teologico
della globalizzazione

La prima domanda è questa: la globalizzazione è un segno dei tempi o un passaggio naturale dell’evoluzione dell’umanità?

Dire che è un segno dei tempi significa riconoscere in esso la presenza dello Spirito Santo, l’influsso di Lui nella sua dinamica e nei suoi obiettivi. Significa trovare i fondamenti teologici della realtà e del processo di globalizzazione.

Il primo fondamento è l’unità del genere umano secondo il disegno di Dio: essa è il nucleo della stessa Incarnazione del Verbo e del messaggio di Gesù che afferma l’uguaglianza e la fratellanza fra tutti gli esseri umani e chiede al Padre la loro comunione sul modello di quella trinitaria.

L’unità del genere umano voluta da Dio è il principio dell’interdipendenza e della solidarietà che la globalizzazione mette in atto.

«Il fenomeno culturale, sociale, economico e politico odierno dell’interdipendenza – dice il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa – che intensifica e rende particolarmente evidenti i vincoli che uniscono la famiglia umana, mette in risalto una volta di più, alla luce della Rivelazione, un nuovo modello di unità del genere umano, al quale deve ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà. Questo supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone, è ciò che noi cristiani designiamo con la parola comunione» (n. 33).

Questo modello di comunione trinitaria non riguarda solo l’aspetto religioso e mistico, ma deve incarnarsi, deve trasformare in concreto la vita relazionale sociale e politica, inventando istituzioni e strutture di comunione, verso un mondo solidale e unito.

«Il messaggio cristiano è stato decisivo – afferma ancora il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa – per far capire all’umanità che i popoli tendono a unirsi non solo in ragione di forme di organizzazione, di vicende politiche, di progetti economici o in nome di un interesse astratto e ideologico, ma perché liberamente si orientano verso la cooperazione, consapevoli di essere membra vive di una comunità mondiale. La comunità mondiale deve proporsi sempre di più e sempre meglio come figura concreta dell’unità voluta dal Creatore: “L’unità della famiglia umana – dice la Pacem in terris – è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membra gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale”» (n. 432).

Questo è lo sfondo e l’obiettivo che i cristiani devono tener presente nella loro azione evangelizzatrice.

E una delle prime sfide cui siamo chiamati a rispondere è la difficoltà, se non la carenza, di relazionalità che la post-modernità porta.

Quale relazionalità?

La complessità attuale è una sfida al pieno ed equilibrato sviluppo della persona, sia nella sua identità che nelle sue relazioni con altri.

L’identità di ognuno di noi, la propria “egoità”, si manifesta e cresce nella società. Precisiamo però che la persona non è prima individuale e poi sociale. Il sociale è in lei ontologicamente presente, come dimensione originaria. Di conseguenza, il legame con altri non viene da fuori ma è la spinta esistenziale verso i propri simili. Cosicché la persona è un esistere dell’essere individuale vivente, «è la dinamica che ribolle nel centro dell’essere umano per cui egli è un ente unitario che agisce per sé onde realizzarsi nella maggior attuazione possibile delle sue potenzialità personali»5.

Le relazioni non sono secondarie, anzi, si potrebbe dire con il noto sociologo italiano Donati che «la persona è relazione». Senza relazioni l’individuo si isola, si chiude, si ammala, muore. Sembra vivo ma è morto. Relazione vuol dire capacità di dare e di ricevere, di comunicare, in una parola: di amare. Già il grande sociologo russo Pitirim Sorokin lamenta che le scienze umane abbiano persino bandito dal loro vocabolario l’amore e sostiene che l’amore – l’amare e l’essere amati – si rivela come la «vitamina» più necessaria per la crescita personale6. Altre voci fuori del campo religioso hanno individuato nell’amore il fulcro della vita sociale: come l’ateo L. Feuerbach con il suo «la legge prima e suprema deve essere l’amore dell’uomo per l’uomo»7., ed E. Fromm sociologo e psicologo della Scuola di Francoforte che così concludeva il suo saggio su L’arte di amare: «Se è vero (…) che l’amore è l’unica soluzione valida al problema dell’esistenza umana, allora qualunque società che escluda lo sviluppo dell’amore deve, a lungo andare, perire per le proprie contraddizioni con le fondamentali necessità della natura umana. In realtà, parlare di amore non significa “predicare”, per la semplice ragione che significa parlare dell’unico, vero bisogno di ogni essere umano. Che questo bisogno sia stato oscurato, non significa che non esista. Analizzare la natura dell’amore significa scoprire la sua attuale assenza totale e criticare le condizioni sociali che sono la causa di tale assenza. Aver fede nelle possibilità dell’amore come fenomeno sociale, oltre che individuale, è fede razionale che si fonda sull’essenza intima dell’uomo»8.

Il messaggio cristiano, la vita cristiana, porta in sé non solo la risposta piena ma, di tempo in tempo, lo Spirito Santo ravviva nei discepoli di Gesù un vento nuovo, una fiamma più ardente, una luce più viva per venire incontro ai bisogni, alle pene, allo smarrimento dei loro fratelli in umanità.

Ricreare spazi di relazione

La domanda si fa più pressante. In un mondo in cui la dimensione “macro” domina le nostre esistenze, come ritrovare la capacità di vivere nel “micro”, senza isolarsi?

Lo Spirito soffia dove vuole e in ogni dove. Si risveglia il bisogno di relazioni. Un bisogno che purtroppo – non conoscendo più il significato dell’amore – si risolve in relazioni superficiali, occasionali, di breve durata, virtuali, oppure interessate, calcolate, quando non diventano conflittuali, distruttive, oppressive. Da questo nostro mondo si leva un grido senza suono, smorzato da rumori, inascoltato.

I cristiani sono in grado di ascoltare questo grido.

Uno dei compiti oggi della Chiesa è quello di ricreare gli spazi, le possibilità e le metodologie della vita di relazione. In altri termini, è quello di insegnare, testimoniando, cosa sia l’amore, quello vero, autentico, evangelico, nelle sue più varie manifestazioni: sponsale, filiale, materno, paterno, amicale, solidale, gratuito…

«Dove due o tre...»

Anche in questo caso il Vangelo ci viene incontro, ci offre soluzioni possibili e concrete alle nostre deficienze, alle nostre aspirazioni. Ci vorrebbe qui un vasto studio delle parole di Gesù che rivelano una vita di relazioni piena per far nascere la comunità. Prendiamo solo quella che, in un certo senso, contiene tutte le altre: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20).

Gesù in mezzo a noi, anche due, o tre, o più. Una presenza particolarissima di Dio, che unisce, compone, ponendosi come quel “terzo” che umanizza al massimo e divinizza.

Una presenza particolarmente necessaria nel mondo moderno perché non legata a luoghi o spazi sacrali, ma solo a persone che si riconoscono in Gesù, nella sua vita, nella sua realtà.

In un discorso ad un gruppo di focolarini Pasquale Foresi afferma: «Fino al Concilio Vaticano II, rarissimamente si trova accennata la frase del Vangelo : “Dove due o tre…”. Eccettuato il Concilio calcedonense (PL 54, 959) durante tutta la Storia della Chiesa, nei più solenni documenti conciliari, non si è quasi mai citata questa frase. Nel Concilio Vaticano II si può dire invece che non c’è documento che non accenni a questa idea fondamentale. La si trova nella Costituzione sulla sacra liturgia (SC 1, 7), nel Decreto sul rinnovamento dei laici (AA 4, 18), nel Decreto sul rinnovamento della vita religiosa (PC 15). Senz’altro si può dire che quest’idea è stata l’anima del Concilio soprattutto nell’annunciazione della collegialità (LG 3, 23)»9.

Ancor prima del Concilio, lo Spirito che guida l’umanità nel suo cammino verso il Padre ha suscitato un carisma comunitario che darà vita ad un Movimento – quello dei Focolari – che fa della presenza di Gesù in mezzo il suo fulcro, la sua novità, il suo metodo di vita e di evangelizzazione. Lo attesta il fatto stesso che negli Statuti del Movimento, nella prima pagina si legge: «La mutua e continua carità, che rende possibile l’unità e porta la presenza di Gesù nella collettività, è per le persone che fanno parte dell’Opera di Maria la base della loro vita in ogni suo aspetto: è la norma delle norme, la premessa di ogni altra regola».

Ma c’è un testo di Chiara, dei primissimi anni della sua avventura spirituale, dove traspare tutto lo stupore per la vita nuova con le sue prime compagne e con la comunità nascente:

«“Dove due o più…”: queste parole divine e misteriose, spesse volte, nella loro attuazione, ci apparvero meravigliose.

“Dove due o più…”; e Gesù non specifica chi. Egli lascia l’anonimo.

“Dove due o più…”: qualunque essi siano.

Due o più peccatori pentiti che si uniscono nel nome suo; due o più ragazze come eravamo noi; due, di cui uno è grande e l’altro piccolino…

Due o più…; e, nel viverle, abbiamo visto crollare barriere su tutti i fronti: campanilismi: spesse volte fra due cittadini di una città e dell’altra o di un paese e dell’altro esistono, se non odi, critiche, riserve… (…)

Gesù fra noi faceva crollare queste miserie umane.

Due o più di patrie diverse: e crollavano i nazionalismi.

Dove due o più di razze diverse: e crollava il razzismo.

Dove due o più, anche fra persone che di per sé sono sempre state pensate opposte per cultura, classi, età…

Tutti potevano, anzi dovevano unirsi nel nome di Cristo.

Dove due o più, anche nel campo dei fedeli e dei buoni: e veniva meno quello spirito di corpo che spesso vi regna: fra persone di associazioni diverse, di ordini diversi.

L’attuazione di questa parola diede alle nostre riunioni e alla nostra comunità l’aspetto e il profumo delle primitive comunità cristiane e contribuì a manifestare al mondo come la Chiesa sia madre di tutti e splenda per la sua unità.

Queste parole inoltre manifestano una vita cristiana di carattere comunitario, dove si superava l’individualismo, ormai anacronistico, in cui molti erano vissuti. “Dove due o più…”.

Non era una spiritualità che esigeva una grande preparazione, né anime scelte e molto esperte già in cose spirituali. Ci sembrava un ideale fatto per tutti. Gesù infatti non aveva detto: “Dove due o più santi sono uniti nel mio nome, ivi sono io”, ma: Dove due o più…”»10.

Cellule d’ambiente
con Gesù in mezzo

Dappertutto nel mondo dove questo spirito è arrivato, brillano negli ambienti, i più vari, (ospedali, carceri, scuole, uffici, fabbriche, parlamenti, istituzioni) e nei luoghi più impensabili, (nelle città e nelle campagne) vere “cellule” composte di persone le più diverse. Esse sono dei laboratori dove umano e divino si unificano, perché fra tutti c’è Gesù, l’uomo-Dio.

Le cellule d’ambiente con Gesù in mezzo sono presenza di Dio nel mondo, sono testimonianza del suo amore, sono luce che illumina, sono gioia e serenità per affrontare gli ostacoli e le prove, sono forza di convinzione e ragione della fede. Come dice Chiara in una meditazione:

«Se in una città s’appiccasse il fuoco in svariati punti, anche un focherello modesto, ma che resistesse a tutti gli urti, in poco tempo la città rimarrebbe incendiata.

Se in una città, nei punti più disparati, s’accendesse il fuoco che Gesù ha portato sulla terra e questo fuoco resistesse per la buona volontà degli abitanti al gelo del mondo, avremmo fra non molto accesa la città d’amor di Dio.

Il fuoco che Gesù ha portato sulla terra è Lui stesso, è carità: quell’amore che non solo lega l’anima a Dio, ma le anime fra loro. (…)

Due o più anime fuse nel nome di Cristo, (…) sono una potenza divina nel mondo.

Ed in ogni città queste anime possono sorgere nelle famiglie: babbo e mamma, figlio e padre, nuora e suocera; possono trovarsi nelle parrocchie, nelle associazioni, nelle società umane, nelle scuole, negli uffici, dovunque.

Non è necessario che siano già sante, perché Gesù l’avrebbe detto; basta che siano unite nel nome di Cristo. (…)

Ogni piccola cellula, accesa da Dio in qualsiasi punto della terra, dilagherà poi necessariamente. (…)

Ma c’è un segreto, perché quella cellula infuocata s’allarghi a diventare tessuto (…): è che coloro che la compongono si gettino nell’avventura cristiana, che significa far d’ogni ostacolo una pedana di lancio. (…)

È questo il piccolo segreto col quale si costruisce, mattone su mattone, la città di Dio in noi e fra noi»11.

Queste cellule, questi piccoli gruppi con Gesù in mezzo, realizzano in pienezza sia l’identità di ciascuno sia la comunione. E la realizzano come essenza e come manifestazione concreta e operativa. Il travaglio di ogni individuo alla ricerca dell’unità del proprio essere nella sofferenza di provare una certa disunità; la ricerca dell’autenticità del proprio essere, del proprio io, di ciò che uno è, del significato della propria esistenza, si manifesta pienamente nelle relazioni con altri nel Cristo.

Autentica forza di rinnovamento,
di cambiamento

Il vescovo teologo Klaus Hemmerle scrive: «Io sono me stesso, ma nella misura in cui sono per te e con te e nella misura in cui mi ricevo da te. Solo in questo rapporto è possibile definire l’Io dell’uomo»12.

Umanizzazione, divinizzazione delle persone per una crescita autentica e anche rapida del Regno di Dio, perché Gesù il Signore della storia è all’opera. Ci sarebbe un vasto campionario di fatti, grandi e piccoli, ma autentici, dove si può costatare la forza di cambiamento, di rinnovamento della società per la presenza di Gesù fra noi. Ma perché Gesù è Gesù, questa presenza non è monopolio di pochi, ma può realizzarsi fra molti, fra popoli. Perché la prospettiva, l’orizzonte, che la società oggi richiede, ha le dimensioni dell’intera famiglia umana.

Vorrei concludere questa mia breve relazione con un ulteriore pensiero di Klaus Hemmerle: «Il mondo è il mondo dell’uomo; ma l’uomo, il cui mondo è il mondo, non sono io solo, non siamo io e tu, ma il grande e comprensivo “Noi” dell’umanità: è la società umana. Solo in comunità noi riusciamo a strutturare il mondo e a risolvere i suoi problemi. Solo ciò che facciamo insieme con lo sguardo rivolto agli altri ha efficacia e consistenza; mentre ciò che fa un singolo riceve il suo peso dagli effetti che produce e da come s’inserisce nelle relazioni complessive che riguardano la società, ossia, in fondo, la società del genere umano. Il mondo non è una somma di oggetti, ma un ambiente di vita improntato dalla società umana e destinato alla stessa. E, viceversa, l’uomo non è un essere che si esaurisce in se stesso o, tutt’al più, nel rapporto privato con questo o quel vicino, ma l’essere inserito nelle dimensioni del mondo intero, in cui egli esiste “socialmente”, in una rete di relazioni che fanno del mondo ciò che è, che costituiscono un ambiente vitale per l’uomo, il quale di continuo si sviluppa e concretamente lo impronta»13.

Vera Araújo

 

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1)    Cf Z. BAUMAN, Una nuova condizione umana, Vita e Pensiero, Milano 2003.

2)    Ibid., 154.

3)    Ibid., 76.

4)    U. BECK, La svolta cosmopolita, in “Studi di Sociologia” (2005), 117.

5)    T. SORGI, Costruire il sociale – La persona e i suoi piccoli mondi, Città Nuova, Roma 1998, 64.

6)    Cf P.A. SOROKIN, Il potere dell’amore, Città Nuova, Roma 2005.

7)    L. A. FEUERBACH, L’essenza del cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1960, 320-321.

8)    E. FROMM, L’arte di amare, Il Saggiatore, Milano 1963, 165-166.

9)    P. FORESI, Conversazioni con i focolarini, Città Nuova, Roma 1974, 61-62.

10)  C. LUBICH, Il Movimento dei Focolari, Città Nuova, Roma 1965, 59-60.

11)  Id., Scritti spirituali/1, Città Nuova, Roma 1997, 70-71.

12)  La luce dentro le cose, Città Nuova, Roma 1998, 291.

13)   Ibid., 285.