Riconfigurazione ecclesiale

I cambiamenti socio-culturali in atto, richiedono alla Chiesa nuove forme di presenza. La comparsa di Benedetto XVI su Facebook, assieme al quotidiano lancio di una sintesi televisiva delle sue principali attività su You Tube, come pure la nascita di un’agenzia TV su internet quale H2O News, ne sono appena un indice.

Non è certo giunta al capolinea la gloriosa storia della strutturazione territoriale della Chiesa in parrocchie, ma nella società liquida, telematica e globale, essa non è più sufficiente. Sono richiesti modi inediti per irradiare il Vangelo nel quotidiano: là dove si svolge effettivamente la vita delle persone.

E occorre farsi capire. Lo sforzo costante del “Papa teologo” di sminuzzare i misteri della fede, affinché la gente possa coglierne la rilevanza esistenziale, culturale (razionale!), antropologica e sociale, è esemplare. Allo stesso tempo, ci chiama tutti in causa: bisogna far vedere nei fatti la verità di un Dio che è amore, del destino della persona a realizzarsi nel dono di sé, della Chiesa come comunità universale e fraterna che promuove l’unità delle nazioni.

Occorre oggi una Chiesa sommamente flessibile che, pur nella fedeltà al suo perenne messaggio e ai pilastri portanti della sua vita, sappia adattarsi alle mutevoli situazioni, come l’acqua che scorre sul terreno e lentamente lo irrora; una Chiesa palpabile che faccia toccare con mano quella novità di vita che annuncia a parole; una Chiesa “fruibile” che sappia intercettare la fame di senso e la sete di rapporti veri che alberga nel profondo di ogni cuore umano. In una parola: una Chiesa “mariana”, tutta vita, essere, amore, come era la Madre di Gesù nella cornice quotidiana della cittadina di Nazareth; e quindi: una Chiesa “laica”, nella quale si possa incontrare il Dio umanato, non rilegato alla sola sfera del sacro.

E viene da pensare all’Eucaristia. A quel momento in cui Gesù, dopo aver parlato con autorità e operato miracoli, ha voluto mettersi alla portata di tutti: farsi “mangiabile”, digeribile. Era l’inizio di una nuova tappa della sua vita. E’ ben noto quale ne era il prezzo. Ma anche il frutto.

Qualcosa di simile sembra essere richiesto oggi al Popolo di Dio: il coraggio di svuotarsi, come Gesù in croce, di ogni pretesa, per riuscire a immettere nel quotidiano la vita di Dio: l’Amore, la Comunione; diventare “eucaristia” per l’umanità, mangiabile, digeribile, raggiungibile e assimilabile per tutti.

E’ ciò che avviene, fra l’altro, attraverso le piccole comunità cristiane che ai nostri giorni – non per ultimo grazie ai carismi dei moderni Movimenti ecclesiali – vengono sempre più in rilievo come un’articolazione decisiva della vita ecclesiale. Piccole comunità che, immerse nel sociale, si configurano anche come “cellule d’ambiente”.

Queste comunità, pur saldamente ancorate all’insieme della Chiesa, se sono vive, hanno ben poco di “istituzionale”, ma sono semplicemente Vangelo in atto, in mezzo alla gente: palpabile, mangiabile, digeribile.

Sono Chiesa nel piccolo: cellule vive, che rinnovano il tessuto della vita ecclesiale e immettono la linfa dell’Amore nella vita della società. E sono presenza di Cristo, sua visibilità: cellule del suo Corpo appunto.

Coloro che si incamminano per questa strada, provano non solo la gioia della sua presenza, ma scoprono che il Vangelo è rilevante ovunque: in famiglia, nel quartiere, negli ambienti in cui lavorano. L’esistenza si illumina e la vita diventa divina avventura: convivenza col Risorto.  Per farne l’esperienza non sono necessarie particolari penitenze, preghiere o pratiche religiose: basta che due o più vivano il comandamento nuovo: «Amatevi, come io ho amato voi». Succede allora come nei primi tempi del cristianesimo, quando a chi domandava chi era Gesù si poteva rispondere: «Vieni e vedi». Bastava entrare in contatto con la comunità cristiana per conoscere Gesù, non tanto per le parole che si ascoltavano quanto per la presenza di Cristo che si sperimentava. Viene da chiedersi se la crisi attuale, soprattutto nel mondo occidentale, non sia forse provvidenziale, perché ci sospinge a riprendere in mano il Vangelo non tanto e non solo per studiarlo, ma per farne innanzitutto norma del nostro vivere quotidiano. E invita il Popolo di Dio a una riconfigurazione della sua vita: a non appoggiarsi su passate conquiste, ma a coniugare il messaggio di Gesù nel qui ed ora, nel piccolo e nel quotidiano.

In questo numero della nostra rivista, dopo un’attenta analisi della situazione in cui viviamo, abbiamo raccolto, assieme a riflessioni di fondo, diverse esperienze che, nella loro semplicità, dicono qualcosa su questo nuovo cammino. Dove questo stile pastorale è in atto, le chiese man mano si riempiono e i laici non sono più semplici uditori o tutt’al più collaboratori nelle varie attività pastorali, ma diventano corresponsabili della diffusione del Regno di Dio negli ambienti in cui vivono. E – come auspica il Papa nella lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale – vedremo «fiorire comunità cristiane nelle quali si ripetano i prodigi della prima predicazione del Vangelo».

 

E. H.