La fraternità costruisce ponti fra le Chiese

Prove di «ecumenismo della vita»


di Giorgio Paolini

Nella metropolia di Pesaro, Fano e Urbino (Italia) da circa 10 anni è in corso un originale cammino ecumenico che è impegnato a stabilire fra comunità cristiane di varie Chiese e in diverse parti d’Europa un legame vitale e un interscambio sulla base del Vangelo. Di particolare interesse una serie di gemellaggi ecumenici fra parrocchie di diversi paesi. Ne nasce una progressiva purificazione della fede e uno stimolo a intensificare la comunione a partire dalla propria comunità. Ce ne parla l’incaricato per l’ecumenismo nell’archidiocesi di Pesaro.

A

i tempi dell’Assemblea di Graz (1997), a cui non ho partecipato, ero già incaricato di promuovere l’ecumenismo nella mia diocesi. L’allora mio vescovo mi aveva detto: «Ho pensato a te per questo compito, perché vivi la spiritualità dell’unità».

Devo riconoscere che avevo l’impressione di lavorare in un terreno piuttosto arido: un po’ di preghiera per l’unità dei cristiani, qualche simpatico contatto con gruppetti di alcune Comunità evangeliche, pochi addetti ai lavori sensibili, mentre la massa del popolo di Dio era assillata da problemi percepiti come ben più urgenti di quello ecumenico.

A quella Assemblea invece ci era andato don Vincenzo, un sacerdote della vicina diocesi di Fano che mi scrisse una lettera inattesa: «Dopo Graz ho fatto un sogno: un’Europa rischiarata da 100, 1.000, 100.000 fuochi di parrocchie di varia denominazione cristiana, legate da un rapporto di fraternità stabile fra loro. Perché in vista del Giubileo del 2000 non proviamo a stendere un progetto di “Gemellaggi ecumenici” tra parrocchie, da presentare ai nostri vescovi?».

 

Ecumenismo della vita

 

Questa idea non avrebbe riscontrato la risonanza che ha avuto in me, se non fosse già stato depositato nel mio cuore il detonatore giusto: avevo già ricevuto, infatti, alcune informazioni sull’“ecumenismo di popolo” che Chiara Lubich aveva profeticamente lanciato un anno prima in Inghilterra e che era poi rimbalzato nell’Assemblea di Graz. La prospettiva dei “Gemellaggi ecumenici tra parrocchie europee” apriva orizzonti nuovi perché andava oltre un’esperienza riservata agli addetti ai lavori o ai responsabili delle Chiese, e poteva coinvolgere anche i laici del popolo cristiano in un “ecumenismo della vita”.

In breve le due paginette del progetto erano pronte. Ma andavano bene? Abbiamo pensato di farle leggere a mons. Aldo Giordano, allora segretario del Consiglio delle Conferenze episcopali europee, e siamo andati a trovarlo a Castelgandolfo, dove stava partecipando ad un convegno sul Dialogo. «Non trovo nulla di stonato nel vostro progetto – disse. Perché non cominciate subito? Ci sono dei sacerdoti ortodossi a questo convegno: presentate loro la vostra idea e sentite cosa vi dicono». Uno di questi, animato da spirito piuttosto pratico, ci ha invitato ad andare a trovarlo durante l’estate.

 

Gemellaggi ecumenici di parrocchie

 

Nel settembre di quell’anno anche il biglietto aereo era fatto, quando una febbre, che in nessun modo riuscivo a debellare, mi costrinse a rimandare tutto. Avevo capito: con le mie forze non sarei andato da nessuna parte; bisognava che mi lasciassi guidare da un Altro. Ancora un’altra luce mi si accendeva dentro: la via dell’unità passa attraverso la croce: «Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me» (Gv 12, 32).

Dopo un mese finalmente si parte per Re-sita (Romania) con molto timore e tremore, ma con una chiarezza interiore: più facciamo nascere le cose dalla comunione, meno spazio ci sarà per il nostro io, e quindi più per Dio. Perciò ci siamo premurati di non andare dal sacerdote ortodosso senza prima esserci garantiti il coinvolgimento di Josef Pal, il sacerdote cattolico del luogo. Inoltre, con tutta evidenza sentivamo essenziale per noi la comunione anche con il vescovo ortodosso.

Quelli del posto ci facevano notare che quella visita era prematura e che al massimo ne sarebbe venuta fuori una visita di cortesia di breve durata; e poi Caransebes, la sede del vescovo Laurentiu, era lontana. Ma partimmo. Dopo i primi minuti, sicuramente formali, e dopo aver letto il messaggio del mio vescovo, mons. Laurentiu accantona le questioni giuridiche, congeda il traduttore ufficiale e cerca in francese un rapporto più diretto con noi, attirato da questa idea di “ecumenismo pratico”, come lui dice. Alla fine esprime il desiderio che tutte le parrocchie della sua diocesi si gemellino con altrettante parrocchie italiane. Come se non bastasse ci invita a stare con lui il giorno seguente.

L’indomani abbiamo capito perché: in una ricorrenza festiva presso un monastero femminile di nuova fondazione, si sarebbero ritrovati diversi sacerdoti della sua diocesi. Lì ha voluto che raccontassimo a tutti, in un clima conviviale e di festa familiare, il motivo della nostra visita. Vittorio, un arguto laico del gruppo, ha osservato: «Abbiamo provato a seguire con la nostra mountain-bike un sentiero ecumenico, e ci siamo trovati all’imbocco di una superstrada».

 

«Un vescovo non può non essere ecumenico»

 

Ma il mio vescovo, allora mons. Angelo Bagnasco, come avrebbe reagito davanti ad una apertura tanto inaspettata? Il momento di verifica è venuto durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del gennaio 1999. Mons. Laurentiu ha accettato volentieri di guidare la delegazione ortodossa nella nostra provincia, e per una settimana si è immerso nella nostra vita ecclesiale, suscitando interesse e simpatia umana. Ma è chiaro che la cosa fondamentale era il rapporto fra i due vescovi.

Non so decifrare cosa passa tra due confratelli nell’episcopato, che si sentono chiamati allo stesso compito di custodire e promuovere l’unità dell’unica Chiesa di nostro Signore Gesù Cristo; ma ricordo una frase che il mio vescovo, interpretando quanto stava succedendo in quei giorni nella sua diocesi, mi ha confidato. «Un vescovo non può non essere ecumenico. Penso che l’unica cosa... sì, l’unica cosa che deve fare un vescovo è di essere disponibile allo Spirito». Quando poi Mons. Laurentiu lo ha invitato a partecipare alla vicina Pasqua ortodossa, mi ha comunicato: «Andrò in Romania per la Pasqua ortodossa. Se puoi venire, sono contento. Altrimenti andrò da solo».

Puntare su fraternità e condivisione

Su questa base di unità, e cercando di essere pronti a trasformare ogni croce in nuovo “trampolino di lancio”, nei dieci anni successivi l’esperienza si è progressivamente approfondita e allargata, seguendo non tanto progetti e strategie studiate a tavolino quanto la via della vita e dei rapporti personali. Da ciò emergono alcune tendenze che stanno caratterizzando la nostra esperienza.

Più che puntare ai convegni, fondamentali ma non alla nostra portata, proviamo a incrementare la fraternità tra le persone, attraverso la accoglienza nelle reciproche case, la condivisione di momenti significativi della vita parrocchiale e la conoscenza delle specificità di ciascuna Chiesa.

Dal matrimonio di uno del gruppo ecumenico con una danese è nato il gemellaggio con i luterani della parrocchia della Pace, in Aharus; da un gemellaggio laico con la città inglese di St. Albans, è nato il gemellaggio ecumenico tra alcune parrocchie delle rispettive diocesi. Così, seguendo la via della vita, si configura un’altra tendenza caratteristica della nostra esperienza: non rapporti solo bilaterali, ma globali. Tra noi ci diciamo che verso la piena e visibile comunione tra i cristiani ci stiamo incamminando ‘”con quattro gambe”: quella cattolica romana, quella ortodossa, quella anglicana e quella evangelica. Ora, solo nella piccola diocesi di Pesaro, sono 8 (su 54) le parrocchie che si sono aperte all’esperienza del gemellaggio ecumenico.

Tendenzialmente l’esperienza scavalca la dimensione parrocchiale e coinvolge i vescovi con le loro diocesi. Proprio lo scorso gennaio, in occasione del centenario della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, il nuovo vescovo di Pesaro, mons. Piero Coccia, in veste di metropolita anche delle diocesi di Fano e Urbino, è stato invitato dal vescovo di St. Albans, mons. Christopher Herbert, a pregare insieme per l’unità dei cristiani. E nella antica cattedrale gremita di migliaia di persone, i due vescovi hanno solennemente firmato un Documento di amicizia che, oltre a rendere continuativa la fraternità tra loro, rende possibile una collaborazione tra vari settori della vita diocesana.

Poiché ci muoviamo nell’ambito dell’ecumenismo “spirituale”, come ama ripetere il card. Kasper citando il Vaticano II, i rapporti tendono a superare il livello dottrinale o giuridico, e coinvolgono la collaborazione tra i parrocchiani in aspetti vitali della spiritualità cristiana: preghiera reciproca costante, pellegrinaggi ecumenici in Terra Santa o ad Assisi, corsi di spiritualità di comunione per famiglie, campi-scuola ecumenici per giovani.

 

Coinvolti anche i giovani

 

Accenno solo ad un’esperienza di collaborazione giovanile nata da un atto di carità.

Un giovane cantore, che avevamo incontrato in una delle nostre visite alla cattedrale di Resita con cui la mia parrocchia è gemellata, mi telefona improvvisamente: «Ciao, sono a Pesaro; ho bisogno di aiuto». Stava vivendo una situazione personale e familiare pesante, e per non soccombere è “fuggito” in Italia. Ormai è una regola tra le nostre parrocchie la disponibilità ad ospitarci. Si è fermato per tre mesi presso una giovane coppia ed ha potuto condividere la vita della comunità parrocchiale, attirato soprattutto da come alcuni giovani vivevano il Vangelo e si rapportavano tra loro con l’amore evangelico. Quando ha ritrovato se stesso e le motivazioni per rifarsi una vita, è tornato in Romania, ha concluso gli studi di teologia e si è sposato. Ora è sacerdote ortodosso e insegna in una scuola.

Nella Pasqua 2008 è venuto con 15 giovani della sua scuola per vivere con noi la Settimana santa. «Desidero che anche loro incontrino quello che ho sperimentato io», mi diceva. Ogni mattina ci consegnavamo una frase del Vangelo che ci aiutasse a vivere ”l’arte di amare”, convinti che alla fine non avremmo semplicemente celebrato la Pasqua, ma vissuto un vero “passaggio” verso la novità della vita con Gesù risorto.

Alcuni stralci di impressioni dei ragazzi ci fanno intuire cosa è stato per loro: «Sono stati cinque giorni unici di amore secondo Gesù, attraverso l’incontro dell’amore dei vostri cuori con i nostri». «Ho partecipato a vari incontri con giovani di diverse città della Romania per cercare di avvicinarci di più a Gesù, ma nessuno è stato come questo». «Abbiamo visitato luoghi belli, ma questo si può fare in qualunque gita scolastica: ciò che ha reso unica questa esperienza è stato l’amore spirituale che abbiamo conquistato». «Qui in Italia mi sono sentita a casa, e sono sicura che ciò non sarebbe stato possibile se non fossimo stati tutti uniti nell’Amore di Dio».

Tornando coi 15 dalla visita alla Santa Casa di Loreto, siamo passati al centro Giovanni Paolo II di Montorso, e siamo stati accolti dal responsabile don Francesco Pierpaoli. A lui, dopo aver ascoltato questi ragazzi, è nata l’idea di un meeting ecumenico di giovani europei a Montorso.

Lo scorso agosto si è incontrato con alcuni animatori della pastorale giovanile di St. Albans, di Caransebes e di Sibiu, insieme ad animatori giovanili della metropolia di Pesaro, Fano e Urbino. Si sono dati appuntamento in quel luogo, dal 3 al 10 Agosto 2009, per una esperienza di fraternità ecumenica, che prevede la partecipazione di oltre 100 giovani, sul tema Eur-home: vivere e comunicare la Parola per un’Europa unita.

 

L’unità ci arricchisce tutti

 

Il nostro vescovo, periodicamente informato, benedice, convinto in particolare dalle ricadute – come lui dice – che questa esperienza ha sulla vita delle comunità parrocchiali coinvolte.

Gen’s 5-6/2008Le ricadute che osserviamo sono: uno stimolo a vivere prima al proprio interno quella comunione che si tenta di stabilire con parrocchie di altre nazioni e una crescente sensibilità nei confronti di fratelli e sorelle di varie Chiese. Inoltre, di riflesso, anche con persone di altre religioni che vivono tra noi, mentre si incrementa il legame con persone di convinzioni non religiose. Non ultima, la collaborazione che si attiva tra i sacerdoti ed i laici delle parrocchie coinvolte nell’esperienza dei gemellaggi ecumenici.

Guardando all’esperienza fatta fin qui, come a una strada, viene più da paragonarla ad un sentiero di montagna, lastricato di sassi e di buche: esperienza ancora iniziale e assai imperfetta. Ma più andiamo avanti e più si rafforza in noi la persuasione che al di fuori dell’unità non c’è un’altra via in grado di dare credibilità al nostro impegno di nuova evangelizzazione, e di tracciare un futuro degno per l’umanità.

 

Giorgio Paolini