Ecumenismo efficace

 

Pensando a quanto, in questo momento di grave crisi, sia importante offrire all’umanità una testimonianza concorde della forza trasformatrice del Vangelo, appare oggi ancor più urgente il cammino verso l’unità dei seguaci di Colui che per questo ha dato la vita (cf Gv 11, 52).

Da un punto di vista storico e sociologico non c’è da meravigliarsi se tale cammino di tanto in tanto subisce qualche battuta d’arresto. Basta pensare alle vicissitudini, passate e presenti, per acquisire la tolleranza, l’abolizione della schiavitù o del razzismo, la libertà di religione, l’uguaglianza della donna, il superamento della fame e della povertà, la pace, e tanto altro. I cristiani, anche per ciò che riguarda l’unità fra di loro, fanno parte di questo percorso dell’umanità, con le sue conquiste e i suoi fallimenti, con i suoi progressi e le sue lentezze, involuzioni, gradualità.

Tra le difficoltà che a volte improvvisamente risorgono, vi sono pure motivi

teologici, anche se molto si è fatto negli ultimi decenni per ricucire gli strappi della cristianità. Occorre proseguire con coraggio e decisione su questa via.

Va ricordato, in ogni caso, come più volte si ripete negli articoli che compongono questo numero della rivista, che l’unità è un dono di Dio. Dono di Dio che ci giunge in maniera sorprendente attraverso i carismi dello Spirito che arrivano adeguati ad ogni tempo, grazie alla sensibilità e apertura di persone, gruppi, correnti storiche che li accolgono.

Uno dei benefici dell’ecumenismo, tra i più preziosi, è che ci rende più attenti ad ascoltare «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2, 29). Ed evidentemente oggi si scopre, forse con una forza e universalità senza precedenti, che il cuore del messaggio evangelico è l’agàpe; che la comunione sino alla misura della “unitrinitarietà” – partecipazione per grazia alla stessa vita di Dio – è una sua conseguenza; che la croce trasformata in motivo di nuovo e più maturo amore è la chiave per arrivarci.

Mi viene in mente a questo proposito la parola di un vescovo che mi ha molto colpito quando ero ancora seminarista: «È vero che solo con l’amore agapico non si risolvono tutti i problemi del mondo; ma è ugualmente vero che senza quest’amore non si risolvono mai del tutto».

Così succede con l’ecumenismo. Agàpe, comunione trinitaria, giusto atteggiamento kenotico, con tutti i suoi effetti di capacità di ascolto, di accoglienza reciproca e fraternità vissuta, di un dialogo sincero che sappia recepire gli aspetti positivi dell’altro, del comune servizio all’umanità, di un ricominciare sempre senza

scoraggiarsi mai... non sono ancora l’unità visibile dei cristiani, perché i problemi sono tanti, seri, e vanno risolti. Ma ne sono il presupposto. L’unica realtà capace di ridarci speranza e aprire sempre nuove strade.

A mostrarlo, crediamo che contribuisca ogni apporto di questo numero. Sia

quelli di riflessione che quelli esperienziali. Non è possibile dire quali abbiano più valore e interesse, perché s’illuminano e si confermano a vicenda.

In questo momento vorrei sottolineare l’importanza, nelle abbondanti esperienze riportate, dello spessore teoretico che esse riflettono e che le sorregge. Perché se è vero che «dietro ad ogni azione c’è un’idea che s’ignora» (M. De Certeau), dietro ognuna di quelle esperienze c’è ovviamente una visione della realtà, a livello antropologico, teologico, ecclesiologico, pastorale. Normalmente le prospettive si colgono meglio in controluce attraverso la vita che nella sola enunciazione dei principi.

È quello che ci auguriamo anche in questo caso. E ci sembra che si tratti di una visione e uno stile di vita che non solo contribuiscono a che i cristiani possano più celermente crescere insieme «verso la verità tutta intera» (Gv 16, 13), ma che vanno pure incontro alle più sentite esigenze dell’umanità attuale, in tutti i suoi ambiti.

 

E. C.