La catechesi di Gesù

di Fabio Ciardi omi



L’autore, professore al Pontificio Istituto Claretiano, con stile semplice e profondo,fa intravedere il modo con cui Gesù comunicava ai suoi discepoli “la civiltà del Cielo”, senza mai nascondere i sacrifici – a volte eroici – che questa nuova vita esigeva. Ma la Parola era Lui stesso che si donava, per amore e per intero, a tutti e ad ognuno. E sapeva attendere con pazienza che l’altro maturasse in libertà la sua risposta. Gesù fu e rimane il modello per chiunque è chiamato a trasmettere la Parola, dal Papa di Roma al catechista di un paesino sperduto nella foresta.



Quando le guardie del Tempio andarono per arrestare Gesù, rimasero incantate dalle sue parole. Lo ascoltavano che diceva: «Chi ha sete venga a me, e beva chi crede in me» (Gv 7, 38). Le parole fluivano dalla sua bocca come acqua fresca e limpida. Tornarono senza averlo neppure toccato. Ai sommi sacerdoti e ai farisei, che chiedevano loro perché non avessero eseguito gli ordini, risposero: «Mai un uomo parlò come parla quest’uomo» (Gv 7, 46). Come tutti, anche loro erano stati conquistati dalle sue parole.

Lo erano soprattutto i suoi discepoli, i quali non indietreggiavano neppure quando non le comprendevano appieno o quando sembravano troppo esigenti: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6, 68).

Sì, perché le sue parole possiedono uno spessore e una profondità che le altre parole non hanno, siano esse di filosofi, di politici, di poeti. Le sue sono “parole di vita eterna” perché contengono, esprimono, comunicano la pienezza di quella vita che non ha fine: la vita stessa di Dio.

«Le Parole di Gesù! – ha scritto Chiara – Dev’essere stata la sua più grande... arte, se così si può dire. Il Verbo che parla in parole umane: che contenuto, che accento, che voce, che intensità!».

I Vangeli descrivono Gesù sempre intento a parlare: ovunque «annunciava la Parola» (Mc 2, 2).

In questa mia breve conversazione non entrerò nel merito dei contenuti: la buona novella che egli è venuto ad annunciare. Mi limito ad accennare, in sette brevi punti, qualche aspetto su come porgeva la sua Parola.

1. Gesù insegna come espressione d’amore

Perché Gesù parlava? Perché amava la sua gente. Era il suo modo di donarsi.

Il racconto della moltiplicazione dei pani è particolarmente significativo al riguardo. Marco narra che Gesù, «sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (6, 34). Matteo aggiunge che «guarì i loro malati» (14, 14). Infine moltiplica pani e pesci. La “compassione” per la folla si manifesta in un triplice dono: la Parola, la guarigione, il pane. La Parola di Gesù risana e nutre. Lui stesso aveva sperimentato che «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4, 4). La sua è una salvezza integrale, che fa rinascere la persona in tutta la sua totalità.

Per questo la gente rimaneva colpita dalle sue parole: rispondevano all’anelito più profondo di ciascuno. Egli sapeva “farsi uno” fino in fondo.

2. La tecnica del «farsi uno»

Farsi uno”! L’incarnazione è il primo atto pedagogico di Gesù: entra nel nostro mondo, ci capisce dal di dentro, si fa uno fino ad imparare la nostra lingua.

Parla con parole semplici, con parabole tratte dalla vita di ogni giorno. Forse proprio per questo il suo dire ha un fascino tanto particolare.

Nei suoi discorsi ci sono fatti e persone della vita del suo popolo, del suo tempo: bambini che giocano sulle piazze, feste di nozze, costruttori di case e di torri, braccianti e fittavoli, prostitute e amministratori corrotti, portieri e servi, casalinghe e padri premurosi, debitori e creditori, magistrati inerti e vedove indifese, viandanti e briganti, pastori, vignaioli, pescatori... Ci sono monete, tesori nascosti, mense imbandite... Nelle sue parole la natura si muove con tutti i suoi eventi: il sole che sorge, i venti e le tempeste... Vi sono anche piante di ogni specie: canne, fichi, frumento, gigli, olivi, palme, rovi, senape, viti, zizzania... Non mancano gli animali: agnelli e lupi, asini e cammelli, colombe e corvi, galline e pulcini, moscerini e tarli...

Attraverso le sue parole così “umane”, Gesù mostra tutto il realismo dell’incarnazione. È entrato veramente nella nostra vita, in questo nostro mondo. L’ha guardato con amore e ha saputo trovarvi fatti e parole con cui parlare di Cielo. Ha usato il nostro stesso linguaggio. Aveva anche previsto che tanti, per questo suo modo semplice e schietto di parlare, si sarebbero vergognati delle sue parole (cf Mc 8, 38).

Il tentatore voleva indurlo a comportarsi in modo diverso, prospettandogli «una strategia trionfalistica, un falso messianismo fatto di miracoli clamorosi, come trasformare le pietre in pane, gettarsi dall’alto del tempio con la certezza di essere salvato, conquistare il dominio politico di tutte le nazioni. Gesù respinge decisamente la tentazione … Il suo essere Figlio di Dio si manifesterà non nel possesso, nell’esibizione di potenza e nel dominio, ma nell’umile servizio, nel dono di sé, nella croce» (CEI, La verità vi farà liberi, nn.181-183).

Gesù ci offre così un primo insegnamento su come fare catechesi. Essa non si basa sull’eloquenza, sullo sfoggio di erudizione, su tecniche di avanguardia. Essa deve essere piuttosto l’espressione di una incarnazione, di un’estasi d’amore, di un uscire da sé per entrare nel mondo dell’altro, fino a comprenderne le attese, le esigenze e saper rispondere con un linguaggio adatto.

3. Parlare alle folle e alle singole persone

Gesù parla alle folle. Il suo primo grande discorso, il cosiddetto “discorso della montagna”, è rivolto a loro: «Gesù, aperta la bocca, insegnava dicendo...» (Mt 5, 2). Nei Vangeli lo troviamo attorniato dalle folle che accorrono a lui: «Accolse le folle – leggiamo nel vangelo di Luca – e si mise a parlar loro del Regno di Dio» (Lc 9, 11). Lui stesso «andava attorno per tutta la Galilea insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno...» (Mt 4, 23; cf Mc 6, 6). Di sabato lo troviamo sempre nelle sinagoghe a insegnare (cf Mc 1, 21. 39).

Non gli basta l’annuncio fatto una volta soltanto. Ritorna a ripetere il suo insegnamento, a esemplificarlo, a sminuzzarlo. Soprattutto con i suoi discepoli va in profondità: a loro, in privato, «spiegava ogni cosa» (Mc 4, 34). «Avete capito?», usava dire rivolgendosi a loro, e vedendo la loro perplessità ricomincia da capo, con pazienza e amore.

Accanto alla catechesi indirizzata a tutti, Gesù è solito anche rivolgersi a tu per tu alla singola persona. Come parla alle folle così si intrattiene in colloqui personali. Il Vangelo di Giovanni ci riporta i dialoghi di luce con Nicodemo (cf Gv 3, 1-21), con la donna samaritana (cf Gv 4, 1-26), con il cieco nato (cf Gv 9, 35-39), autentiche catechesi personalizzate.

Occorre «farsi uno» con ogni persona.

4. Un insegnamento esigente

Il suo farsi uno e l’amore personale che lo guida nel suo parlare, non gli impediscono di essere esigente nella richiesta, proponendo a tutti un cammino “controcorrente”. Non esita a domandare di porgere l’altra guancia, di amare il nemico, di perdonare sempre, di prendere la propria croce ogni giorno… Sa di andare contro la mentalità corrente, sa di chiedere cose difficili.

Quando gli fanno presente che il suo linguaggio è troppo duro egli non cerca di attenuarlo. Anzi, vedendo che tanti dei suoi discepoli si tirano indietro e smettono di seguirlo, si rivolge ai Dodici domandando semplicemente se anche loro vogliono andarsene! (cf Gv 6, 68).

Mai “addomesticare” la Parola di Dio, mai smussare la lama del suo taglio!

5. I momenti difficili: luoghi privilegiati per insegnare

La pedagogia di Gesù sa cogliere proprio nei momenti difficili il luogo più adatto per un insegnamento efficace.

L’occasione propizia sembra essere addirittura quella del disaccordo e del contrasto tra i suoi discepoli. Ad essi, che per via hanno discusso su chi di loro fosse il più grande, Gesù insegna che «se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti» (Mc 9, 35).

Alla richiesta da parte di Giacomo e Giovanni di sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel regno futuro e alla reazione di indignazione da parte degli altri dieci, Gesù contrappone un modo di agire in netto contrasto con quello dei capi delle nazioni e dei grandi che dominano e hanno il potere: «Fra voi non sia così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10, 43-44). Egli stesso si pone come modello alla comunità, lui che «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 45).

A Giovanni che vuole impedire di cacciare i demoni a chi non appartiene alla comunità, egli ricorda che «chi non è contro di noi, è per noi» (Mc 9, 40). All’intolleranza mostrata da Giovanni e Giacomo nei confronti di un villaggio samaritano che non li accoglie, risponde con una dura reazione: «si voltò e li rimproverò», insegnando ad avere il cuore grande (Lc 9, 55).

Quando ci sono problemi e difficoltà, proprio allora la Parola di Gesù sembra attecchire in maniera efficace, perché coglie sul vivo la persona.

La vita normale d’ogni giorno si rivela come luogo “pedagogico” privilegiato. Gesù è un maestro itinerante: insegna strada facendo, “vita vivendo”. Insegna soprattutto convivendo con i suoi discepoli. Di qui un insegnamento fatto con l’esempio.

Non possiamo mai scoraggiarci di quello che può apparirci un fallimento nella nostra catechesi. Tutto, anche il negativo, può diventare via per un insegnamento che raggiunge davvero il cuore. Basta condividere fino in fondo ciò che l’altro vive e farsi suo sincero compagno di viaggio.

6. «Exempla docent»

Gesù insegna soprattutto con la vita, con il suo esempio: dice agli altri di fare ciò che egli per primo fa (se osservate i miei comandamenti come io osservo i comandamenti del Padre mio; come io ho amato voi così anche voi amatevi…; io faccio sempre ciò che è gradito al Padre mio; mio cibo è fare la volontà del Padre). Paolo gli farà eco quando dirà: «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1Cor 11, 1). Gli esempi più luminosi sono quelli della preghiera e della lavanda dei piedi.

Stando con Gesù i suoi discepoli lo vedono pregare e con semplicità gli chiedono: «Signore, insegnaci a pregare». L’insegnamento di Gesù diventa risposta ad un’esigenza suscitata da una testimonianza di vita. Così Gesù può introdurli nel suo rapporto di amore e di confidenza con il Padre, al quale possono parlare con fiducia (cf Lc 11, 1-4).

Anche l’ultima grande lezione che il Maestro impartisce alla sua comunità è frutto dell’esempio: lava i piedi: «Se io, il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri» (Gv 13, 14).

Ugualmente, per i discepoli annunciare sarà comunicare un’esperienza. «Ciò che noi abbiamo udito, veduto, contemplato, toccato, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (cf 1Gv 1, 1-4). Accogliere l’annuncio non è imparare qualcosa che viene insegnato, ma la disponibilità a rivivere l’esperienza comunicata. Di conseguenza la comunicazione del vangelo si risolve necessariamente in una comunione, cioè in un profondo rapporto interpersonale, un incontrarsi di persone concrete che si conoscono, si parlano, si comunicano la loro esperienza di Cristo e giungono così a possedere in comune ciò che per ciascuno è l’incontro con Cristo.

Tale azione di testimonianza è associata al dono dello Spirito Santo: «Riceverete forza dallo Spirito Santo su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8).

Pietro potrà dire: «Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo» (At 5, 32). Assieme agli apostoli si presenta come testimone dell’evento Gesù: «E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme» (At 10, 39).

Il vero catechista è colui che si è lasciato trasformare dalla Parola che annuncia. Nel suo mandato missionario Gesù non ha detto: “Andate in tutto il mondo e insegnate quello che vi ho comandato”, ma «insegnate ad osservare quello che vi ho comandato» (Mt 28, 20). Oggetto dell’insegnamento è il modo con cui mettere in pratica la Parola. L’apostolo può insegnare come si fa a viverla (“osservare”) a condizione che sia già esperto in quest’arte.

7. Il prezzo del dono

Un ultimo aspetto della “catechesi” di Gesù che vorrei mettere in rilievo riguarda la densità della sua Parola. Dire, per Gesù, è dare. Egli parlava, ho detto all’inizio, mosso dall’amore per la sua gente, che vedeva come un gregge sbandato, senza pastore. Ma il suo amore giunge fino a dare la vita per il suo gregge: «Il buon pastore offre la vita per le pecore» (Gv 10, 11); «Avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine» (Gv 13, 1).

La sua vita e il suo insegnamento sono stati un continuo dare, fino al dono estremo: «Questo è il mio Corpo dato per voi…. Questo è il mio Sangue versato per voi…» (Lc 22, 19-20), dove Parola e Eucaristia diventano un unico cibo imbandito su un’unica mensa. Dono che è giunto fino all’abbandono sulla croce.

Gesù, che tante volte ha paragonato la predicazione del Vangelo al seme gettato nel campo, ha poi paragonato il suo donarsi al chicco di grano che deve morire per portare frutto.

Come il Maestro, così il discepolo: deve dare a fondo perduto e saper attendere fiducioso come il seminatore: «Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 15, 15). È il dono gratuito di sé fatto per amore, la parte chiesta al discepolo per rendere manifesta la vita nuova in Cristo: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3, 16). Occorre essere, in Lui e come Lui, seme che morendo genera vita nuova.

Sì, il frutto della Parola donata è la vita, la pienezza della vita nuova, la Chiesa. Essa nasce, ricorda il Concilio Vaticano II, dall’annuncio della Parola. Come dice il suo stesso nome, Ekklesia, essa è l’assemblea dei chiamati, dei convocati dalla Parola: «Il popolo di Dio viene adunato anzitutto per mezzo della Parola del Dio vivente» (Presbyterorum ordinis, 4). «Predicarono la Parola di verità – scrive sant’Agostino dei Dodici – e generarono le Chiese» (cf Ad gentes, 1).

La famiglia di Gesù è composta da quanti ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica (cf Lc 8, 21). Siamo rinati non da seme corruttibile, ma da uno incorruttibile che è la Parola del Dio vivente (cf 1Pt 1, 23). Abbiamo lo stesso sangue come in una famiglia umana: nelle nostre vene circola il sangue della Parola di Dio.

Annunciare la Parola vuol dire contribuire, con Gesù e come Gesù, a edificare l’unità dell’unico popolo di Dio.