Dall’Istruzione «Il servizio dell’autorità e l’obbedienza»

Innanzitutto Dio e la sua Parola

della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata

 

Il 25 maggio scorso è uscita l’Istruzione «Il servizio dell’autorità e l’obbedienza». Con grande respiro il testo mette in luce come l’obbedinza sia non solo una virtù di speciale rilevanza per le persone consacrate, ma una dimensione fondamentale dell’esistenza umana e cristiana: «Obbedire a Dio significa infatti entrare in un ordine “altro” di valori, cogliere un senso nuovo e differente della realtà, sperimentare una libertà impensata». Riportiamo qui alcuni stralci di questo significativo testo.

 

L’obbedienza alla Parola di Dio

La prima obbedienza della creatura è quella di venire all’esistenza, in adempimento al fiat divino che la chiama ad essere. Tale obbedienza raggiunge piena espressione nella creatura libera di riconoscersi ed accettarsi come dono del Creatore, di dire «sì» al proprio venire da Dio. Così essa compie il primo, vero atto di libertà, che è anche il primo e fondamentale atto di autentica obbedienza.

L’obbedienza propria della persona credente, poi, è l’adesione alla Parola con la quale Dio rivela e comunica se stesso, e attraverso la quale rinnova ogni giorno la sua alleanza d’amore. Da quella Parola è scaturita la vita che ogni giorno continua ad essere trasmessa. Perciò la persona credente cerca ogni mattina il contatto vivo e costante con la Parola che in quel giorno è proclamata, meditandola e custodendola nel cuore come un tesoro, facendone la radice d’ogni azione e il criterio primo d’ogni scelta.

E alla fine della giornata si confronta con essa, lodando Dio come Simeone per aver visto il compiersi della Parola eterna dentro la piccola vicenda della propria quotidianità (cf Lc 2, 27-32), e affidando alla forza della Parola quanto è rimasto ancora incompiuto. La Parola, infatti, non lavora solo di giorno, ma sempre, come insegna il Signore nella parabola del seme (cf Mc 4, 26-27).

L’amorosa frequentazione quotidiana del-la Parola educa a scoprire le vie della vita e le modalità attraverso le quali Dio vuole liberare i suoi figli; alimenta l’istinto spirituale per le cose che piacciono a Dio; trasmette il senso e il gusto della sua volontà; dona la pace e la gioia di rimanergli fedeli, rendendo sensibili e pronti a tutte le espressioni dell’obbedienza: al Vangelo (cf Rm 10, 16; 2Tes 1, 8), alla fede (Rm 1, 5; 16, 26), alla verità (Gal 5, 7; 1Pt 1, 22).

Non si deve tuttavia dimenticare che l’esperienza autentica di Dio resta sempre esperienza di alterità. «Per quanto grande possa essere la somiglianza tra il Creatore e la creatura, sempre più grande è tra loro la dissomiglianza»1. I mistici, e tutti coloro che hanno gustato l’intimità con Dio, ci ricordano che il contatto con il Mistero sovrano è sempre contatto con l’Altro, con una volontà che talvolta è drammaticamente dissimile dalla nostra.

Obbedire a Dio significa infatti entrare in un ordine “altro” di valori, cogliere un senso nuovo e differente della realtà, sperimentare una libertà impensata, giungere alle soglie del mistero: «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie, oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre, i miei pensieri sovrastano i vostri» (Is 55, 8-9).

Se può incutere timore questo ingresso nel mondo di Dio, tale esperienza, sull’esempio dei santi, può mostrare che quanto per l’uomo è impossibile è reso possibile da Dio; essa diviene così autentica obbedienza al Mistero di un Dio che è, nello stesso tempo, «interior intimo meo»2 e radicalmente altro.

Alla sequela di Gesù,
il Figlio obbediente al Padre

In questo cammino non siamo soli: siamo guidati dall’esempio di Cristo, l’amato nel quale il Padre s’è compiaciuto (cf Mt 3, 17; 17, 5), ma anche Colui che ci ha liberati grazie alla sua obbedienza. È Lui che ispira la nostra obbedienza, perché si compia anche attraverso di noi il disegno divino di salvezza.

In Lui tutto è ascolto e accoglienza del Padre (cf Gv 8, 28-29), tutta la sua vita terrena è espressione e continuazione di ciò che il Verbo fa dall’eternità: lasciarsi amare dal Padre, accogliere in maniera incondizionata il suo amore, al punto di non far nulla da se stesso (cf Gv 8, 28), ma di compiere sempre ciò che piace al Padre.

La volontà del Padre è il cibo che sostiene Gesù nella sua opera (cf Gv 4, 34) e che frutta a Lui e a noi la sovrabbondanza della risurrezione, la gioia luminosa di entrare nel cuore stesso di Dio, nella schiera beata dei suoi figli (cf Gv 1, 12). È per questa obbedienza di Gesù che «tutti sono costituiti giusti» (Rm 5, 19).

... fino alla morte di croce

Egli l’ha vissuta anche quando essa gli ha presentato un calice difficile da bere (cf Mt 26, 39.42; Lc 22, 42), e s’è fatto «obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Fil 2, 8). È questo l’aspetto drammatico dell’obbedienza del Figlio, avvolta da un mistero che non potremo mai penetrare totalmente, ma che è per noi di grande rilevanza perché ci svela ancor più la natura filiale dell’obbedienza cristiana: solo il Figlio, che si sente amato dal Padre e lo riama con tutto se stesso, può giungere a questo tipo di obbedienza radicale.

Il cristiano, come Cristo, si definisce come essere obbediente. L’indiscutibile primato dell’amore nella vita cristiana non può far dimenticare che tale amore ha acquistato un volto e un nome in Cristo Gesù ed è diventato Obbedienza. L’obbedienza, dunque, non è umiliazione ma verità sulla quale si costruisce e si realizza la pienezza dell’uomo. Perciò il credente desidera così ardentemente compiere la volontà del Padre da farne la sua aspirazione suprema. Come Gesù, egli vuol vivere di questa volontà. Ad imitazione di Cristo e imparando da lui, con gesto di suprema libertà e di fiducia incondizionata, la persona consacrata ha posto la sua volontà nelle mani del Padre per rendergli un sacrificio perfetto e gradito (cf Rm 12, 1).

Ma prima ancora di essere il modello di ogni obbedienza, Cristo è Colui al quale va ogni vera obbedienza cristiana. Infatti è il mettere in pratica le sue parole che rende effettivo il discepolato (cf Mt 7, 24) ed è l’osservanza dei suoi comandamenti che rende concreto l’amore a Lui e attira l’amore del Padre (cf Gv 14, 21). Egli è al centro della comunità religiosa come Colui che serve (cf Lc 22, 27), ma anche come Colui al quale si confessa la propria fede («Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me»: Gv 14, 1) e si dona la propria obbedienza, perché solo in essa si attua una sequela sicura e perseverante: «In realtà è lo stesso Signore risorto, nuovamente presente tra i fratelli e le sorelle riuniti nel suo nome, che addita il cammino da percorrere»3.

Obbedienti a Dio
attraverso mediazioni umane

Dio manifesta la sua volontà attraverso la mozione interiore dello Spirito, che «guida alla verità tutta intera» (cf Gv 16, 13), e attraverso molteplici mediazioni esteriori. In effetti, la storia della salvezza è una storia di mediazioni che rendono in qualche modo visibile il mistero di grazia che Dio compie nell’intimo dei cuori. Anche nella vita di Gesù si possono riconoscere non poche mediazioni umane, attraverso le quali Egli ha avvertito, ha interpretato e ha accolto la volontà del Padre, come ragione di essere e come cibo permanente della sua vita e della sua missione.

Le mediazioni che comunicano esteriormente la volontà di Dio vanno riconosciute nelle vicende della vita e nelle esigenze proprie della vocazione specifica; ma si esprimono anche nelle leggi che regolano la vita associata e nelle disposizioni di coloro che sono chiamati a guidarla. Nel contesto ecclesiale, leggi e disposizioni, legittimamente date, consentono di riconoscere la volontà di Dio, divenendo attuazione concreta e “ordinata” delle esigenze evangeliche, a partire dalle quali vanno formulate e percepite.

Obbedienza
nelle persone consacrate

Le persone consacrate, inoltre, sono chiamate alla sequela di Cristo obbediente dentro un “progetto evangelico”, o carismatico, suscitato dallo Spirito e autenticato dalla Chiesa. Essa, approvando un progetto carismatico quale è un Istituto religioso, garantisce che le ispirazioni che lo animano e le norme che lo reggono possono dar luogo ad un itinerario di ricerca di Dio e di santità. Anche la Regola e le altre indicazioni di vita diventano quindi mediazione della volontà del Signore: mediazione umana ma pur sempre autorevole, imperfetta ma assieme vincolante, punto di avvio da cui partire ogni giorno, e anche da superare in uno slancio generoso e creativo verso quella santità che Dio “vuole” per ogni consacrato. In questo cammino l’autorità è investita del compito pastorale di guidare e di decidere.

È evidente che tutto ciò sarà vissuto coerentemente e fruttuosamente solo se rimangono vivi il desiderio di conoscere e fare la volontà di Dio, ma anche la consapevolezza della propria fragilità, come pure l’accettazione della validità delle mediazioni specifiche, anche quando non si cogliessero appieno le ragioni che esse presentano.

Le intuizioni spirituali dei fondatori e delle fondatrici, soprattutto di coloro che hanno maggiormente segnato il cammino della vita religiosa lungo i secoli, hanno sempre dato grande risalto all’obbedienza. San Benedetto già all’inizio della sua Regola si indirizza al monaco dicendogli: «A te (...) si rivolge ora la mia parola; a te che, rinunciando alle tue proprie volontà per militare per Cristo Signore, vero re, prendi su di te le fortissime e gloriose armi dell’obbedienza»4.

Si deve poi ricordare che il rapporto autorità-obbedienza si colloca nel contesto più ampio del mistero della Chiesa e costituisce una particolare attuazione della sua funzione mediatrice. A riguardo il Codice di Diritto Canonico raccomanda ai superiori di esercitare «in spirito di servizio la potestà che hanno ricevuto da Dio, mediante il ministero della Chiesa»5.

 

Dall’Istruzione «Il servizio dell’autorità e l’obbedienza» della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, nn. 7-9.

 

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1)         Benedetto XVI, Lettera enciclica Spe salvi (30 novembre 2007), 43; Cf Con. Ecum. Lateranense IV, in DS 806

2)         «Più interno del mio stesso intimo»: Sant’Agostino, Confessioni, III, 6, 11.

3)         Benedetto XVI, Lettera al Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita Apostolica in occasione della Plenaria, 27 settembre 2005, in Insegnamenti di Benedetto XVI, 2005, I, Città del Vaticano, 588.

4)         San Benedetto, Regola, Prologo, 3. Cf anche Sant’Agostino, Regola, 7; San Francesco d’Assisi, Regola non bollata, I,1 ; Regola bollata, I, 1; Cf Vita consecrata, 46.

5)         Codice di Diritto Canonico, can. 618.

 

 

 

 

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