Condividere la Parola in un mondo scristianizzato

Una pedagogia per donare il Vangelo ai giovani

di Francesco Châtel

Come far scoprire  ai ragazzi e ai giovani di oggi la bellezza e il fascino della persona di Gesù e del suo messaggio? L’autore, esperto di pedagogia e da anni impegnato nell’accompagnamento di giovani provenienti dalle più varie culture, nell’ambito della cittadella di Loppiano, ci apre alcune tracce e ci indica prospettive realistiche e stimolanti.

A quanti sono impegnati nel campo della ricerca pedagogica o dell’azione educativa, viene frequentemente rivolta la richiesta di fare un quadro sulla situazione dei giovani di oggi. Timori e speranze, esperienze e riflessioni personali caricano spesso questa domanda di troppe aspettative.

In realtà, per guardare alle nuove generazioni, l’atteggiamento più saggio appare quello suggerito da Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte: non aver paura di sentirci “spiazzati”1. Infatti, per propria natura, nonostante i tentativi classificatori di tanti studiosi, la realtà giovanile si presenta in continuo movimento e, appena pare di aver colto qualche dato sicuro, i giovani dimostrano di essere tutt’altro. Se poi vogliamo dare uno sguardo planetario, come la universalità delle loro provenienze richiederebbe, l’impresa si presenta veramente troppo ardua.

Mi limiterò, quindi, ad evidenziare qualche spunto di riflessione, ad indicare qualche nota metodologica...

Un tentativo di diagnosi
della situazione

Lo vorrei fare partendo dal pensiero e dall’azione educativa di Chiara Lubich, che ci mostra un modo di guardare alla realtà mai “settoriale”, spingendoci ad avere sempre uno sguardo che mette in comunione elementi e realtà e che scopre possibilità di relazione ad ogni livello. Uno sguardo che non si ferma a quanto appare (al buio della “notte” che sembra avvolgere gran parte del pianeta) ma che sa trovare in esso quei “semi” che il Seminatore ha gettato e che possono portare frutto.

Per questo non dobbiamo mai fermarci ad esaminare un solo elemento (ad esempio i giovani), ma la relazione (tra giovani e adulti, tra adulti coinvolti nell’educazione...); così come non serve conoscere bene la situazione (attraverso studi, statistiche, ricerche) se non la si mette subito in collegamento con le mete verso cui miriamo e con i mezzi per raggiungerle.

Paradigmatico il modo in cui Chiara definisce i rapporti fra le generazioni: «Vedendo nei giovani coloro che condividevano il nostro stesso ideale e che avrebbero continuato la nostra corsa verso l’ut omnes, li abbiamo sempre posti in grande rilievo, considerandoli alla stregua degli adulti.

Non solo. Fin dall’inizio abbiamo avvertito con loro un rapporto che non esiterei a definire trinitario. Costatavamo nella nostra generazione di adulti – la prima generazione del Movimento – tutto il peso, il valore dell’incarnazione e della concretezza del nostro ideale. Nella generazione dei giovani invece – la seconda generazione – tutta l’idealità, l’autenticità, la forza rivoluzionaria, la certezza della vittoria.

Se la prima generazione ci sembrava a mo’ del Padre, la seconda ne era la ‘bellezza’, lo splendore e quindi a mo’ del Figlio. E tra le due un rapporto di amore reciproco, quasi una corrente di Spirito Santo che dà al mondo una grande testimonianza»2. 

Questa necessità di relazione ci riporta alla forza educativa che la vita della Parola porta con sé, favorendo l’unità tra Parola e vita, tra dire e fare, tra essere e dover essere, provocando profondi cambiamenti nell’esistenza personale e mettendo perciò in atto in tanti un vero processo educativo.

Dalla prospettiva di adulti e di educatori, come favorire questo cammino di unificazione profonda?

Un suggerimento lo possiamo trovare nelle profetiche e ricchissime espressioni di uno scritto di Chiara del 1950: “Risurrezione di Roma”[1]3. Lo sguardo che rivolge alla città di Roma è lo stesso col quale anche noi dobbiamo guardare alla realtà: uno sguardo attento, di cura, che è già relazione. È il primo passo, quello che riguarda l’antropologia pedagogica, la riflessione sulla realtà e sulla persona. Poi, come lei, non possiamo fermarci a quanto vediamo.

Dal guardare la realtà si passa al guardare l’ideale: alla teleologia pedagogica, alla riflessione sui fini verso cui tendiamo. Infine, riguardando la realtà con gli occhi di quel Maestro unico che è Gesù, è possibile agire per trasformare la realtà intorno. E siamo alla metodologia pedagogica, alla riflessione sul metodo.

Proviamo allora ad accennare a questi tre momenti, cominciando con il guardare il mondo, il “mondo scristianizzato” (come viene spesso definito, almeno in Occidente), in cui i giovani vivono.

In quale mondo vivono
le nuove generazioni?

Nel nostro! Forse spaziando in ambiti che conosciamo poco, ma che trovano origine nella vita delle generazioni precedenti. Occorre perciò cercare di conoscere le situazioni che vivono, diverse nelle varie aree culturali.

In tanti punti del pianeta, ad esempio, si noterà come l’eclisse dei modelli di riferimento forti, ha dato vita ad una società che ha molte verità e che, in definitiva non ne ha nessuna; nella quale le norme morali e le forme religiose dipendono sempre più dal sentire dell’individuo. L’eccesso di proposte, messe tutte sul medesimo piano, porta in questi contesti all’impossibilità di valutare e selezionare. Ne deriva una situazione di “disagio” che dà origine spesso ad una incapacità di operare delle scelte, di assumersi delle responsabilità, di rispondere alla chiamata di Dio (sia nel celibato che nel matrimonio).

Per questo può succedere che convivano l’impegno con gruppi o associazioni religiose insieme all’assenza di una fede cosciente, alla mancanza di scelte morali interiorizzate e che, senza apparentemente grandi traumi, ognuno segua condotte etiche diverse a seconda del contesto: scuola, amici, gruppo di impegno…

In generale, comunque, la situazione sociale, la solidità o la crisi della famiglia (come si riscontra, ad esempio, soprattutto nelle società occidentali), favoriscono nei giovani atteggiamenti diversi, producendo persone responsabili o perenni “adolescenti” in continua ricerca di sostegni psicologici, sociali e spirituali e con reazioni altamente emotive e altalenanti.

Generazioni fatte per l’unità

Al di là delle “ombre” e delle “luci” che influenzano le nuove generazioni, molti sono gli studi che confermano che i giovani sono portatori di valori di tipo espressivo e solidaristico (spontaneità, fraternità, ecc.) ed appaiono ricchi di energie e di esigenze ben più profonde di quello che taluni avvenimenti di cronaca potrebbero indurre a credere.

In genere, si può notare nei giovani di oggi (e da una ventina d’anni lo riscontro quotidianamente nel mio impegno educativo) una maggior apertura e semplicità, meno problematicità intellettualistica. Sono aperti alla ricerca religiosa; accettano i valori, senza preconcetti, se vengono loro ben presentati; sono sensibili ai temi della mondialità e sono aperti alle culture diverse dalla loro; non si irrigidiscono davanti a modi di agire differenti dal loro.

Hanno più onestà nel mostrarsi limitati e nel ricominciare: se si trovano con qualcuno nel quale hanno fiducia non nascondono dubbi, cadute, difficoltà e sono felici di essere aiutati. È grande, infatti, la loro sensibilità al rapporto con gli altri: hanno un vero senso dell’amicizia, un’apertura sincera al dialogo col mondo degli adulti (anche se spesso non trova possibilità di sbocco), una nuova considerazione del ruolo e della dignità dell’altro sesso.

Tutte queste loro caratteristiche ben si accordano con lo sguardo di Chiara che da sempre ci ha portati a guardare alle nuove generazioni come a coloro che sono fatti per l’unità, che potranno veramente contribuire alla realizzazione di un mondo più unito e solidale.

La dinamica del «guardare»,
«non guardare», «agire»

Dopo questi accenni di analisi, da adeguare e attualizzare a seconda delle diverse aree geografiche, proviamo a fare qualche collegamento fra questa prima fase del guardare e quelle del mettere in luce le mete e dell’agire.

In tanti Paesi4, ad esempio, una forte incidenza sulla vita dei giovani l’ha il mondo virtuale nel quale fin da bambini si muovono assolutamente a loro agio. Mentre il qui ed ora era la condizione normale delle nostre esistenze, oggi si può vivere sempre “altrove”. La possibilità di conoscere realtà lontane, di interagire con persone in ogni parte del globo e perfino di vivere una “second life” (seconda vita) nell’universo virtuale creato dai videogiochi e da Internet, può venire incontro all’esigenza di relazioni, di spaziare o di rilassarsi, ma può anche predisporre a vivere senza contatti col mondo reale, in un rifiuto di una realtà che delude e produce incertezza.

Se guarderemo con attenzione e impareremo a conoscere profondamente queste e altre realtà che caratterizzano la vita dei giovani oggi, sperimenteremo in noi le luci e le ombre che esse portano. Conosciuto, fatto nostro l’universo mediatico nelle sue grandi possibilità, dovremo assumerci intenzionalmente il compito di accompagnare le nuove generazioni in questo cammino, puntando a costruire relazioni autentiche, aiutandole a sfruttare tutti i mezzi moderni per arrivare alla meta della fraternità universale, espressione laica per puntare sul «che tutti siano uno». Quando saranno tentati di “fuggire altrove” troveranno noi o gli altri giovani o altri della comunità al loro fianco e questo li aiuterà. Devono sentire che siamo qui per loro. È la vita della Parola, condensata nel comando dell’amore da viversi in modo concreto e continuo, il miglior antidoto alla fuga nel virtuale.

Un altro esempio. Studi e ricerche evidenziano in molte aree geografiche un nuovo modo di concepire il “tempo”: l’allungamento della vita, la speranza di restare giovani a lungo (favorita dalla medicina, dalle cure del corpo...), la mancanza di chiare tappe di crescita, la libertà di “sperimentare” modi di vita spesso contraddittori, può portare a vivere in un “eterno presente” in cui l’oggi appare non lo spazio in cui vivo, ma un momento in cui attendo il momento eccezionale che desidero. Con ciò si perde il legame con la realtà, il contesto, i ruoli degli altri e diventa difficile farsi programmi, prendere e mantenere impegni, superare ostacoli.

Si collega a questo anche tutto l’approccio ludico alla vita: la ricerca di divertimento, di ambienti con alta concentrazione affettiva ed emotiva, di sensazioni nuove che danno l’illusione di sperimentare il fatto di esistere. E di conseguenza: rifiuto di tutto quanto dice sforzo, dolore, difficoltà. 

Impariamo, allora, a scoprire e capire il bisogno di spazi di divertimento e gioco, aiutando però a viverli non come qualcosa di “altro”, “fuga dal normale”, realtà da vivere con gli amici fuori; ma come una delle componenti della vita nostra, come possibilità di amare, di donarsi, di gioire...

La vita della Parola favorirà anche nei momenti di svago la relazione con l’altro e non la ricerca di qualcosa di egoistico, per me. E nello stretto collegamento tra l’ideale e la vita, ogni azione acquisterà valore: dal lavoro allo studio, dal cucinare al divertirsi, dal riposare all’affrontare insieme le difficoltà e i dubbi.

Aiutiamo a ritrovare l’unità della dimensione temporale, valorizzando il passato, progettando il futuro, operando efficacemente nell’attimo presente. Si potrà raggiungere questo attraverso la relazione vera, che rende tangibile il qui ed ora.

Prospettive

Da questi esempi appare chiara una modalità nell’affrontare le situazioni e viene in luce la centralità della relazione autentica, concretizzazione della Parola-testamento di Gesù che è il Comandamento Nuovo, quale antidoto alla frammentazione che tanto colpisce soprattutto il mondo dei giovani.

Una relazione paritaria e differenziata che accompagna ma lascia liberi, che sa “sminuzzare” e rendere comprensibili le grandi mete ma che non dà troppe indicazioni o risposte, che suscita responsabilità e reciprocità. Relazione che ci porterà a far nostro il buio che possono attraversare, l’incertezza, soffrendo insieme e imparando ad aspettare fin quando il vero Maestro in loro, li muoverà a fare un determinato passo.

Lo stesso procedimento lo potremo ripetere in ogni situazione, anche ovviamente in quelle in cui ambienti e giovani ci si presentano con le caratteristiche dell’impegno, della concretezza, della generosità.

In ogni caso, è fondamentale una relazione con adulti capaci di testimonianza coerente, adulti cioè che vivano essi stessi relazioni autentiche: con la Parola, tra educatori all’interno della “comunità educativa”, con i giovani. Solo così si potrà riuscire ad accompagnare senza imporre, offrendo alle nuove generazioni un modello esistenziale e di vita capace di superare le fratture e di indicare la via per l’unità della persona. Una persona che si scopre creata in dono e capace di ricevere il dono di chi gli è vicino e che si realizza nell’unità di tutte le sue componenti e nella relazione con gli altri.

Francesco Châtel

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1)   «Il Giubileo dei Giovani ci ha come “spiazzati”, consegnandoci il messaggio di una gioventù che esprime un anelito profondo, nonostante possibili ambiguità, verso quei valori autentici che hanno in Cristo la loro pienezza» (Novo Millennio Ineunte, 9).

2)   C. Lubich, Messaggio per il Convegno Internazionale sulla Pastorale Giovanile, Castelgandolfo 7-9 aprile 1999 (inedito).

 3)  Idem, Risurrezione di Roma, “Nuova Umanità“ 34 (2002) pp. 435-437.

4)   Ovviamente non quelli che vivono in situazioni di guerra o in povertà estrema.