La vita della Parola al cuore di una parrocchia

Un esempio di unità ecclesialòe

di Enrico Gemma

 

Abbiamo avuto più volte l’occasione su queste pagine di parlare della parrocchia di san Giovanni della Croce a Roma (cf Gen’s 34 [2004] pp. 84-89 e 36 [2006] pp. 167-159). Riportiamo qui le testimonianze che il parroco, gli altri sacerdoti e i parrocchiani hanno offerto ai ca. 60 vescovi che, durante il convegno dei vescovi amici del Movimento dei focolari nel febbraio scorso, hanno reso visita a questa parrocchia. Ha fatto grande impressione l’apporto armonioso di diversi Movimenti, all’interno di una pastorale che trae la sua linfa vitalizzante dal Vangelo vissuto.

I primi passi

Sono don Enrico Gemma, ho 66 anni e 41 di sacerdozio. Quando sono arrivato in questa parrocchia, 19 anni fa, il quartiere era ancora in costruzione. Avevo il mandato di formare una nuova comunità parrocchiale. Ma da dove incominciare? Con quale progetto pastorale?

Ero stato già parroco in un quartiere centrale di Roma, ma era tutt’altra cosa. Mi risuonava nella mente il canto dell’esilio: «Ora non abbiamo più né il tempio, né l’altare per il sacrificio…. Anche il sacerdote si aggira per le strade e non sa cosa fare…» (cf Ger 14, 16).

Qualche anno prima avevo smarrito la mia identità vocazionale. Un giorno una madre di famiglia mi raccontava piangendo di aver perduto il marito, la casa… Io posso dire che qualche anno prima avevo perduto Dio, ma per fortuna Dio non aveva perduto me, anzi mi aveva preparato ad una nuova conoscenza di Lui, facendomi incontrare il Movimento dei focolari. Dalla frequentazione settimanale dei focolarini – passavo una giornata alla settimana con loro – nacque un legame sempre più profondo con i sacerdoti diocesani che già vivevano la spiritualità del Movimento. Fu così che si stampò nitida in me una Parola del Vangelo: Amare! Vuoi ritrovare Dio, il Dio vero? Ama, perché Dio è Amore!

Ecco, io sono venuto in questo quartiere con la gioia e la forza che mi dava il vivere questa Parola. Non mi preoccupava il fatto di non avere la chiesa, anzi ero contento di quella situazione. Anche se c’era la possibilità di cominciare subito la costruzione, ma un po’ fuori, ai margini del quartiere, preferii aspettare 13 anni, pur di avere il complesso parrocchiale dov’è adesso, nel cuore del quartiere stesso.

Non mi importava nemmeno di non avere un’abitazione degna. Sì, il Vicariato mi aveva offerto un appartamento, ma preferii abitare sotto un palazzo, in un negozio trasformato in chiesetta, dove aveva la sua casa anche Gesù Eucaristia, e dove la notte qualche topolino saltellava sul mio letto.

Ogni mattina uscivo dalla mia “tana” per andare a mettere in atto la Parola di vita. Mi portavo alle fermate del minibus della scuola per augurare la buona giornata ai bambini e alle mamme che li accompagnavano.

Più volte al giorno ero al supermercato per incontrare la gente e nella fila alla cassa facevo nuove conoscenze, proponevo a qualche mamma di fare la catechista e aiutavo qualche persona anziana a portare la spesa a casa.

Nasceva un piccolo gruppo di persone interessate a vivere la Parola e attorno alla Parola vissuta e partecipata, si andava formando una comunità, piccola Chiesa in mezzo alle case.

Dalla tenda al tempio

Marilena: Ho 44 anni e sono sposata con due figli adolescenti. Faccio parte del Movimento dei focolari.

La nostra parrocchia – come ha detto don Enrico – ha appena 19 anni, dei quali 13 passati sotto “la tenda” e 6 in questo bellissimo tempio. La nostra storia, infatti, ha avuto inizio in un locale di 185 mq destinato a negozio, dove abbiamo ricavato la chiesa, l’ufficio parrocchiale e persino un mini appartamento per il sacerdote.

Allora ero una giovane sposa con il mio primogenito appena nato. Mi presentai al parroco per mettermi a disposizione, e lui mi propose gli incontri della Parola di vita. Ci si trovava ogni settimana con altre persone di tutti i tipi – coppie, giovani, meno giovani, suore, due diaconi e il sacerdote. Facevamo conoscenza, prendevamo una frase del Vangelo e cercavamo di metterla in pratica e man mano scoprivamo vari punti della spiritualità dell’unità, che ci affascinavano. Cercavamo di amare tutti, di dare la vita l’uno per l’altro, di fare la volontà di Dio nell’attimo presente: in famiglia, al lavoro, in parrocchia, e poi tutti a raccontarci le nostre esperienze di Vangelo vissuto. Tutti insieme, proprio così! Perché volevamo farci santi insieme, ma in una santità di popolo.

Ed è proprio grazie a questa unità, che una Parola in particolare ha segnato il cambiamento della mia vita: «Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei Cieli ve lo concederà. Perché dove sono due o tre, riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 19-20). In questi anni mi sono accadute delle cose durissime: ho perso il marito e anche la mia casa. Ero costretta a fare un lavoro faticosissimo ed umiliante per dare una vita decorosa ai miei figli.

Ma la comunità del Movimento ed altre persone della parrocchia non mi hanno lasciata sola e insieme abbiamo pregato con nel cuore la certezza che il Padre non mi avrebbe abbandonato. E così è stato: poco prima di essere cacciata dalla mia casa, ne ho trovata un’altra bellissima e non distante. E poi ho anche realizzato il sogno della mia vita: fare la maestra. Infatti quattro anni fa ho avuto finalmente la cattedra di insegnante.

La mia vita è cambiata, ha acquistato uno spessore diverso. Ho sperimentato che le parole del Vangelo sono vere, cioè si avverano, e che tutti possiamo farne esperienza. «Cercate prima il regno di Dio». E il regno di Dio io l’ho trovato lì «dove sono due o più uniti nel mio nome».

La difficile convivenza
con le famiglie del palazzo

Francesco: Sono sposato con Lucia, abbiamo tre figlie e siamo impegnati nel Cammino Neocatecumenale.

All’inizio, quando la parrocchia si trovava nei locali del negozio, io ero uno del primo gruppo della Parola di vita. Il parroco dice che quel periodo era molto bello e che non c’erano problemi. Ma in realtà qualche problema c’era e molto serio, ma egli vedeva in tutto l’amore di Dio e riusciva a risolverli coinvolgendoci in questa esperienza.

Abitavo con la mia famiglia proprio in uno di questi enormi palazzi di 15 piani con 60 famiglie, dove era alloggiata anche la parrocchia. Man mano che la comunità cresceva, le famiglie cominciarono a lamentarsi del disturbo causato dal via vai della gente, dai canti, dalle chitarre, dagli applausi, ecc. Mi trovavo in una situazione imbarazzante: prendevo parte alle assemblee di condominio, dove tutti erano contro la parrocchia, e poi partecipavo alle riunioni della comunità ove si sentiva sempre più il peso della situazione.

Il condominio decise di passare alle vie legali. Seguirono denunce e continue ispezioni della Polizia municipale. Il Vicariato di Roma, interpellato dal parroco, ci mise a disposizione un bravo avvocato. Ma uno del nostro gruppo ci ricordò che il Vangelo suggerisce un altro modo di risolvere le controversie: «Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada procura di accordarti con lui…» (Lc 12, 58). Così abbiamo consigliato al parroco di muoverci su questa via, senza l’avvocato, disposti anche a chiudere la parrocchia.

Don Enrico: Sì, cominciai dall’ultimo piano, e nel giro di una settimana visitai tutte le famiglie del palazzo, una per una. Avevo tanto timore, perché mi attendevo qualche brutta reazione, soprattutto da parte di Giuliano, il condomino più infastidito, che abitava sopra la parrocchia.

Andavo a visitare le famiglie per chiedere scusa e trovare insieme una soluzione. Ascoltavo le loro esigenze, i loro suggerimenti e li riportavo in comunità. Trovai molta comprensione. Ma quando arrivai al condomino del primo piano suonai alla porta con tanta paura. «Cosa vuoi?», mi chiese con voce decisa. «Giuliano, vorrei parlare un po’ con te». «Accomodati», e mi aprì la porta. Era difficile guardarsi in faccia.

Non ricordo cosa dissi in quel colloquio. Ricordo soltanto che avevo addosso un gran sudore. Ad un certo punto, Giuliano si alzò, mi alzai anch’io, ed egli mi abbracciò, dicendomi: «Io, questo aspettavo, non le lettere del Vicariato».

La situazione cominciò a cambiare e s’instaurarono rapporti di reciproca comprensione. Alcuni di loro sono diventati nostri collaboratori, compreso Francesco. Ad una famiglia abbiamo affidato le chiavi della parrocchia. E così siamo andati avanti per 13 anni.

La presenza dei focolari...

Siamo Fabio e Diana, sposati da 19 anni, ed abbiamo due figli: Alessio di 17 e Veronica di 13.

Per noi l’incontro con il Focolare è stato determinante per il nostro rapporto di coppia e per il nostro cammino spirituale.

C’eravamo sposati in chiesa sì, ma per far contenti i nostri genitori. Infatti Diana non era particolarmente attratta da cose religiose; io avevo ricevuto una buona educazione cristiana, ma dopo la prima comunione e la cresima non ero più andato in chiesa.

I primi anni del nostro matrimonio erano stati difficili. Ci volevamo bene, ma sorgevano continui litigi ed incomprensioni, anche per l’intromissione dei nostri rispettivi genitori. Un giorno, tornando a casa, ho trovato Diana che piangeva per l’ennesima incomprensione. Non si poteva più andare avanti così, bisognava fare qualcosa. Ci siamo detti: «Proviamo ad andare in chiesa». E così siamo entrati nel negozio adattato a chiesetta. E lì, per la prima volta, abbiamo ascoltato e capito che Dio è Amore, che ci ama personalmente, ci accetta così come siamo; Egli non è nascosto da qualche parte, ma vuole essere tra noi e, se ci amiamo nel suo nome, si fa presente. E questo può avvenire non solo in chiesa, ma anche in famiglia.

Questa scoperta ci ha molto colpito ed abbiamo sentito subito che quel che mancava nella nostra famiglia era la Sua presenza. Così ci siamo uniti al gruppo della Parola di vita, che continua ancora oggi con tante altre persone.

Pian piano è cambiata la nostra vita, è cambiato il rapporto tra noi due ed anche il modo di educare i figli. Anche i nostri genitori, vedendo una nuova unità tra noi, hanno cambiato atteggiamento nei nostri riguardi.

Poi abbiamo cominciato a frequentare il Focolare, le Mariapoli ed incontri con altre parrocchie che stavano facendo la nostra stessa esperienza. Proprio al ritorno da uno di questi incontri abbiamo sentito molto forte la spinta ad andare dal nostro parroco per dirgli che eravamo molto presi dall’ideale dell’unità trovato nel Movimento dei focolari, e che insieme a lui volevamo donarlo ad altri in parrocchia.

Ed è quello che stiamo facendo ancora oggi insieme a tanti altri, mettendoci a servizio di tutti, alimentando quel clima di famiglia che rende più bella la parrocchia, sempre aperta alle singole persone e ai diversi carismi ecclesiali e cammini spirituali, di modo che tutti possano trovarsi a casa ed esprimere in piena libertà la bellezza della propria chiamata.

... e della Comunità di Sant’Egidio

Sono Teresa della Comunità di Sant’Egidio. Questa parrocchia è un esempio, una testimonianza di unità ecclesiale. Qui ci sono tante realtà parrocchiali che lavorano insieme e in armonia, pur appartenendo a Movimenti diversi.

Noi della Comunità di Sant’Egidio siamo presenti in questo quartiere da quando sono sorte le prime case. Costruire un tessuto di amicizia e di unità tra i cristiani rappresenta un valore importante per tutta la città: non è solo uno star bene tra di noi, ma è la testimonianza concreta che per vivere bene abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ad esempio, la messa domenicale delle 12 è animata a turno dai diversi Movimenti presenti in parrocchia.

Noi della Comunità di Sant’Egidio avevamo una sede nelle case popolari del quartiere e ci offrimmo per organizzare ed ospitare la messa domenicale. Ma si sa, 25 anni fa i Movimenti, le Nuove Comunità, non sempre ispiravano tanta fiducia e così ci fu qualche sospetto sulle nostre intenzioni, un po’ di incomprensioni, cose che arrivarono in seguito all’orecchio di don Enrico. Ma quando egli giunse nel quartiere, ci siamo vicendevolmente cercati e trovati. L’incontro personale, diretto, l’amicizia, il colloquio, spazzarono via ogni pregiudizio.

Ricordo quella sera d’estate, quando egli venne a trovarci alla nostra sede centrale in Trastevere: partecipò alla nostra preghiera e poi andammo a cena, insieme a don Vincenzo Paglia, ora vescovo di Terni. Parlammo fino a mezzanotte! Sembrava che ci conoscessimo da sempre. Così gli amici della Comunità di Sant’Egidio che, a qualcuno potevano sembrare un problema per la nascente parrocchia, divenennero i primi collaboratori del parroco.

Le distanze si erano tanto accorciate, che noi abbiamo cominciato a fare la preghiera della Comunità una volta alla settimana nella sede della parrocchia; e la parrocchia per un certo periodo, quando non aveva ancora sufficienti locali, veniva a fare il catechismo nella nostra sede. Anche il primo gruppo di focolarini era ospitato da noi per l’incontro della Parola di vita.

Questa “santa confusione” in realtà era espressione della profonda comunione e del reciproco aiuto stabilito tra noi. Comunione che non annulla certo, anzi rispetta e valorizza la diversità dei carismi che portiamo.

L’impegno della Comunità di Sant’Egidio in questo quartiere si caratterizza per due cose, che sono poi il cuore del nostro carisma: la preghiera che qui facciamo ogni settimana, in parrocchia; e l’attenzione nei confronti dei più deboli. Penso ad alcune famiglie povere che conosciamo, o a quelli che vengono da altri Paesi e vivono sugli argini del Tevere. Penso a quelli che vivono nei vagoni dei treni abbandonati nelle stazioni e per i quali prepariamo la cena una volta a settimana. Penso ai tanti anziani, a quelli che sono soli negli istituti accanto a noi. Cerchiamo di arrivare dove la parrocchia non riesce ad arrivare e anche questo è, non uno spazio tolto, ma uno spazio accresciuto e un motivo in più di comunione, di amicizia, di sostegno reciproco che va avanti ormai da più di 20 anni.

Il Cammino Neocatecumenale

Sono Daniela, sposata con Toni da 18 anni. Abbiamo quattro figli con noi e un altro in Cielo. Siamo del Cammino Neocatecumenale, dove entrammo prima del nostro matrimonio. Appena sposati siamo venuti ad abitare in questo quartiere. Così il Signore ha disposto che questa fosse la parrocchia dei nostri quattro figli. Già ai tempi della chiesetta-negozio, Toni ed io abbiamo respirato un’atmosfera di comunione e di amore. E quando, per qualsiasi motivo, non ci era possibile andare a celebrare nella nostra Comunità Neocatecumenale, con grande gioia venivamo nella chiesetta di questo quartiere. Eravamo affascinati dall’accoglienza e dall’amore che si respirava ad opera del parroco e dei suoi collaboratori.

I nostri figli hanno fatto qui la preparazione alla comunione e poi alla cresima. Quest’atmosfera di unità ha fatto sì che i nostri figli respirassero la spiritualità dei focolarini; perché sono stati gli stessi catechisti focolarini a seguirli nella loro crescita nella fede. E noi ammiravamo la loro dedizione verso i ragazzi, e ancora oggi i nostri figli nutrono affetto e stima per Fabio e Diana e per tutti gli altri che li hanno seguiti e formati.

Avevamo in cuore il desiderio che il Cammino Neocatecumenale, che ha salvato la nostra vita, il nostro matrimonio e la vita di tanta gente lontana dalla Chiesa, potesse essere presente anche in questa parrocchia.

Spesso, parlandone con don Enrico, abbiamo espresso questo nostro desiderio. Sappiamo che lui ha meditato tanto su questa nostra proposta e un giorno ci ha detto che lo avrebbe chiesto a Maria. La Madonna non tardò molto a parlare al suo cuore. E così lui stesso ha chiesto di incontrare i responsabili del Cammino. Li ha invitati a cena in una bellissima sera d’estate sulla terrazza della parrocchia appena inaugurata.

Così cominciarono le catechesi. Ed è nata una prima comunità, e poi anche una seconda. Oggi siamo qui a testimoniare la fedeltà di Dio, che ha disposto che anche i nostri figli, insieme ad altri 20 ragazzi, siano nella prima comunità neocatecumenale di questa parrocchia.

«Prendi il largo»:
dare un’anima al quartiere

Sono Patrizia e vivo in questo quartiere da 14 anni. Amo la mia parrocchia. In questi anni l’ho vista crescere e mi sembra sempre più bella. Non appartengo a nessun Movimento ecclesiale, e in questo senso posso rappresentare tante altre persone semplicemente impegnate in parrocchia. Faccio la catechista preparando i ragazzi alla cresima. Sono contenta nel vedere che alcuni di questi ragazzi dopo la cresima si impegnao chi in parrocchia, chi nei Movimenti, chi in altre attività.

In questi ultimi anni la comunità parrocchiale sta uscendo dalle sue mura per essere più visibile nel territorio. C’è una Parola che ci spinge: «duc in altum  prendi il largo».

E qualche passo in questo senso è stato fatto. Alcuni di noi, giovani e adulti, fanno volontariato in una clinica e in un ospedale vicini. La scuola del nostro quartiere ha attraversato momenti di difficoltà al punto che le famiglie non vi mandavano più i loro figli. Il nuovo preside, che si professa laico e agnostico, ma animato da tanta buona volontà, ha chiesto la collaborazione della parrocchia. Abbiamo ascoltato tutte le sue difficoltà e i suoi progetti, gli abbiamo assicurato la nostra solidarietà e la nostra fattiva collaborazione. Ora la situazione della scuola va meglio e le famiglie stanno riacquistando fiducia.

Anche i giovani portano fuori da queste mura un messaggio di gioia e di sana allegria. Lo fanno a modo loro: come cantori e attori: proprio la scorsa settimana hanno offerto alla gente del quartiere uno spettacolo teatrale di un certo livello.

Questo loro lavoro è importante, perché siamo in un quartiere dormitorio, dove l’unico punto di aggregazione è la parrocchia. Pensando a tanta gente che non viene in chiesa, abbiamo inventato una festa patronale in chiave moderna, con tornei sportivi, cortei allegorici, concerti e altre manifestazioni, tutto realizzato dai gruppi parrocchiali.

Abbiamo evitato di ostentare simboli sacri e religiosi, ma abbiamo dato messaggi forti sui valori della famiglia, la solidarietà, la pace. Migliaia di persone sono uscite dalle loro case e hanno partecipato con entusiasmo alle varie manifestazioni.

La vita di comunione tra i sacerdoti

Mi chiamo Froilan Mamani Chambi, ordinato sacerdote 12 anni fa in Bolivia nell’arcidiocesi di La Paz. Attualmente sto studiando catechesi nella Pontificia Università Salesiana a Roma.

Poter vivere in questa comunità è stato un grande dono di Dio per me. Da quando sono arrivato in parrocchia mi sono sentito a casa. Un aneddoto. Arrivai alle cinque del pomeriggio e alle sei celebravo la messa in italiano: fu così bella come la mia prima messa.

Man mano che passavano i giorni venivo a contatto con i vari collaboratori nella pastorale e i loro differenti carismi. All’inizio non fu facile orientarmi, anche a motivo della lingua che capivo solo con fatica. Poi mi sono trovato così bene da coinvolgere anche il mio arcivescovo. Oggi anch’egli si sente membro di questa parrocchia ed è venuto più di una volta a condividere la nostra vita.

Io sono César. Fin da ragazzo il Signore mi ha chiamato nel Cammino Neocatecumenale. Vengo dall’Honduras. Ho fatto il seminario al Redemptoris Mater qui a Roma e sono stato ordinato da Benedetto XVI.

Un anno e mezzo fa sono arrivato in questa parrocchia con tante paure. Non mi aspettavo, anzi non sapevo che tutti noi sacerdoti eravamo di spiritualità diverse: un’esperienza nuova, con un linguaggio e atteggiamenti differenti da quelli cui ero abituato. Un’esperienza che mi sta facendo scoprire la Chiesa, che mi educa all’unità nella diversità per la comunione tra più carismi all’interno della nostra comunità.

Noi quattro sacerdoti viviamo insieme, ma proveniamo da una diversa formazione. Non mancano i momenti di difficoltà, di fatica, ma nonostante tutte queste cose il Signore ci dona la comunione nella sincerità dei rapporti. Ognuno di noi ha compiti diversi, ma seguiamo un progetto pastorale unitario.

Nelle nostre giornate abbiamo dei momenti importanti di dialogo, quando condividiamo esperienze, notizie e aggiornamenti. Talvolta andiamo fuori insieme e passiamo una giornata distensiva, tutta nostra. In questa coinvolgiamo anche il diacono permanente, Salvatore, e i nostri quattro seminaristi, vero dono di Dio alla nostra comunità parrocchiale: Claudio, del Collegio Capranica, Richard del Seminario Romano Maggiore, Daniele del Seminario Redemptoris Mater e Ramiro, brasiliano, dei focolari.

Cosa dire poi dei tanti sacerdoti di passaggio che ospitiamo? Ci raccontano le loro esperienze pastorali e le loro vicende personali, tutti testimoni di quanto è importante e bella l’unità fra i vari carismi.

Sono Gian Marco, sacerdote da quasi 10 anni e vice-parroco qui da sei. Appartengo alla comunità “Casa di Maria”, una nuova realtà ecclesiale nata circa 20 anni fa, come risposta di fede all’invito di Maria di mettere Dio al primo posto nella propria vita. Siamo legati alla Pontificia Accademia dell’Immacolata.

Qui ho trovato una parrocchia viva, giovane, con una caratteristica particolare: quella dell’accoglienza immediata. Ricordo che il cardinale Ruini nel mandarmi qui mi disse: «Non dovresti avere problemi perché il parroco è focolarino».

Oggi la parrocchia si presenta così: è un quartiere popolare con 3.350 famiglie, circa 12.000 abitanti. Sono famiglie giovani. In questi anni sono nati tanti bambini: il quartiere è pieno di ragazzi. Ne abbiamo circa 400 tra catechismo e oratorio.

Le persone appartenenti ai vari Movimenti ecclesiali danno un valido contributo alle attività pastorali e portano avanti, ciascuno secondo il proprio carisma, delle belle esperienze di nuova evangelizzazione.

Anche noi sacerdoti, pur seguendo cammini spirituali tanto diversi, formiamo una sola famiglia: ciò che ci unisce è l’amore fraterno, lo stesso amore che univa gli Apostoli a Gesù e tra di loro.

a cura di Enrico Gemma