Il carisma dell’unità in un quartiere di periferia di una città brasiliana

 

Periferia e pericoresi

di Vilson Groh

 

L’autore di questo articolo, sacerdote della diocesi di Florianópolis, Brasile, racconta come il carisma dell’unità lo ha aiutato a scoprire e ad attivare i segni della pericoresi (comunione/mutua immanenza) nel lavoro pastorale che svolge sin da giovane, tra la periferia e il centro della sua città.

Il prefisso “peri” viene dal greco e significa un movimento “intorno”. Di conseguenza parola “periferia” indica la regione che circonda la città, una zona spesso molto vasta, fuori dal centro e in genere carente di infrastrutture e di servizi urbani, abitata da persone di basso reddito economico. Fa pensare il fatto che questo stesso prefisso ricorra  nella parola pericoresi che esprime la profonda comunione che lega tra loro le tre Divine Persone, modello di comunione per la Chiesa e quindi anche per la famiglia umana, ambedue create ad immagine di Dio.

Fare una simile considerazione per me è ben più che un gioco di parole. Quando ero studente di teologia svolgevo qualche attività pastorale tra i poveri di una “favela” appollaiata su di un colle così scosceso che accedervi, soprattutto in tempo di piogge, era sempre un’avventura. Ogni volta che tornavo nel seminario e prendevo in mano i libri di teologia mi tornavano alla mente quei poveri e riflettevo su cosa significassero per loro le realtà della nostra fede.

Ora abito sulla cima di quel colle della città di Florianópolis, capitale dello Stato di Santa Catarina (Brasile), e dalla mia casupola ho una visione panoramica del mare e dei due lati della città: quella distesa sulla terra ferma e l’altra più pittoresca nell’isola di fronte. Non sono venuto per caso ad abitare in questo posto. È stata una delle conseguenze del mio contatto col Movimento dei focolari quando ero ancora studente di filosofia.

Ciò che più mi attirava nel Movimento era “il carisma dell’unità” vissuto nel concreto. Laici consacrati e no, famiglie, impresari, lavoratori, seminaristi e sacerdoti si rapportavano avendo davanti a loro come modello la pericoresi che si vive nella Trinità tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Per gli amici che conoscevo nel Movimento questo significava comunione piena tra persone differenti: condivisione di beni spirituali e materiali, di idee e progetti, e in pratica comunione della vita intera e in forma permanente. Sono entrato anch’io in questa dinamica.

Una risposta al grido di Gesù

Il contatto vitale con la spiritualità dell’unità mi ha aiutato a sviluppare vari aspetti della mia vita personale e poi ha gettato luce sulla mia attività pastorale. Ho scoperto che ascoltare e cercare di dare risposte al grido del povero, vittima di ingiustizie, non è altro che andare incontro al “grido” di Gesù crocifisso e abbandonato sulla croce.

La mia vita, dunque, doveva essere una piccola risposta al “grido” di Gesù che continua la sua passione in ogni persona che soffre e nella massa del popolo.

Ho capito allora che non dovevo scegliere i poveri per i poveri, ma vedere in loro il volto sfigurato di Cristo e, sul suo esempio, essere costruttore di “ponti” tra Dio e gli uomini e con gli uomini tra loro.

Così la spiritualità dell’unità mi ha dato la forza per penetrare nella vita del popolo che vive in periferia senza assorbire e fomentare i veleni della rivolta, ma cercando alternative con azioni concrete nel campo ecclesiale, sociale, politico ed economico.

Puntare sulla comunione

Sono stato ordinato sacerdote nel 1981, un periodo di grande effervescenza di movimenti sociali in Brasile e mi impegnai subito a lavorare con le Comunità ecclesiali di base. Questa scelta era in sintonia con le conclusioni della Conferenza a Puebla nel 1979. I nostri vescovi avevano proposto due scelte preferenziali nella pastorale: i poveri e i giovani. Mosso dalla spiritualità dell’unità sentii un forte impulso ad andare ad abitare insieme ai poveri per testimoniare l’amore di Dio in comunione con loro: «dare la vita per la propria gente», come Chiara Lubich aveva chiesto a tutti i membri del Movimento.

I colleghi sacerdoti, con i quali avevo intrapreso il cammino nella spiritualità dell’unità, mi aprirono gli occhi: il mio progetto era bello, ma dovevo metterlo in comunione con il nostro arcivescovo. Lo feci con grande libertà, perché non volevo che fosse solo un’idea e un’iniziativa personale, ma desideravo che il mio lavoro fosse una risposta ecclesiale e al tempo giusto. L’arcivescovo mi ascoltò con attenzione e direi con entusiasmo e, dopo essersi consigliato, mi liberò dal lavoro che da un anno svolgevo nella cattedrale e mi affidò questo nuovo compito. Fu così che andai ad abitare sul “colle”, dove sono ormai da 23 anni.

Guardando questo mondo
dalla mia finestra

È notte e, dalla piccola casa in cui abito, posso contemplare la realtà della città. L’oscurità mette ancor più in rilievo la bellezza della luna che si riflette sulle acque del mare davanti al colle. Tutto intorno questa notte c’è calma. Non ci sono sparatorie tra le squadre del narcotraffico.

Anche la nostra regione, in effetti, è vittima del crescente processo di violenza urbana. Le aree di esclusione sociale sono quelle che più ne soffrono. La periferia della città è segnata dalla presenza di un grande numero di poveri immigrati, bianchi, neri e meticci, che si sono installati nelle aree non urbanizzate delle “favelas”. Essi fanno parte dei 46 milioni di brasiliani che vivono al di sotto della soglia della povertà e di questi 24 milioni sono bambini e adolescenti.

Florianópolis rispecchia in pieno questa triste statistica. La nostra bella città, collocata parte sul continente e parte in una stupenda isola in mezzo ad acque cristalline, ha oggi su ambo i lati una periferia tremendamente marcata dalla violenza che uccide tanti giovani e adulti. E una delle cause è lo squilibrio sociale tra ricchi e poveri.

Sono venuto a vivere qui perché vorrei essere un segno di comunione in questo difficile contesto. Ogni persona, ogni situazione di ingiustizia, di abbandono, di miseria, di malattia, di disoccupazione sono realtà crude che chiedono risposte vere. Al centro di ogni sofferenza c’è un uomo e una donna creati ad immagine di Dio. Non si può permettere che si continui a sfigurarli.

Ma dove attingere la forza per impegnarmi quotidianamente nel rinnovamento di questa società? È stata e continua ad essere la vita di comunione che cerco di vivere con gli altri membri del Movimento dei focolari.

Costruire “ponti”

Come colmare la distanza tra centro e periferia? Come mettere in atto tra queste due realtà la straordinaria forza trasformatrice della pericoresi? Abbiamo dato vita ad un progetto in cui le due realtà interagiscono. Siamo andati incontro a vari settori della società per intavolare un dialogo. In questo modo abbiamo attirato  sul nostro progetto l’attenzione di persone di classe media che abitano nel centro e nei quartieri ricchi della città. Enti privati, ma anche circoli politici e culturali, si interessano e mettono in atto progetti concreti dentro il nostro progetto globale per l’educazione, per il lavoro e per la preservazione dell’ambiente.

Il rapporto tra persone che vivono in  realtà tanto diverse fa emergere una metodologia di apprendimento mutuo. Il dialogo interculturale e il rispetto delle diversità tra questi gruppi sociali permettono azioni originali e trasformatrici.

Alcuni impresari, osservando come ci rapportiamo con i poveri, con i loro animatori, con i bambini e con i giovani della periferia, cominciano a riflettere sulla loro responsabilità sociale. Poco a poco loro stessi danno ad altri impresari la “testimonianza profetica” dell’importanza dell’inclusione sociale per non continuare a creare l’esclusione, cioè l’emarginazione.

Il grande ponte Hercílio Luz che lega la parte continentale della città all’altra parte sorta nell’isola sembra volerci ricordare continuamente che un nuovo modello di società vuole emergere se sappiamo costruire “ponti” tra le persone: tra chi ha e chi non ha.

Questo stile di lavoro abbatte le barriere e i muri della miseria, dell’impoverimento, del preconcetto, perché permette il dialogo continuo tra i due lati. Dialogo basato nella reciprocità dell’amore e nella certezza che la comunione è il cammino giusto per la soluzione dei problemi sociali.

Alternative per la gioventù

Stiamo lavorando con una rete di 10 mila bambini e adolescenti dai 7 ai 14 anni che frequentano le scuole pubbliche situate nelle “favelas”. Attraverso tre organizzazioni non governative 500 bambini ricevono un’assistenza scolastica quotidiana.

Con molti sforzi stiamo cercando di costruire un’alternativa culturale al narcotraffico. Abbiamo elaborato un progetto affinché adolescenti e giovani possano scoprire se hanno le doti necessarie per frequentare l’università. Attualmente 250 giovani si stanno preparando a studi universitari e 320 giovani della periferia già li frequentano.

Nonostante questo nostro impegno molte persone continuano ad essere uccise in maniera drammatica. In un anno ho celebrato 80 funerali di giovani e adulti violentemente assassinati. Negli ultimi quattro anni, solo nell’area in cui lavoriamo, abbiamo avuto un totale di 560 persone uccise.

Parallelamente alle nostre attività è in pieno svolgimento un altro progetto in collaborazione con il governo federale. Un progetto da noi stessi sollecitato: “La Cooperativa della gioventù”, che comprende 1500 giovani. Desideriamo venire incontro a loro proponendo politiche pubbliche e sociali che diminuiscano la violenza e provvedano alternative all’assistenzialismo così radicato storicamente ma non costruttivo. È il nostro contributo, affinché anche i poteri pubblici facciano la “scelta preferenziale dei giovani”.

Nei nostri progetti non tutto è facile specialmente per quanto riguarda la parte finanziaria. Affrontiamo queste difficoltà come occasioni per prendere maggiore coscienza che la comunione è sempre frutto della crocifissione e dell’abbandono di Gesù. Lo sforzo di restargli fedeli in questi momenti difficili apre spazi impensati di nuove collaborazioni che ci sorprendono con i loro risultati.

Quest’anno abbiamo potuto costruire un altro centro per 350 bambini e adolescenti. L’aiuto proveniente da iniziative private ha garantito il pagamento della maggior parte della spesa. All’inizio della costruzione potevamo contare solo sul 20% del costo totale. Facevamo ogni giorno l’esperienza di credere che Dio voleva quest’opera per i suoi giovani figli e figlie sprovvisti dei diritti più elementari. Fiduciosi nel Padre abbiamo incontrato in Brasile e all’estero tante mani generose e solidali, aperte al nostro progetto che oggi è in pieno funzionamento.

Altre attività

Il dialogo tra centro città e periferia continua. Anzi sono entrati in questa dinamica anche il mondo urbano e il mondo rurale. È iniziato un “Forum permanente di economia solidale” che promuove attività congiunte tra agricoltori, professionisti e intellettuali. Si stanno articolando vari progetti. Stiamo lavorando già con 60 aree di terre in conflitto nelle periferie della grande Florianópolis. Il “Movimento dei senza tetto” si sta articolando con quello dei “senza terra”, che vengono in città per prendere accordi in vista della Riforma agraria.

Continuo ad accompagnare le Comunità ecclesiali di base insieme a teologi e biblisti. Sono in contatto col “Movimento macro-ecumenico del popolo di Dio in America Latina” che aiuta molti pastori e leaders religiosi a riflettere e ad assumere insieme la causa dei poveri.

Anche il “Forum sociale mondiale”, tenuto a Porto Alegre, è stato per noi un’occasione preziosa per incrementare la comunione. Interagire con migliaia di partecipanti provenienti da più di 100 Paesi ha significato crescere nella nostra riflessione e azione di riscatto della dignità della persona.

Lavorare nel campo in cui mi trovo non è facile, ma coloro con i quali condivido il carisma dell’unità mi aiutano a dialogare e a generare la comunione con tutti. Sono convinto che questo stile di vita fa emergere i segni della Risurrezione contenuti anche nelle situazioni di morte con cui ogni giorno mi incontro. Ed è confortante vedere brillare il Risorto tra i poveri.

Vilson Groh