La vita comune tra sacerdoti: una perla del Vangelo da offrire a molti

 

«Dove due o tre» sacerdoti…

di Andrea Fleming

 

Da alcuni anni quattro sacerdoti abitano insieme a Haar, vicino a Monaco di Baviera. Dopo le difficoltà iniziali oggi guardando indietro vedono esperienze positive e importanti per loro e per altri. Li ha intervistati per noi Andrea Fleming, addetta stampa del Movimento dei focolari in Germania.

È sabato sera, verso le ore nove. Nella casa parrocchiale di S. Corrado ormai tutto è tranquillo. Erich Schmucker, parroco a Monaco, è appena tornato a casa. Rüdiger Karmann e Hans Schweiger, ambedue parroci nella città di Haar in due diverse parrocchie, lo attendono per la loro “serata comune”. Da dieci anni vivono nella stessa comunità sacerdotale alla quale nel 1999 si è unito Klaus Hofstetter, responsabile diocesano per la gioventù, che per motivi di spazio abita nella casa di fronte.

Chiamati al celibato,
non alla solitudine

Hans Schweiger ricorda: «Ognuno di noi aveva da tempo il desiderio di far vita comune. Dopo esser stato parroco in campagna, con una canonica tutta a mia disposizione, ho detto al mio vescovo: “Io mi sento chiamato al celibato, ma non alla solitudine!”».  Erich Schmucker precisa che il desiderio di vivere insieme non voleva dire scegliere quella determinata persona. «Non avrei mai immaginato di abitare, per esempio, con Rüdiger. Avevamo fatto vacanze insieme e tornando in macchina abbiamo espresso il desiderio di poter vivere a vita comune. Ma da parte mia non avrei scelto  spontaneamente Rüdiger».

La risata unanime denota che se la sono poi cavata bene. Regna un’aria sciolta e aperta, il loro parlare è cordiale, talvolta un po’ immediato e provocante.

Quale è la differenza dalla vita di prima? Hans Schweiger fa subito un esempio: «Vai al mattino a far colazione e qualcuno ti augura il buon giorno. Oppure sei seduto nel giardino a recitare il breviario e improvvisamente arriva qualcuno degli altri. All’inizio ogni volta ne ero sorpreso».

Rüdiger Karmann ha fatto esperienze non sempre positive negli anni di cappellano. «Ho sofferto la solitudine. Certo, vorresti avere qualcuno a casa che ti aspetta. Ma con il tempo si impara a reggere da solo. E se poi vivi in comunità, è importante non scaricare i tuoi bisogni sugli altri. Qualche giorno torno a casa e sparisco subito nel mio appartamentino senza cercare la compagnia: sento il bisogno di star da solo, ma nello stesso tempo sono contento perché so che nella casa c’è vita».

In casa ognuno ha la propria abitazione, mentre la cucina e un grande soggiorno accogliente sono a disposizione di tutti. Questa sistemazione si è rivelata molto adatta. Importante è anche il fatto che ognuno abbia il proprio “ambito di lavoro”. Così si impara a non finalizzare la convivenza unicamente alla dimensione operativa, essendo 24 ore su 24 “al lavoro”, ma a dare il giusto posto pure alla distensione e alle faccende pratiche di ogni giorno. «Abitare insieme sotto lo stesso tetto non significa ancora vivere insieme», sottolinea Hans Schweiger e fa intuire che anche lui ha dovuto imparare alcuni aspetti della vita in comune. «Non stiamo insieme con l’intento di sviluppare una pastorale più efficace, ma prima di tutto vogliamo vivere l’amore reciproco. In concreto ciò vuol dire: a pranzo mettere da parte per un momento le difficoltà e le varie vicende della propria parrocchia per sentire innanzi tutto che cosa sta a cuore all’altro».

Spazio libero cui dare forma

Per dare un ordine alla loro vita, i quattro nella canonica di San Corrado si sono messi d’accordo su alcuni momenti in comune da salvaguardare. Tutti i giorni, tranne lunedì e sabato, alle 7.30 del mattino recitano le lodi, fanno meditazione e una breve comunione della loro vita. Klaus Hofstetter sottolinea come sia importante iniziare insieme la giornata. Conviene chiedersi sempre di nuovo quale è il motivo ultimo della loro convivenza e quale ne è il “centro”. In genere pranzano insieme. Il pasto viene preparato da una signora impiegata a tempo parziale. Il sabato sera è sacro, cioè libero da ogni impegno ufficiale. C’è tempo per giocare a carte, cantare, suonare o semplicemente chiacchierare. Alcuni membri della parrocchia, ai quali in quest’occasione è stato disdetto un appuntamento, hanno accolto l’idea di riconsiderare anch’essi la strutturazione della serata nelle loro famiglie.

Il tempo restante viene dedicato secondo il proprio gusto a iniziative comuni o non. Ci si accorge però che i momenti trascorsi insieme per lasciarsi formare sempre più dall’amore scambievole liberano energie nuove. Trafficando in cucina è possibile che nasca magari un progetto nuovo per le prime comunioni sulla base di quello che due di loro avevano concepito separatamente. Uno aveva preparato le singole lezioni, l’altro enucleato il profilo didattico e pedagogico. Cosi è nato un progetto più ricco. Alcune idee dell’altro vanno benissimo per il mio lavoro, altre non sono trasferibili a motivo delle diverse condizioni della parrocchia. Ma nella condivisione spesso si scoprono prospettive nuove. I quattro sacerdoti prendono sul serio le differenti situazioni di ogni parrocchia e del lavoro diocesano. Non è pensabile sempre una soluzione modello per tutti. «Vuol dire mettere magari da parte un’idea geniale per cercare con i collaboratori della propria parrocchia la soluzione migliore», fa presente Hans Schweiger. Attraverso la vita comunitaria ognuno riceve impulsi e spinte che possono aprire nuove vie per situazioni che si incontrano nella propria parrocchia.

Arricchimento e sfida

Una tale vita in comunione rivela i punti forti e quelli deboli dell’altro e manifesta anche i propri limiti. Cosa è nato negli ultimi dieci anni? «Di sicuro è più viva la coscienza che ognuno di noi è un mondo a sé!», afferma spontaneamente Erich Schmucker. Ormai è possibile vedere l’arricchimento che le diverse mentalità, formazioni e storie personali apportano. In alcuni momenti è una sfida per far crescere la pazienza e la misericordia. L’amore reciproco che i quattro sacerdoti vogliono far trasparire ha bisogno di segni concreti: uno è abituato ad apparecchiare la tavola per la colazione, un altro si presta a fare da cuoco nel weekend. Hans Schweiger ricorda che il suo ufficio sarebbe meno funzionale, se Rüdiger non avesse studiato con lui fino a tarda sera come sistemare i mobili nel migliore dei modi. È piuttosto originale che due sacerdoti scelgano insieme l’arredamento.

La vita in comune porta ad un arricchimento reciproco. «Hans mi aiuta nel preparare i documenti per le nozze», aggiunge Rüdiger Karmann. «Ho poca esperienza con i casi speciali. Lui mi consiglia le formulazioni esatte. Da Erich invece imparo molto sulla liturgia, constatando quanto poco mi è rimasto della mia formazione in questo campo. Egli con grande competenza e senza atteggiarsi a maestro riesce a trasmettermi molte cose».

Klaus Hofstetter, essendo responsabile per i giovani della diocesi, segue un altro ritmo di vita. Ci vuole fantasia per averlo presente come membro della famiglia, anche se spesso è in viaggio. «La vita a Haar è per me – egli spiega – una possibilità preziosa per mettere i piedi per terra. Attraverso Erich, Hans e Rüdiger sono in contatto con le gioie e le difficoltà di una parrocchia normale. Nello stesso tempo la mia presenza li aiuta a non perdere di vista la dimensione e le linee direttrici della diocesi».

Ogni tanto bisogna fermarsi

Si ha l’impressione di una vita armoniosa e senza complicazioni. Quando chiedo se ci sono anche punti di tensione non esitano a rispondere affermativamente. Uno di loro è cresciuto con molto spazio a disposizione e non capisce come mai si debba sempre rimettere tutto a posto, un altro ama l’ordine e non sopporta i piatti sporchi accanto alla lavastoviglie. C’è chi ama le decisioni veloci e spontanee e si trova invece alle prese con il modo di fare più riflessivo di chi ha bisogno di più tempo per soppesare i pro e i contro. A volte succede che il lavoro prende uno spazio così grande che uno riduce al minimo la sua presenza in casa. Allora è meglio fermarsi per chiedersi: perché sono qui? Cosa mi impedisce di fare le valigie?

In momenti del genere viene in risalto il desiderio comune di ricostruire uno spazio dove Dio possa farsi presente. La promessa di Gesù di essere là dove le persone si amano, dove si riuniscono “nel suo nome”, è il centro attorno al quale ruota la convivenza dei sacerdoti a Haar. «In ciò consiste il nostro comune denominatore. Siamo qui proprio per questo motivo. La nostra vita può essere riordinata sempre di nuovo seguendo questa norma», sostiene Rüdiger Karmann.

Comunità che irradia

La gente si rende conto di questo stile nuovo della vostra vita? La risposta sorprende: «Si, quando cantiamo. Le persone che ci sentono cantare o suonare insieme, per esempio durante una festa, spesso, pur non sapendo dire il perché, sono toccate positivamente. Sembra che colgano qualcosa, capiscono che non si tratta di sacerdoti che fanno semplicemente della musica».

Spesso seminaristi oppure sacerdoti anche di altri Paesi vengono a trovare questi quattro preti per prendere parte per un periodo alla loro vita comunitaria. «È una sfida adattarci a loro e nello stesso tempo avere il coraggio di farli partecipi del nostro stile di vita», commenta Hans Schweiger.

Per il resto ognuno dei sacerdoti ha un proprio campo d’azione e d’irradiazione. Rüdiger Karmann è decano. Klaus Hofstetter, oltre al suo lavoro di responsabile diocesano per la gioventù, si occupa di un gruppo di seminaristi attirati da quella spiritualità di comunione che è il fulcro dell’esperienza di Haar. Erich Schmucker fa da cappellano per una federazione sportiva cattolica, offrendo programmi spirituali per il mondo dello sport. Hans Schweiger si occupa dei sacerdoti della Baviera amici del Movimento dei focolari.

Riferendosi a questo irradiazione verso l’esterno, Erich Schmucker dice: «Attraverso la nostra convivenza porto qualcosa dentro di me che si ripercuote spontaneamente nell’ambiente in cui opero. So quanto bene mi fa la vita in comune, quanto mi forma e mi trasforma. È impossibile tenere solo per noi questa perla del Vangelo. Ci sentiamo spinti ad offrirla a quanti la desiderano».

Andrea Fleming