Partire dall’essenziale

 

Dal 16 al 20 ottobre 2006 – come si sa – la Chiesa in Italia si ritroverà a Verona per il IV Convegno Ecclesiale nazionale, intenta a fare il punto della situazione a metà di questo decennio durante il quale l’azione pastorale e la vita delle comunità cristiane sono orientate a comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.

«Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo» sarà il tema dell’importante assise che ripropone quello che era già stato il filo rosso di tutti i Sinodi di vescovi a raggio continentale che avevano preceduto il Grande Giubileo del 2000.

«Ripartire da Cristo», dal suo volto dolente e insieme risorto, è stata pure la parola d’ordine che Papa Wojtyla, a Giubileo concluso, ha consegnato alla Chiesa intera nella sua Lettera-programma Novo millennio ineunte.

Ma che cosa vuol dire essere «testimoni di Gesù Risorto»? E in che senso egli è «speranza per il mondo»? È questa la domanda che urge porsi.

Nel presentare nella primavera scorsa lo strumento di preparazione del Convegno, il card. Tettamanzi, mostrando grande sensibilità a tali interrogativi, ha affermato che la tematica scelta intende «far convergere quattro fondamentali elementi: la persona di Gesù, il Risorto che vive in mezzo a noi; il mondo, nella concretezza della svolta sociale e culturale della quale noi stessi siamo destinatari e protagonisti; le attese di questo mondo, che il Vangelo apre alla vera speranza che viene da Dio; l’impegno dei fedeli cristiani, in particolare dei laici, per essere testimoni credibili del Risorto attraverso una vita rinnovata e capace di cambiare la storia».

Non si tratta quindi di una semplice riaffermazione della fede nella presenza sempre attuale del Risorto, ma di coniugarla con il vissuto del mondo e degli uomini di oggi – impegno che vede in primo piano i laici – onde mostrare con evidenza l’incidenza storica e vitale del messaggio evangelico. Quasi a ritornare alle origini del cristianesimo quando l’annuncio fondamentale era: «Gesù di Nazaret (…), voi l’avete inchiodato sulla croce (…). Ma Dio lo ha risuscitato. (…) E noi tutti ne siamo testimoni» (cf At 2, 22-32). Testimoni non solo perché gli apostoli lo avevano «visto», anzi «toccato» (cf 1Gv 1, 1), ma perché egli era presente in loro e viveva in mezzo a loro che ormai erano diventati il suo «Corpo».

Urge, nel nostro tempo, pieno di sfide, tornare all’essenziale. E rispondere – come ha detto ancora il card. Tettamanzi – «ad alcuni interrogativi di fondo e di grande interesse: che cosa il Vangelo comunica alla vita dei cristiani? come Gesù Cristo può rigenerare questo vissuto, soprattutto nella sua dimensione quotidiana? come può essere plasmata una nuova prospettiva antropologica nell’epoca della complessità?».

La presenza di «Gesù in mezzo ai suoi», così come viene intesa e vissuta nella spiritualità dell’unità, ha da offrire spunti importanti per rispondere a tali domande.

Dove Cristo si rende presente nella reciprocità dell'amore – come sottolinea la dottrina spirituale di Chiara Lubich attualizzando linee di fondo del messaggio biblico (cf i due studi riportati in questo numero di «gen’s») – non soltanto si dinamicizza la vita ecclesiale, con importanti conseguenze per la stessa sopravvivenza della Chiesa in contesti particolarmente difficili (cf. la testimonianza del card. Van Thuan), ma si fa strada pure una realtà antropologica qualitativamente nuova che intercetta le aspirazioni più profonde di ogni persona umana ed è, allo stesso tempo, intimamente legata a Cristo.

Vengono superate – come avvenne nelle prime comunità cristiane (cf At 4, 32; Gal 3, 28) – barriere sociali, culturali, razziali e si fa l’esperienza di essere uno nella distinzione e distinti nell’unità – liberi ma non soli, in comunione con gli altri ma pienamente se stessi – ad immagine di quella vita trinitaria che da sempre è iscritta come anelito in ogni cuore umano ma che senza il dono della grazia, fuori del raggio d’azione del Risorto, non riusciamo a realizzare.

Far sperimentare questa nuova socialità che affonda le sue radici in Cristo è istanza prioritaria per la vita ecclesiale oggi. Farla dilagare come per contagio significa dare un forte impulso alla missione: comunicare la novità del Vangelo in un mondo che cambia.

Ma c’è un altro fatto da ricordare: la promessa di Gesù di essere presente là dove due o tre sono riuniti nel suo nome (cf Mt 18, 20), nel 2006 sarà il leitmotiv della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. «Il fulcro di quanto ci unisce è la presenza del Cristo Risorto», si legge nella presentazione della Settimana. E poco oltre: «Radunarsi nel nome di Gesù significa condividere l’amore che Egli ha portato sulla terra. Questo amore (…) è un amore generoso, che si dona e soffre». Niente e nessuno come la presenza del Risorto, resa sperimentabile da tale amore, può dare fecondità alle varie forme di dialogo volte a ristabilire la piena visibile unità dei cristiani che è condizione indispensabile per poter essere efficacemente testimoni della speranza nel mondo di oggi.

H.B.