Perché tutti siano uno

 

Sulle Strade del Mondo

a cura della segreteria internazionale del movimento gens

 

Vivere in seminario, ma con l’anima spalancata sull’umanità, con le sue ansie e le sue piaghe. E’ questa l’avventura di cui parlano queste pagine e che unisce futuri sacerdoti nelle più varie parti del mondo. Tra cui Melchor delle Filippine che ci ha inviato questo racconto. «All’inizio dell’anno accademico sono stato eletto presidente del Consiglio degli studenti della Divine Word School a Tagaytay. Fanno parte di questo ateneo circa 200 studenti di varie diocesi e congregazioni religiose. Ho accolto questo compito come un’opportunità per creare la famiglia fra tutti.

Quando abbiamo preparato un momento di incontro prima delle vacanze di Natale, mi è venuta un’idea che ho sottoposto ai miei compagni rappresentanti delle varie case di formazione. Al posto del tradizionale scambio di regali fra noi e del successivo rinfresco, abbiamo deciso di destinare la somma corrispondente alla piccola comunità di San José dove vivono 16 famiglie di spazzini. Sono i più poveri dei poveri, dal punto di vista economico e spirituale.

Abbiamo quindi preparato una messa speciale e all’ingresso della chiesa abbiamo collocato un grande cartone con la scritta “Per una cultura del dare”. Uno dopo l’altro, gli studenti sono arrivati con vestiti, giocattoli, cibo, dolci, riso ed anche soldi per i nostri amici di San José. Dopo la messa, mi è stato chiesto di formulare un augurio di Natale per tutti. Ho parlato dell’amore di Dio e del nostro essere un dono l’uno per l’altro. Poi il nostro incontro è finito con alcuni canti natalizi.

Tutti erano toccati da questo evento. Per la prima volta non c’erano né cibo né doni per noi. Ma la forte atmosfera di famiglia bastava da sola perché questo momento fosse carico di significato. Un seminarista ha commentato: “Questa è la più semplice festa di Natale a cui ho mai partecipato, ma senza dubbio è la più bella”. Un professore di storia della Chiesa ha detto: “Ricorderò sempre quanto hai detto della cultura del dare e della possibilità di mettere in comune i beni così come i primi cristiani”. Un altro professore, ormai anziano, ha portato dalla sua stanza due borse piene di cose. E mi ha detto: “Non mi ero mai reso conto di avere tante cose da condividere. Grazie per questa meravigliosa opportunità di dare”.

Alcuni giorni dopo, siamo andati dalla gente di San José per portare loro i nostri doni. In seguito, alcuni seminaristi hanno incluso San José nei loro impegni di apostolato, per assicurare ai ragazzi l’insegnamento del catechismo. E qualche seminarista sta dialogando con le autorità, per dare maggiore attenzione a questi cittadini sfortunati. Così la gente di San José ora ha più fiducia nel lavorare per elevare la loro vita. E tutto ciò è frutto di un semplice atto d’amore».

 

Accanto a tutti

 

Abbracciare la sofferenza dell'umanità

Brasile. «Giorni fa abbiamo riordinato il deposito della nostra casa. Volendo andare al di là della mentalità corrente, secondo cui tutto quello che non è utile va buttato, abbiamo messo da parte alcune cose che potevano essere riciclate. Abbiamo quindi portato questo materiale con un carro a mano ad un’impresa dove siamo giunti nello stesso momento di un signore povero che raccoglie nelle strade cose usate per venderle e sostenere così la sua famiglia. È stato molto importante per me sentirmi uguale a lui, “farmi uno” con lui. Cercando di conoscere la sua vita, ho riconosciuto in lui il volto di Gesù che mi invitava ad accogliere la sofferenza dell’umanità. Alla fine, gioia reciproca: egli è riuscito a vendere tutto quello che aveva portato ed ha guadagnato una somma discreta, mentre quello che abbiamo ricavato noi corrispondeva alla somma necessaria per comprare il pane per la nostra piccola comunità durante un mese intero». (C.S.)

 

Al mercato

Burundi. «Audace fa parte dell’équipe del seminario incaricata per gli acquisti ed è lui che amministra i soldi. Un giorno, andando al mercato, prima di fare le altre spese, ha cercato di rendersi conto del prezzo dell’olio di cotone, per tenere da parte il denaro necessario. Ha contrattato quindi con una commerciante e si è accordato con lei sul prezzo, promettendo che sarebbe ripassato più tardi. Fatti pochi passi, un’altra mercante gli ha fatto segno. Era una sua parente che voleva che acquistasse l’olio da lei. Ma Audace si è ricordato della parola che ci eravamo proposti di vivere in quel giorno: “Amare tutti”, e quindi non soltanto chi è della propria famiglia, della propria etnia, della propria regione, ma tutti alla stessa maniera. Ha cercato di far capire alla parente che era già rimasto impegnato con un’altra persona. Ma lei sembrava non comprendere, tanto più che egli non aveva ancora pagato. Audace è allora partito per fare le altre spese e alla fine ha acquistato, come convenuto, l’olio dalla prima commerciante. Volendo amare pure la sua parente, ha comprato da lei del sale anche se ciò non era in programma. Ma la parente gli ha fatto notare che quel sale non era di buona qualità: l’amore era diventato reciproco!».

 

In missione

Filippine. Durante l’estate, nella diocesi di Caceres, 30 seminaristi maggiori, assieme al direttore dell’animazione missionaria, hanno vissuto un mese di missione nella parrocchia più povera in cui i cattolici sono in minoranza. «Mentre ci preparavamo, attraverso il documentario “Il miracolo nella foresta” che racconta dell’esperienza di evangelizzazione in atto in seno alla tribù dei Bangwa in Cameroun, ci siamo resi conto che ciò che occorreva mettere alla base di ogni nostro sforzo erano l’amore scambievole e la testimonianza della vita. Siamo quindi partiti per i dieci villaggi di questa parrocchia. Ogni settimana ci siamo rivisti per condividere le nostre esperienze e vedere insieme come andare avanti. Grazie a quest’esperienza d’unità si è ripetuto un piccolo “miracolo nella foresta”. Tante persone sono tornate alla fede cattolica e 95 adulti si sono battezzati. I giovani hanno dato vita a varie iniziative per i loro villaggi ed hanno insegnato ai bambini l’alfabeto e le preghiere. Per tutti era un momento di Dio, nato dall’amore reciproco vissuto fra noi e con tutti. E qualcuno che pensava già di lasciare il seminario, ha deciso di continuare perché quest’esperienza estiva gli ha dato una nuova spinta a dare la propria vita per Dio e per la Chiesa». (A.R.)

 

Non scoraggiarsi per gli ostacoli

Italia. «Un giorno ho accompagnato in questura uno straniero che era per la prima volta in Italia e doveva chiedere il permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Ho cercato di “farmi uno” con quella persona, come se dovessi fare per me quelle pratiche. Quando, dopo un’ora di fila, era arrivato finalmente il nostro turno, ci hanno detto che mancavano dei documenti che avremmo dovuto procurare in Comune. Siamo quindi andati a fare quei documenti e siamo tornati, certi che adesso tutto sarebbe andato bene. Ci hanno detto però che mancava ancora un altro documento. Fatta anche questa pratica, siamo tornati alla questura quando ormai mancava solo un quarto d’ora alla chiusura. Eravamo là per la terza volta. La persona che accompagnavo era veramente spaventata e non credeva più che avremmo potuto ottenere in quella giornata quel permesso di cui aveva tanto urgentemente bisogno. Che fare? Raccogliendomi per un attimo, ho affidato ogni cosa a Dio e gli ho chiesto che si facesse la sua volontà. Ma ahimé! Quando era il nostro turno e abbiamo presentato con trepidazione la nostra domanda, ci siamo sentiti dire che neppure ora la documentazione era completa. Ero sicuro di avere tutti i documenti richiesti, ma non c’era nulla da fare. Con molta cortesia mi sono allora prenotato per l’indomani e mi sono sforzato di non far valere le nostre ragioni, anche se, per la verità, avrei avuto piuttosto voglia di urlare. Questo passo mi ha fatto sperimentare una grande gioia nel cuore. Ero così contento che mi avviavo, assieme all’amico, verso casa sorridendo. Dopo 50 metri ca. abbiamo incontrato un ispettore che conoscevo e gli ho chiesto che cosa mancava ancora per poter fare il permesso alla persona che accompagnavo. Mi ha invitato a tornare nell’ufficio ed in meno di dieci minuti era tutto risolto». (J.C.)

 

 

Dammi tutti i soli

di Chiara Lubich

 

Signore, dammi tutti i soli…

Ho sentito nel mio cuore la passione

che invade il tuo per tutto l’abbandono

in cui nuota il mondo intero.

Amo ogni essere ammalato e solo.

Chi consola il loro pianto?

Chi compiange la loro morte lenta?

E chi stringe al proprio cuore il cuore disperato?

Dammi, mio Dio, d’essere nel mondo

il sacramento tangibile del tuo amore:

d’essere le braccia tue,

che stringono a sé

e consumano in amore

tutta la solitudine del mondo.

 

Da: Scritti spirituali/1, Roma 41997, p. 35

 

In Mongolia

Victorino Bae, seminarista della diocesi di Taejon in Corea, racconta un’esperienza di missione fatta durante l’estate scorsa:

«Due giorni fa sono rientrato dalla Mongolia, dove ho potuto sperimentare in maniera meravigliosa come un amore incondizionato possa trasformare le persone. Abbiamo tenuto là un campo estivo per 120 giovani che in gran parte provenivano da situazioni familiari disastrose. A prescindere dalla loro povertà, molti di essi avevano sì la madre, ma ignoravano chi fosse il loro padre. Inutile dire quanto risulti difficile per questi ragazzi crescere in maniera sana. Provenendo da famiglie distrutte, non si sentono amati profondamente da nessuno.

Sapendo di questa situazione, abbiamo cercato di farci per loro padre, madre, fratello ed amico. Benché non sapessimo parlare neanche un po’ di mongolo, da cuore a cuore abbiamo potuto comunicare magnificamente con essi. Siccome sono abituati a valutare le persone in base alla loro capacità di parlare, noi ai loro occhi, pur essendo ormai adulti, eravamo quasi come bambini. E questo, per noi che volevamo essere vicini a loro, è stata una fortuna. Ci hanno accostato infatti con molta facilità ed è nata un’intensa amicizia. Mentre essi ci hanno insegnato il mongolo, noi abbiamo fatto conoscere loro numerosi giochi e canti e abbiamo organizzato anche un memorabile falò. Di tutto ciò erano così felici che un missionario coreano che lavora da tre anni in quella terra, ci ha detto con un sorriso: “Pare che non siano mai stati amati così. Ora sembrano profondamente contenti. Ma come farò con loro, quando voi partirete?”.

C’era tra di essi un ragazzo che si era segnalato per il suo comportamento anormale: lanciava sassi, sparlava e combatteva. Fra tutti, aveva alle spalle la situazione familiare più disastrosa. Abbiamo visto in lui un riflesso di Gesù crocifisso ed abbandonato e abbiamo cercato di volergli particolarmente bene. Con nostra meraviglia, nel corso del campeggio è fortemente cambiato. Non lanciava più sassi né sparlava. Durante la messa ha calmato gli altri ragazzi e si è preso cura di quelli più giovani. Ha cominciato ad ascoltare con attenzione e a pregare con impegno. A poco a poco il suo volto si è illuminato. E i suoi occhi aquilini sono diventati come quelli di un agnello. Il sacerdote era molto sorpreso di questo cambiamento. Nel corso di quest’esperienza, ho potuto notare quanto è puro il cuore di questi ragazzi ad imitazione del cielo limpido della loro terra, e quanto è grande l’amore che Gesù ha per loro. Ormai questo amore è penetrato nei loro cuori e sono certo che esso crescerà e porterà presto frutto. Tornato in patria, non potrò mai più dimenticare i loro occhi chiari e luminosi assieme a quell’infinito cielo azzurro e le immense distese del paesaggio verde che Dio ha dato loro come un dono speciale».