«Dare Gesù»

Della figura storica di Gesù oggi se ne occupano non solo teologi ed esegeti ma anche storici, sociologi, antropologi, e non soltanto credenti ma pure “laici”. Essi cercano di situare Gesù nel suo contesto religioso ma anche storico-culturale-politico-economico-sociale, con l’aiuto tra l’altro della letteratura apocrifa, qumranica, rabbinica, e degli ultimi risultati degli scavi archeologici

A seconda degli autori si stagliano svariate figure di Gesù: un profeta escatologico che, senza credersi né messia né Dio, annunciava un Regno dei Cieli non futuro ma imminente e promoveva un profondo cambiamento sociale, un profeta sapienziale, un ebreo osservante però marginale e sovversivo che proclamava l’uguaglianza fra tutti gli esseri umani, scontrandosi con le autorità del Tempio che utilizzavano la religione più per sottomettere che per liberare il popolo. Perciò non poteva finire in altra maniera che ucciso.

Un Gesù così è interessante perché vicino alla mentalità odierna, però al massimo può fare esclamare, come recentemente ha fatto una personalità ebrea colta e nobile, non credente: «Gesù per me è il più grande profeta che sia mai esistito». Un maestro di religiosità sana, di umanità, le cui vere novità, spesso non lontane da quelle di altri grandi della storia, costituiscono atteggiamenti e valori durevoli e decisivi per rendere più vivibile la condizione umana. Ma ciò non esprime ovviamente la totalità della fede cristiana. Questo genere di studi, anche quelli teologici, se rimangono ad un livello solo intellettuale, come una religione ritualista e di soli principi, non danno in modo completo ed attraente la figura di Gesù, non danno il divino con quella pienezza assoluta ed unica che egli offre all’umanità. Il divino è infatti, per definizione, di un altro ordine. Passa per la storia concreta ma non può essere espresso solo “dalla terra”, “dalla carne e dal sangue”.

E qui sta forse la grande sfida che i nostri tempi lanciano ai cristiani: prendere atto della contingenza di tutta l’esperienza cristiana, inevitabilmente toccata dalla relatività storica in ogni sua espressione, e scoprire tuttavia, in quelle espressioni sempre insufficienti e migliorabili, il Dio che veicolano, secondo la geniale espressione di Klaus Hemmerle: «tutto ciò che viene dal Cielo deve nascere dalla terra». Perché ciò sia possibile sono necessarie, sì, una teologia, un linguaggio, forme di religiosità e strutture sempre più adeguate, ma è necessaria soprattutto un’esperienza carismatica, una spiritualità autentica, un incontro vitale, sperimentato, squisitamente comunitario, con la verità evangelica.

È ciò a cui nei suoi limiti e brevità vuole contribuire questo numero della rivista sull’annuncio di Cristo. Mostrando tra l’altro che un atteggiamento dialogico ed accogliente verso tutti, esperienziale, che porge dei valori più che volerli imporre, ricapitolatore più che escludente, fraternamente relazionale, non è espediente tattico per farsi accettare, per far passare ad ogni costo le nostre proprie convinzioni, ma un’esigenza che scaturisce dal cuore stesso della rivelazione cristiana. L’unica strada per toccare ed essere toccati dalla sua bellezza e verità.

Enrique Cambón