Trasformare i problemi

BENEDETTO XVI risponde a una domanda del clero della diocesi di Aosta (25 luglio 2005)

Condivido con voi queste domande, queste questioni. Soffro anch’io. Ma tutti insieme vogliamo, da una parte, soffrire su questi problemi e anche soffrendo trasformarli, perché proprio la sofferenza è la via della trasformazione e senza sofferenza non si trasforma niente.

Questo è anche il senso della parabola del chicco di grano caduto in terra: solo in un processo di sofferta trasformazione si giunge al frutto e si apre la soluzione. E se non fosse per noi una sofferenza l’apparente inefficacia della nostra predicazione sarebbe un segno di una mancanza di fede, di impegno vero. Dobbiamo prendere a cuore queste difficoltà del nostro tempo e trasformarle soffrendo con Cristo e così trasformare noi stessi. E nella misura nella quale noi stessi siamo trasformati, possiamo anche vedere la presenza del Regno di Dio e farla vedere agli altri. (...)

Allora la prima risposta è la pazienza, nella certezza che senza Dio il mondo non può vivere, il Dio della Rivelazione – e non qualunque Dio: vediamo come può essere pericoloso un Dio crudele, un Dio non vero – il Dio che ha mostrato in Gesù Cristo il suo Volto. Questo Volto che ha sofferto per noi, questo Volto di amore che trasforma il mondo nel modo del chicco di grano caduto in terra.

Quindi avere noi stessi questa profondissima certezza che Cristo è la risposta e senza il Dio concreto, il Dio col Volto di Cristo, il mondo si autodistrugge e cresce anche l’evidenza che un razionalismo chiuso, che pensa che da solo l’uomo potrebbe ricostruire il vero mondo migliore, non è vero. Al contrario, se non c’è la misura del Dio vero, l’uomo si autodistrugge. Lo vediamo con i nostri occhi. (...)

Il primo punto della mia risposta è: in tutta questa sofferenza non solo non perdere la certezza che Cristo è realmente il Volto di Dio, ma approfondire questa certezza e la gioia di conoscerLo e di essere così realmente ministri del futuro del mondo, del futuro di ogni uomo. E approfondire questa certezza in una relazione personale e profonda con il Signore. Perché la certezza può crescere anche con considerazioni razionali. Veramente mi sembra molto importante una riflessione sincera che convince anche razionalmente, ma diventa personale, forte e esigente in virtù di un’amicizia vissuta personalmente ogni giorno con Cristo. (...)

E, dunque, è importante avere intorno a sé la realtà del presbiterio, della comunità di sacerdoti che si aiutano, che stanno insieme in un cammino comune, in una solidarietà nella fede comune. Anche questo mi sembra importante perché se i giovani vedono sacerdoti molto isolati, tristi, stanchi, pensano: se questo è il mio futuro allora non ce la faccio. Si deve creare realmente questa comunione di vita che dimostra ai giovani: sì, questo può essere un futuro anche per me, così si può vivere.