Perché tutti siano uno
Quello che conta
È
ancora vivo il ricordo dell’incontro a Colonia di Benedetto XVI con 3.000
seminaristi del mondo intero; incontro voluto dal Papa «perché emergesse in
modo esplicito e più forte la dimensione vocazionale, che è sempre presente
nelle Giornate Mondiali della Gioventù» (cf stralci del discorso a p. 143).
«Era
bello incontrarci con tanti seminaristi conosciuti e sconosciuti e sapere che
siamo in cammino sulla stessa strada verso Dio e la sua chiamata», ha
commentato un seminarista della Germania orientale. E ancora: «Quando il Santo
Padre è venuto, c’era tra noi una grandissima gioia che è divenuta tutta
raccoglimento nella preghiera dei Vespri».
Quella
stessa gioia – frutto della comunione e del dono di sé – vuole esplodere
ovunque ci si prepara al ministero sacerdotale. Scrive un seminarista
dell’Austria: «Sono appena tornato da una settimana di studio e di vacanze con
giovani in cerca della loro vocazione. Erano con noi il vescovo ausiliare, il
rettore ed altri sacerdoti. Subito mi sono messo ad amare tutti in modo
concreto: apparecchiando la tavola, cucinando, facendomi uno con gli altri. Non
potete immaginare come è cambiata la vita tra noi. Ad un certo punto il vescovo
ha cominciato a lavare insieme a noi i piatti e anche il rettore si è messo a
servire. C’era tra noi un’atmosfera di paradiso, abbiamo riso e scherzato
molto, ma anche nei nostri dialoghi si sentiva sempre più la presenza di Gesù.
Così abbiamo capito che il nostro compito come “possibili” sacerdoti sono
l’amore e il servizio».
A
volte, per creare questa realtà di fraternità, occorre fare una svolta decisa,
come è successo a un seminarista dell’America Latina: «Non avevo gran che di
dialogo con il mio vice-rettore. Lo sentivo distante, perché è molto occupato e
anche molto silenzioso. Un giorno è caduto il soffitto della sua stanza ed egli
ci ha chiesto chi avrebbe potuto aiutarlo a rimettere tutto in ordine. Ho colto
al volo questa opportunità e mi sono messo a disposizione. Era un lavoro lungo,
ma è valso la pena. Alla fine egli ci ha invitati per una cena e lì abbiamo
potuto, per la prima volta, conoscerci meglio. Bruciando quel formalismo che
spesso regna in seminario, è nato tra noi un vero dialogo».
Un suo collega gli fa eco: «Una persona mi ha donato 50 $ per le mie spese personali e ne sono stato molto felice. Ma poi mi sono accorto che un mio compagno non aveva i soldi per rinnovare il passaporto. Pensando che Gesù ne sarebbe stato contento, gli ho donato quella somma. Sentivo una grande gioia nel cuore. Lo stesso giorno mi ha chiamato l’economo del seminario e mi ha detto: “Sono arrivati dalla tua parrocchia 50 $ per le tue spese personali”…».
Il dono di sé apre la strada
In missione
Argentina. «Durante l’estate eravamo in
missione in una parrocchia. Assieme a un altro seminarista mi era stato
affidato la
presentazione della missione alla radio. Ho pensato che era importante fare
anche
questo per Gesù e che egli ci avrebbe fatto trovare la luce adatta per gli
ascoltatori.
Il giorno della trasmissione, la gente,
sentendoci, ha chiamato la radio e ha
comunicato domande di loro interesse
affinché rispondessimo. Abbiamo cercato di dare il nostro meglio nelle
risposte,
pensando che in quegli interrogativi si
manifestava una ricerca di Gesù. Alla fine, sono arrivati messaggi di
ringraziamento
i quali dicevano che quanto era stato detto non erano parole fredde che entrano
da un
orecchio e escono dall’altro, ma erano piene di vita. Il conduttore di quella
trasmissione era in tensione con il conduttore di un’altra radio che lo
criticava sempre. Un giorno è giunto a casa proprio mentre alla radio
stavano parlando male di lui ed egli voleva subito ripartire per affrontare
quel collega. Ma sua moglie gli ha detto: non avevi detto stamattina con i
missionari che volevate cambiare? A quel punto egli si è
ricreduto…». (M.M.)
Il Dio delle sorprese
Kenya. «Dovevo preparare una partita di calcio con gli studenti di
un Collegio un po’ distante. Quando ho avvertito i componenti della nostra
squadra che avremmo dovuto provvedere alle spese per il trasferimento, non ne
erano per nulla entusiasti. A poco a poco si avvicinava la data fissata e in me
cresceva il timore che tutto sarebbe fallito. Quale dispiacere e quale
vergogna! Ho comunque affidato ogni cosa a Dio. Con mia sorpresa, il giorno
prima della partita, sempre più studenti sono venuti a portare il loro
contributo per il viaggio e alla sera erano stati in 30 a pagare, abbastanza
per i due taxi che avevamo già prenotato. Ho costatato che Gesù è veramente il
Dio delle sorprese». (C.W.)
«Dovevo morire al mio orgoglio»
Italia. «Era un venerdì di quaresima.
Assieme a un professore che abita con noi in casa, siamo scesi un po’ prima in
cucina per riscaldare la cena e apparecchiare la tavola. Stavo seguendo la cottura
delle pizze,
quando è arrivato un anziano membro della comunità. Vedendo che – senza renderci conto che era quaresima – sui carrelli
avevamo preparato anche dell’affettato del giorno prima, egli con parole poco
piacevoli mi ha mandato fuori dalla cucina. Avrei voluto rispondergli a tono ma
capivo che era meglio uscire “sconfitto”. Seduto ormai a tavola, avevo
l’inferno dentro di me e non riuscivo a parlare né a mangiare. Che fare? Si
trattava di morire al mio orgoglio e
rimettermi ad amare. Fatto questo passo, dentro di me è tornata la luce. Ma la
storia non è finita qui. Da qualche giorno
quell’anziano religioso pare cambiato e molti si chiedono che cosa sia
successo:
ora è il primo a servire a tavola e si ferma a parlare con noi…». (C.L.)
Il canto che più piace a Dio
Brasile. «In questo week-end in parrocchia c’è stato un incontro di
gruppi musicali.
Sorprendentemente, nei dialoghi tra loro, tutti parlavano della necessità
dell’unità. Un’occasione da non perdere – ho
pensato – e così, nel mio intervento, ho parlato
del canto che più piace a Dio: l’amore. Ho messo quindi in luce alcune
caratteristiche dell’arte d’amare. E ciò ha cambiato
l’atmosfera: durante il successivo pranzo c’era tanta attenzione reciproca e
più tardi hanno eseguito musiche mescolando tra loro i gruppi. Eravamo come una
grande
famiglia!». (J.N.)
Il tempo dell’innamoramento
Questo
è il seminario: non tanto un luogo, ma, appunto, un significativo tempo della
vita di un discepolo di Gesù. Immagino l’eco che possono avere dentro di voi le
parole del tema di questa ventesima Giornata mondiale – «Siamo venuti per adorarlo» –
e l’intero racconto evangelico dei Magi.
(…)
I Magi partirono perché nutrivano un desiderio grande, che li spingeva a
lasciare tutto e a mettersi in cammino. Era come se aspettassero da sempre
quella stella. Come se quel viaggio fosse da sempre inscritto nel loro destino,
che ora finalmente si realizzava. Cari amici, è questo il mistero della
chiamata, della vocazione; mistero che coinvolge la vita di ogni cristiano, ma
che si manifesta con maggiore evidenza in coloro che Cristo invita a lasciare
tutto per seguirlo più da vicino. Il seminarista vive la bellezza della
chiamata nel momento che potremmo definire di “innamoramento”. Il suo animo è
colmo di stupore, che gli fa dire nella preghiera: Signore, perché proprio a
me? Ma l’amore non ha “perché”, è dono gratuito, a cui si risponde con il dono
di sé. (…)
Il
seminario è tempo di cammino, di ricerca, ma soprattutto di scoperta di Cristo.
Infatti, solo nella misura in cui fa una personale esperienza di Cristo, il
giovane può comprendere in verità la Sua volontà e quindi la propria vocazione.
Più conosci Gesù e più il suo mistero ti attrae; più lo incontri e più sei
spinto a cercarlo. È un movimento dello spirito che dura per tutta la vita, e
che trova nel seminario una stagione carica di promesse, la sua “primavera”.
Giunti
a Betlemme, i Magi, «entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre,
e prostratisi lo adorarono» (Mt 2,11). Ecco finalmente il momento tanto atteso: l’incontro con Gesù.
«Entrati nella casa»: questa casa rappresenta in un certo modo la Chiesa. Per
incontrare il Salvatore, bisogna entrare nella casa che è la Chiesa. Durante il
tempo del seminario nella coscienza del giovane seminarista avviene una
maturazione particolarmente
significativa: egli non vede più la Chiesa “dall’esterno”, ma la sente per così
dire “dall’interno” come la sua “casa”, perché casa di Cristo, dove abita
“Maria sua madre”. (…) In ogni momento della vita di seminario si può
sperimentare questa amorevole presenza della Madonna, che introduce ciascuno
all’incontro con Cristo, nel silenzio della meditazione, nella preghiera e
nella fraternità. (…)
«E
prostratisi lo adorarono … e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (Mt 2,11-12). È questo il culmine di tutto
l’itinerario (…). Il segreto della santità è l’amicizia con Cristo e l’adesione
fedele alla sua volontà. «Cristo è tutto per noi», diceva Sant’Ambrogio; e San
Benedetto esortava a nulla anteporre all’amore di Cristo. Cristo sia tutto per
voi. (…)
Cari
seminaristi! Se Dio vorrà, un giorno anche voi, consacrati dallo Spirito Santo,
inizierete la vostra missione. Ricordatevi sempre le parole di Gesù: «Rimanete
nel mio amore» (Gv
15,9). Se rimarrete in Cristo, porterete molto frutto. Non voi avete scelto
lui, ma lui ha scelto voi (cf Gv
15,16). Ecco il segreto della vostra vocazione e della vostra missione!
Benedetto XVI
Dal discorso ai
seminaristi presenti alla Giornata
mondiale dei giovani, Colonia, 19 agosto 2005
«Cantiere gens»
Vaste
distese di grano e prati, intervallate da boschi, fiumi, sperduti villaggi. Un
cielo azzurro, a volte coperto da dense nubi, che ti da il senso dell’infinito.
E per l’occasione del nostro arrivo, un arcobaleno: ecco l’ambiente della
Mariapoli Fiore vicino a Varsavia che
ha accolto dal 20 al 29 luglio 75 seminaristi di 16 nazioni. Scopo
dell’incontro: un “cantiere gens”. Sì, cantiere, perché di una costruzione si
trattava, un contributo fattivo, da dare anche con le mani, a questa nascente
cittadella del Movimento dei focolari; ma prima i seminaristi presenti hanno
voluto “costruire la Chiesa come casa della comunione” (NMI 43). Così il motto
dell’appuntamento.
«Ama e fa’ quello che
vuoi» (s. Agostino) era il leitmotiv
di quest’esperienza e stupefacente è stato il risultato: né svogliatezza né
dispersione, ma uno scoppio di creatività, libertà e fraternità. Immaginate, ad
esempio, un pulmino di giovani ungheresi che devono partire un po’ prima della
fine del “cantiere”. E alle 10 di sera, una settantina di seminaristi attorno a
cantare, a salutare, senza che nessuno lo avesse suggerito, semplicemente
perché in una famiglia non è pensabile diversamente. Famiglia, sì, quella
universale che Gesù ha iniziato quando ha chiamato i primi discepoli; famiglia
che allora non conosceva né giudeo né greco e oggi, ancora, non si ferma ai
confini nazionali.
Meditazioni sui punti
forza di una spiritualità di comunione, momenti di lavoro, sport, escursioni,
incontri di gruppo con scambio di esperienze e verso sera, quale culmine della
giornata, l’Eucaristia: sono stati questi gli ingredienti che hanno lasciato in
tutti la convinzione che la comunione, quella effettiva, è davvero possibile,
per quanto ai seminaristi possa sembrare non di rado un’utopia…
A contribuire al successo
è stato senza dubbio l’ambiente della Mariapoli, la schietta fraternità di
focolarini, focolarine e altri abitanti della cittadella: pochi per ora, ma
buoni.
Rimarrà un
indimenticabile ricordo, fra gli altri, un’esperienza emblematica. È in
programma una serata per la popolazione, con canti, testimonianze, contributi
artistici. Ma ecco che un violento temporale si abbatte su quel luogo e fa
saltare la corrente. Che fare? La pioggia smette. Ma la corrente non torna più
quella sera. La gente invece arriva, e in numero tale che la sala non potrà
contenere tutti. Di corsa si asciugano il palco e le panche nel cortile e si
sfrutta la poca luce del sole che ormai tramonta, per offrire almeno qualcosa
di quello che si è preparato. Poi un’idea: due tre macchine, con i fari accesi,
possono fare da illuminazione. Nella fretta con cui bisogna agire, nessuno può
avere in mano le fila della situazione. Ma un Altro sembra muovere le cose,
tanto che ciascuno “sa” come contribuire all’insieme. È stata una serata
d’incanto!