Flash di vita

Pronto a dare la vita

Presentiamo una breve ma viva esperienza di un sacerdote focolarino francese che da alcuni anni lavora in Camerun.

Terza domenica d’avvento. È giorno. Alle 5,50 esco dalla casa canonica della cattedrale. Una piccola comunità cristiana, formata da gente povera, da persone che vivono ai margini della società, mi attende per la Messa nella periferia della città.

Come ogni domenica aspetto lungo la strada di terra un mezzo pubblico che mi porti a destinazione, ma si fa aspettare. Si avvicinano tre giovani… Non mi danno neanche il tempo di dire una parola ed eccomi a terra… Ognuno di loro cerca di prendersi qualcosa. Uno mi mette la mano nella tasca dei pantaloni e nella fretta mi strappa la tasca e con essa si porta via una piccola agenda, pensando forse di aver afferrato un telefonino.

Dopo alcuni istanti di incoscienza mi rialzo con fatica e subito ripeto il mio sì totale a Gesù. La schiena mi fa male. Capirò più tardi che nella caduta ho battuto la schiena sullo spigolo della valigetta, dove porto il necessario per la Messa e mi si è dislocata una vertebra. Ritorno a casa con discrezione, perché se qualcuno scopre l’accaduto, la notizia in poco tempo farà il giro della città. E questo lo vorrei evitare.

Mi cambio i pantaloni e penso cosa fare. La gente mi aspetta per la celebrazione eucaristica. È vero, ma io devo prendermi cura della mia salute. Facendo appello alla mia esperienza di infermiere e, sebbene il dolore fisico si faccia sentire, credo che posso ritardare di qualche ora – il tempo necessario per servire questa comunità – la visita medica.

In questi momenti provo qualcosa di strano. Dentro di me tutto diventa luminoso… «Sei tu, Gesù, che ti presenti a me. Io ti abbraccio. È nato in me un amore nuovo verso tutti, anche verso i miei aggressori. Tante volte in questa città i cristiani fanno la via crucis per devozione, ma hanno difficoltà nel riconoscerti crocifisso nelle prove della vita. Ora tocca a me, in questo momento, identificarmi con te: amare gratuitamente».

Torno di nuovo sulla strada e aspetto il passaggio di un mezzo di trasporto, che come al solito si fa attendere. Decido allora di prendere un “mototaxi”: una moto che funge da taxi. Vi salgo sopra, dietro al conducente. È una posizione che si rivela particolarmente scomoda per lo stato in cui mi trovo. Dopo una ventina di minuti arrivo a destinazione.

Trovo difficoltà nel vestire la tunica, ma sento una pace che quasi mai prima avevo sperimentato. Questa Eucaristia che devo celebrare seduto, acquista una dimensione inattesa. Offrire me stesso, offrire il mio corpo, diventare sacerdote del proprio corpo.

Non racconto nulla alla comunità, per non dare loro un dolore e, finita la celebrazione, mi trattengo ancora un poco…

Durante la Messa avevo notato la presenza di una persona dell’Opera di Maria che casualmente si trovava lì. Chiedo se può condurmi a casa. Non avevo ancora detto a nessuno quanto mi era accaduto poco prima; l’ho detto a questi durante il viaggio di ritorno e gli ho chiesto di accompagnarmi alla clinica.

Arrivato in ospedale, il medico mi ha messo subito in osservazione. Gli esami sono dolorosi. Ma in fondo la luce ricevuta di poter trasformare il dolore in amore sta diventando esperienza vissuta. Sì, io posso donare la mia vita per il mio popolo – quello che Gesù mi ha affidato – e, in mezzo a questo popolo, anche per i miei aggressori…

 

Gérard Marie Bouhans