Come si evangelizza sulle montagne del Perù

La vita in una parrocchia andina

di Emeterio Castañeda

 

Gettare uno sguardo verso altre regioni della terra e contemplare la vita della Chiesa che fiorisce in mezzo a difficoltà spesso per noi impensabili, ci può aprire nuove prospettive. Ci portiamo in una parrocchia andina del Perù – Tayabamba – e accompagniamo un parroco che si muove a 3.000-4.000 metri con i suoi catechisti per visitare e nutrire con la Parola e con l’Eucaristia i suoi parrocchiani sparsi in paesetti montani spesso senza strada e senza luce, senza medico e senza scuole. Questa volta Emeterio in un suo viaggio ci fa rivivere episodi che hanno il sapore degli Atti degli Apostoli.

I preparativi per
un’esperienza di evangelizzazione

Siamo in una zona andina, provincia di Bolívar, già evangelizzata dai missionari agostiniani, ma da secoli ormai abbandonata e solo recentemente rivisitata con una certa regolarità dal sacerdote. Eppure qui la fede non si è spenta, ma è stata trasmessa da padre in figlio fino ad oggi. Attualmente la Chiesa è l’unica presenza viva che dà agli abitanti la speranza di un futuro migliore.

Vi racconterò in sintesi l’esperienza del corso per catechisti svolto in Bambamarca dal 3 al 9 giugno scorso e il mio viaggio missionario in questa regione a sud di Bolívar.

I primi giorni di maggio abbiamo cominciato la preparazione. Questo mese dedicato alla Madonna era una bella opportunità per mettere tutto questo interessante progetto nelle mani della nostra Madre, Maria.

Come prima cosa bisognava formare l’équipe  che avrebbe dovuto portare avanti il corso. Con una fiducia fatta preghiera abbiamo chiesto a Maria di farci trovare le persone giuste per fare bene questa piccola ma importante opera di evangelizzazione.

Le mie preghiere hanno trovato subito ascolto. L’équipe viene formata con queste persone tutte ben disposte:

Tra le prime persone disponibili che ho trovato c’era P. Miguel, un missionario inglese, molto intelligente, conoscitore della realtà dei catechisti rurali, con un bagaglio di 30 anni di esperienza missionaria in Perù e autore di molti scritti su questi argomenti. Con lui ho da sempre un profondo vincolo di amicizia, perché per suo mezzo Dio ha suscitato in me la vocazione al ministero sacerdotale.

Grazie alla prontezza che ho trovato in lui, è stato facile metterci d’accordo sul programma del corso, che quanto alla parte formativa gravava soprattutto su noi due.

Siccome egli abita a Cajamarca ed io in Bolívar, abbiamo dovuto passare ore ed ore al telefono per definire ogni cosa, fin nei dettagli. Dopo due settimane di continue telefonate tutto era a posto.

Intanto Edward e Jeiner, a Trujillo, provvedevano alle spese che avremmo dovuto affrontare e preparavano un piccolo libro di canti ed altri materiali.

Questo tempo di preparazione è stato una bella oportunità per crescere nella comunione fra noi tutti.

Era nostro desiderio assicurare almeno la partecipazione degli 80 catechisti che l’anno scorso avevano preso parte al corso tenuto a Bolívar.

Intanto i quattro catechisti di Bolívar partivano per visitare le comunità più lontane e quelle che non riescono a mettersi in comunicazione con la nostra parrocchia. Essi avrebbero fatto un lavoro prezioso dal 23 maggio al 10 giugno per ricongiungersi con noi alla fine.

In qualche modo, io sapevo che noi tutti stavamo lavorando con molto interesse ed amore, ognuno nel suo settore, per la buona riuscita del corso. Ma c’era un piccolo margine per un dubbio: «Quanti sarebbero stati i partecipanti? E sarebbe andato tutto bene?». Dovevamo fare tutta la nostra parte, affinché esso fosse bello, di grande interesse e il più fruttuoso possibile.

Un grosso imprevisto

Volevo preparare bene i miei muscoli per il lungo e faticoso viaggio e sono andato a giocare a pallacanestro, come faccio di solito prima di mettermi in cammino per giornate intere. Durante il gioco per un salto sbagliato sono caduto a terra e mi sono fatto male al piede sinistro. Il dolore era forte e non mi permetteva di camminare. Tutto potevo aspettarmi, ma non questa difficoltà proprio alla vigilia  di un viaggio lungo, importante e da molto tempo preparato. In un primo momento ho pensato di sospendere il corso. Ma poi ho capito che bisognava andare avanti e che i dolori di questo incidente erano il “prezzo da pagare” per tutto quello che Dio voleva fare nei giorni che si avvicinavano. Una voce dentro di me diceva: «Sono io, Gesù, che ti aspetto in quei fratelli del sud».

Era il 27 maggio, ma non vedevo altra alternativa che andare avanti e offrire tutto a Lui, anche questi dolori al piede. In un dato momento ho pensato a Gesù in croce coi piedi “inchiodati” che non poteva fare neanche un passo. Mi sono anche ricordato che le opere di Dio nascono e diventano feconde sotto la croce, ed io avrei potuto contribuirvi in qualche modo. Mi tornavano in mente le parole di Chiara: «Un’opera di Dio si sviluppa per quanto dolore viene tramutato in amore». Allora ho detto a Gesù: «Se con questo tu vuoi fare qualcosa di speciale con i catechisti, come ti avevo chiesto sin dall’inizio, io ne sono ben contento».

18 ore a dorso di mulo

Siamo partiti da Bolívar verso Trujillo il 30 maggio. Siamo rimasti lì dal 31 maggio al 1º giugno fino a mezzogiorno. Con l’aiuto dell’autista e delle medicine per il piede, abbiamo fatto rapidamente tutte le spese, comprando riso, sale, olio, quaderni, penne, ecc.

Il 1º giugno a mezzogiorno abbiamo ripreso il viaggio fino a Huamachuco, dove passiamo la notte. Il giorno seguente, di buon mattino, siamo partiti in macchina fin dove c’era la strada. Poi avanti a dorso di mulo fino alla meta.

Il viaggio fino a Bambamarca doveva durare più o meno 10 ore; ma le  cose si sono complicate perché gli otto muli e gli assistenti che ci sono venuti incontro non erano molto bravi. Così il viaggio è durato 18 ore. Abbiamo viaggiato la notte intera e siamo arrivati all’alba del 3 giugno stanchi, molto stanchi, e con la faccia piena di piccole ferite causate dai rami degli alberi che durante la notte a dorso di mulo non potevamo evitare e ci donavano piccole sgradite carezze.

Questo viaggio per me è stato particolarmente duro: non potendo camminare per il problema al piede, ho passato le 18 ore montato sul mulo e alla fine certe parti del corpo erano diventate molto indolenzite.

Padre Miguel, di 70 anni, pativa ancora di più. Non potendo fare nulla per impedire i suoi disagi, dal mio cuore sgorgava una preghiera a Gesù per lui, e sentivo che i suoi dolori erano anche miei. Un viaggio così è veramente una “pazzia”. Più tardi P. Miguel mi confessava che era la prima volta che faceva una cosa simile, ma era sicuro che  sarebbe stata anche l’ultima della sua vita.

Il corso con 120 catechisti

Il 2 giugno sono arrivati a Bambamarca abbastanza catechisti. Come sempre i
più lontani erano giunti per primi. Il 3 giugno arrivarono tutti gli altri. Erano molti: più di 120, ben oltre le nostre previsioni. Così sorsero anche nuove necessità, come posti per dormire, cibo, ecc.

Più di 120 persone, in un piccolo paese come Bambamarca diventava già un’invasione. L’accoglienza della gente è stata immediata e loro ci sono venuti subito incontro. Più o meno 40 persone sono state accolte nelle famiglie. Per le altre si è preparato un dormitorio comune.

Sin dall’inizio del corso c`era un clima di gioia e tanta unità. È sempre una felicità speciale ritrovarci insieme. I temi erano molto interessanti per tutti.

P. Miguel ha sviluppato tematiche riguardanti la Bibbia e i sacramenti in forma molto vivace. Io ho parlato dell’identità del catechista, dell’Eucaristia e di un argomento che avevo preparato con particolare interesse: la risposta cristiana del catechista di fronte al dolore, a qualsiasi dolore: ci permettono di configurarci a Cristo e a Cristo crocifisso.

Il corso era bene animato da un coro che Edward, il nostro chitarrista, aveva formato con quelli che avevano le migliori attitudini per il canto.

Ogni sera dopo la Messa si proiettava un film, al quale invitavamo tutti gli abitanti del paese: un’opportunità per condividere la nostra vita con loro.

Durante il corso abbiamo fatto anche due cose molto importanti: abbiamo programmato il lavoro e le attività fino all’anno 2006 e, per un più efficace coordinamento e una migliore comunicazione, abbiamo diviso la parrocchia in quattro zone: Condormarca, Bambamarca, Bolívar I (la sede centrale) e Bolívar II.

Ogni zona raggruppa più o meno da 10 a 20 comunità con i propri catechisti, scegliendo due di loro come responsabili legati direttamente al centro.

I catechisti di ogni zona faranno un incontro mensile, e i responsbili provvederanno loro il materiale liturgico, accompagneranno i lavori e risolveranno le eventuali difficoltà, mantenendo viva la comunicazione con il centro parrocchiale. Abbiamo scelto anche un coordinatore generale dei catechisti.

Questa nuova organizzazione ci aiuterà a stare in comunione più profonda tra noi. Il nostro motto è: «Mai camminare da soli».

Anche i muli devono mangiare

Un episodio che non posso dimenticare riguarda i muli. Noi avevamo previsto pressoché tutto per il corso: il cibo, il materiale didattico, temi, i partecipanti, ecc. Ma non avevamo previsto niente per i muli di tanti catechisti, che ovviamente non potevano venire che con i propri animali. Più di 120 persone era già un problema, ma un problema più grande erano i loro 50 muli e più. Dove trovare tanto cibo? E dove “parcheggiarli”? È inimmaginabile la quantità di cibo di cui avevamo bisogno per tante bestie, oltre che di un luogo sicuro dove i ladri non le rubassero durante la notte.

Per 20 muli abbiamo trovato posto con l’aiuto di persone di buona volontà. E per gli altri 30? Non avevamo altra alternativa che portarli al cimitero. Sì, il cimitero era piuttosto vicino al paese e, siccome non era molto curato, aveva abbastanza erba. In quattro giorni i 30 muli hanno posto fine a tutta l’erba e ripulito il prato. E nei restanti giorni li abbiamo portati in un campo comunale a pagamento. Con un po’ di creatività il Signore ci ha aiutato a trovare una soluzione per tutti i problemi.

A conclusione, una festa

Alla fine del corso le testimonianze dei catechisti sono state molto belle. Posso dire che questo incontro è stato un evento molto forte di aggiornamento e, allo stesso tempo, un’esperienza d’unità, di famiglia per la nostra parrocchia. Si poteva vedere chiaramente tutto quello che Dio aveva seminato in ognuno.

E per gli abitanti di Bambamarca era come una festa, tanto che il giorno della chiusura la piccola orchestra dei musicisti del posto è venuta a festeggiare con musica e balli. In quella notte dell’addio si mescolavano sentimenti di felicità e di nostalgia con abbracci, pianti e sorrisi. E ognuno si portava in cuore come perla preziosa «l’unità vissuta che ci ha fatti tutti una sola famiglia».

Le missioni dopo il corso

Dopo il corso, il mio viaggio missionario doveva continuare nelle sette comunità più lontane del sud. Questa tappa non era meno difficile dei sette giorni a Bambamarca. Ma ogni paesino ci aspettava con tanta gioia. Questa volta rispetto all’anno scorso, tutti erano più preparati e gli incontri e le celebrazioni sarebbero stati certamente più fruttuosi.

Il problema più grosso continuava ad essere il mio piede, che ogni giorno sembrava peggiorare. A Bambamarca non c’erano né medico né medicine e l’unica alternativa era stata affidarmi alle cure dei cosiddetti “medici popolari” con le medicine fatte di erbe locali. Devo dire che hanno fatto del loro meglio per alleviare i miei dolori. Ora però avrei dovuto affrontare un viaggio lungo e disagiato in luoghi dove non avrei trovato nessuna assistenza medica.

D’altra parte non si poteva tornare indietro. La gioia della gente che ci attendeva mi ha spinto ad andare al di là del mio problema.

L’ultima comunità che abbiamo incontrato è stata Santa Clara. Quella comunità che l’anno scorso avevo visitato, trovandovi la chiesa senza tetto e trasformata in un recinto per le pecore1; una comunità che negli anni passati era stata visitata dagli Avventisti, che in pochi mesi avevano costruito un bel tempio. I cattolici sembravano spariti nel nulla. Nonostante ciò, quest’anno quattro nuovi catechisti erano venuti al corso di Bambamarca.

Quando siamo arrivati a Santa Clara era quasi notte. C’era un silenzio profondo, perché tutti gli abitanti a quell’ora erano già rintanati nelle loro case. Ad accoglierci c’era solo un gruppo di catechisti che ci stavano aspettando per la cena da consumarsi in una piccola stanza senza tavoli e alla luce di una sola candela.

Finita la cena, ho detto al nostro chitarrista: «Andiamo a cantare in piazza». La piazza era nell’oscurità, ma dopo poche canzoni sono arrivati i bambini, poi i genitori. Li abbiamo invitati a venire nel nostro “appartamento”, dove avremmo dormito dopo aver celebrato la Messa.

Sono accorsi numerosi e non posso descrivere l’emozione e la felicità immensa, quando tanti di loro mi hanno chiesto il sacramento della confessione dopo otto-dieci anni senza la possibilità di riceverlo.

Giovani di 14-16 anni hanno domandato poi il battesimo. Ma non potevo dare tutti i sacramenti in una notte. Allora abbiamo fatto un patto: ritorneremo tra pochi mesi, dopo che i catechisti li avranno preparati. La stessa cosa per quelli che hanno chiesto il sacramento del matrimonio.

Dopo la Messa ci sono ancora canti e dialoghi con la gente. Nel buio di quella notte una luce risplende in mezzo a noi: è la presenza del Risorto tra i suoi.

Io mi sono chiesto se un sacerdote può aspettarsi una gioia più grande.

Quanta felicità ti invade quando vedi che attraverso di te, “servo inutile”, Dio dona tanta vita e compie meraviglie sotto il tuo sguardo stupito.

Il ritorno

Poi, il viaggio è continuato verso il sud: tre ore a dorso di mulo e poi altre tre ore a piedi per trovare l’uscita verso la provincia di Pataz, mia antica parrocchia. Di là l’autobus di una miniera ci ha portati a Huamachuco e più tardi a Trujillo. Qui finalmente posso trovare un medico, fare la doccia e attraverso i giornali aggiornarmi sui disastri nel mondo.

Ho potuto anche andare a fondo nel problema del mio povero piede. Dai raggi e dalla risonanza magnetica è risultato che le ossa non sono rotte, mentre lo strappo muscolare è ben evidente e, dopo gli strapazzi a cui mi sono sottoposto, richiede un periodo di vero riposo e di cure adeguate. Mi sono sottomesso a queste disposizioni mediche, cancellando i numerosi impegni che avevo preso e mettendo ogni cosa nelle mani della Provvidenza. È stata per me un’opportunità per credere che Dio, con noi o senza di noi, porta sempre avanti la barca della sua Chiesa per il bene dell’umanità.

In questo viaggio ho potuto constatare la sete di Dio nei giovani: essi assicurano il futuro della Chiesa anche nelle stupende montagne del mio Perù.

Emeterio Castañeda

 

1)     Vedi: “Gen’s”, 2004/5-6, p. 117.