Insieme non tanto per una maggiore efficienza pastorale,

ma per fare una profonda esperienza di fede

 

Vivere con Gesù in mezzo a noi

 

Don Giuseppe e don Francesco attendono insieme a cinque parrocchie della Valle di Zoldo nel Bellunese dove molti abitanti nella stagione estiva emigrano in Germania come gelatai. I due ci raccontano come la comunione tra loro dà pienezza alla vita cristiana e rende più feconda l’attività pastorale.

Ho iniziato così

Giuseppe: Nel marzo del 1979, vigilia dell’ordinazione diaconale, mi è stato chiesto: «Giuseppe, qual è la speranza che ti spinge ad essere sacerdote oggi?». È stata una domanda fondamentale per la mia vita ed altrettanto fondamentale è stata la risposta che mi è sgorgata dal profondo del cuore, dopo qualche istante di raccoglimento interiore: «La speranza che mi spinge a diventare prete oggi è di esserlo non da solo, ma insieme ad altri: una famiglia di sacerdoti».

Ordinato sacerdote nel settembre dello stesso anno, ho fatto il cappellano. Col parroco c’è stata una profonda comunione di vita per nove anni. Poi per dodici anni sono stato parroco da solo in due parrocchie diverse.

Nel giugno del 1998 in un momento di dialogo con don Francesco è venuto in rilievo ad entrambi che eravamo diventati sacerdoti innanzitutto per vivere la comunione, per dar corpo al sogno di Gesù: «Padre, che tutti siano uno». Perciò abbiamo chiesto al vescovo la possibilità di vivere insieme. Egli ci fa la proposta di lasciare le nostre rispettive parrocchie, nelle quali ci trovavamo bene, per andare in una zona di montagna e prenderci cura di cinque parrocchie con un totale di 3.000 abitanti, ma con la possibilità di far vita comune nella canonica di Pieve di Zoldo, la località più centrale.

Abbiamo accettato con gioia: la proposta veniva incontro ad un nostro desiderio profondo ed era vista dal vescovo come segno di comunione fra sacerdoti.

La vita di comunione tra noi

Francesco: Abbiamo avvertito subito che non siamo insieme solo per dividerci meglio i compiti, per una più proficua programmazione, ma innanzitutto per fare un’esperienza di fede attraverso quella spiritualità di comunione che contraddistingue la Chiesa del dopo Concilio. In questo siamo aiutati dalla spiritualità dell’unità, tipica del Movimento dei focolari.

In questi anni abbiamo cercato di imparare a perderci l’uno nell’altro, ad ascoltarci, ad aiutarci in tutto, a vivere l’amore reciproco in modo da attuare la promessa di Gesù: «Dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

Questa presenza di Gesù è il tesoro più prezioso da offrire ai nostri parrocchiani, come essi spesso ci hanno testimoniato.

Durante la benedizione delle famiglie una persona che ben conosce le problematiche della Chiesa e dell’umanità di oggi ci diceva: «Occorre una iniezione di Vangelo; voi pastori non potete andare avanti conservando solo le tradizioni, occorre tornare alle origini, al Vangelo, come ai tempi di san Francesco».

Un altro signore ci confidava: «Voi state facendo un lavoro molto prezioso, quello di unire le persone della nostra valle; la vita di fede per voi non è solo pregare, ma ci aiuta a sentirci comunità, senza nascondere i nostri problemi, imparando anzi a condividerli».

L’altra mattina una persona mi telefona per augurarmi una buona giornata: «Oggi mi sono alzata felice, perché sono figlia di Dio e perché egli ci ha fatto dono di voi due che ci aiutate a vivere la comunione fra noi».

Tempo fa, dopo un incontro con i Consigli pastorali delle varie parrocchie per stabilire una riduzione delle messe festive, per venire incontro al parroco vicino che non sta bene in salute, abbiamo esposto il problema con varie possibilità di soluzione. Abbiamo dovuto fare delle scelte anche dolorose, ma alla fine la conclusione a cui siamo arrivati è stata fatta propria dai vari consiglieri. Una di loro il giorno dopo ci diceva: «Ora cominciamo a ragionare in modo un po’ diverso. Prima del vostro arrivo guardavamo solo alla nostra parrocchia, ora stiamo abituandoci a sentire nostra la parrocchia dell’altro». Un grosso cambio di mentalità, certamente non facile, frutto di uno stile di vita che cerchiamo di portare avanti.

Come in una famiglia unita

Francesco: Ogni giorno Dio ci chiama a vivere tra di noi il suo comandamento: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato», per poi annunciarlo agli altri.

Io tendenzialmente sarei più portato a cambiare lentamente, coinvolgendo di più gli altri; Giuseppe invece a lasciar perdere tante tradizioni per portare subito una ventata di novità. Egli ha ritmi più intensi, io ho ritmi più lenti. Lui ha risposte precise, ma talvolta un po’ secche, io più vaghe e tendo a prendere tempo. Egli cura di più l’ordine e la pulizia della casa, io sarei più portato al pressappochismo. Sono differenze che ci aiutano a purificare e a rendere più concreto il nostro amore, perché limpara dall’altro.

Ad esempio, una sera io sono arrivato con i bollettini parrocchiali portati dalla tipografia. Preso dalle cose da fare mi sono messo subito a lavorare senza rendermi conto che Giuseppe forse era stanco e aveva bisogno di un po’ di calma per riprendere fiato. Al mattino, quando mi sono alzato, ho pensato: «Non posso restare con questa frattura provocata dalla poca attenzione», e mi son messo a preparare la colazione con più cura. E la pace e la comunione si ricomponevano.

Giuseppe: Una sera il medico mi aveva cambiato le ore della terapia, ma io ero occupato. Gli ho detto che forse non sarei potuto andare. Parlandone con Francesco abbiamo visto che egli era libero e poteva portare avanti il mio impegno. Per me è stato un colpo, costatando che non sono ancora abituato a valutare le cose sempre insieme.

Un’esperienza interessante l’abbiamo vissuta nella sistemazione della casa. Il piano degli uffici e della cucina aveva bisogno di ammodernamento. Grazie all’aiuto di alcuni laici e confrontandoci con sacerdoti amici, abbiamo fatto la ristrutturazione. Ora molti hanno manifestato il loro apprezzamento per l’armonia dell’ambiente, frutto della comunione con gli altri.

Al mattino preghiamo insieme e facciamo meditazione, dando il tono giusto a tutta la giornata. Pregare insieme è un momento fondamentale della nostra vita, non solo perché portiamo a Dio tutte le necessità nostre e delle persone a noi affidate, ma soprattutto perché stiamo in contatto con l’Onnipotente. La Parola di Dio meditata insieme acquista una luce nuova e abbiamo l’impressione di capire certe verità per la prima volta.

Essendo convinti che la vita non è fatta solo di attività e preghiera, cerchiamo di programmare settimanalmente una camminata, una sciata o comunque momenti di distensione: questo ci dà lucidità, ci fa star bene e ci aiuta anche ad amare meglio le persone.

All’inizio di dicembre c’era la possibilità dello ski pass semi-gratuito. Io pensavo di andare a sciare, mentre don Francesco non lo credeva opportuno per le tante cose da fare nelle parrocchie. Ho perso la mia idea di sciare tutta la giornata e abbiamo concordato di fare insieme una bella passeggiata.

Il dono dell’ospitalità

Francesco: La nostra casa è diventata – soprattutto d’estate – un punto di riferimento per sacerdoti e seminaristi, che vengono da noi per alcuni giorni o per qualche mese. Fra tutti si vive un clima semplice, di vera famiglia. Anche gli ospiti sono stati coinvolti con molta semplicità nel fare le ordinarie faccende di casa. Ciò ha suscitato una certa meraviglia nei parrocchiani, producendo riflessione e apertura.

Tempo fa è stato da noi per un periodo di riposo e di cure don Luigi De Rocco, un sacerdote della nostra diocesi che lavora in Brasile da più di 20 anni. Con lui abbiamo fatto una bellissima esperienza di comunione, sia nel seguirlo durante il ricovero in ospedale, sia nel periodo di permanenza tra noi durante il quale ha potuto sperimentare la realtà della famiglia. Dopo il suo ritorno in Brasile ha scritto un articoletto per il giornale parrocchiale, concludendo con queste parole:

«Per ultimo – ma fra tutti il dono più prezioso della Provvidenza – il tepore familiare, come di un cenacolo, della convivenza con don Francesco e don Giuseppe. Ho vissuto tutta una vita tra i preti, ma forse poche volte mi sono sentito così bene come a Pieve. L’eterno sorriso e la costante disponibilità di don Francesco mi hanno conquistato; il dinamismo di don Giuseppe mi ha ringiovanito. Se parlo di cenacolo è perché voglio dire che ho vissuto con loro momenti indimenticabili come gli apostoli con Gesù».

Giorni fa, mentre era qui con noi, ci confidava: «In passato, quando ritornavo, mi sentivo un po’ figlio di nessuno e non sapevo dove fermarmi, poiché i miei fratelli erano in Germania e la mia casa era vuota, ora so, ogni volta che torno, di trovare una famiglia».

Giuseppe: Da circa un anno abbiamo accolto con noi un sacerdote anziano che viveva da solo in una parrocchia vicina e che lentamente stava perdendo la memoria. Molte persone ci sconsigliavano, prevedendo le difficoltà che avremmo dovuto affrontare, ma abbiamo voluto credere all’amore. Ora egli è contento di stare con noi, è molto riconoscente ed ha ritrovato la forza di trattare con dolcezza le persone, ed è per noi uno stimolo continuo ad essere sempre nell’amore.

In questa occasione abbiamo sperimentato anche la provvidenza. Fino ad allora per le varie mansioni della casa ce le sbrigavamo da noi, ma quando il vescovo ci ha chiesto questa disponibilità abbiamo capito che dovevamo trovare una persona per il pranzo e le pulizie. Con nostra sorpresa si è subito resa disponibile una signorina per questo aiuto. Dio non si lascia vincere in generosità.

La comunione nella pastorale

Francesco: Concretamente noi siamo coparroci di cinque parrocchie. Questo ci sembra importante sia per noi che per le nostre comunità, perché tutti ci sentono come i loro sacerdoti e questo stile di comunione si diffonde tra le parrocchie.

Il vescovo ci ha dato due indicazioni importanti: rispettare l’identità di ogni comunità parrocchiale senza forzare o semplificare ad ogni costo, ma nello stesso tempo aiutare le comunità a far emergere i doni che ci sono, perché noi non possiamo fare tutto. In questo modo ogni comunità si apre e diventa dono per l’altra.

In questa linea abbiamo cercato di vivere dei momenti assieme tra le varie parrocchie. Per l’inizio del catechismo, ad esempio, abbiamo visto importante darne rilievo nelle singole comunità, perché ognuna senta di essere responsabile della trasmissione della fede, mentre la conclusione abbiamo cercato di realizzarla tutti assieme iniziando dalle parrocchie più piccole, per sperimentare la ricchezza di fede dei ragazzi delle altre comunità. L’anno scorso l’abbiamo concluso col tema: «Conoscere e amare la parrocchia dell’altro come la nostra». Un gruppo di ragazzi per ogni comunità ha presentato la propria comunità.

Per quanto riguarda i sacramenti abbiamo ritenuto opportuno che la prima comunione fosse in ogni paese per far comprendere che l’Eucaristia costruisce la comunità, mentre per la cresima abbiamo ritenuto importante riunire assieme tutti i ragazzi che già si incontrano anche a scuola.

L’anno scorso durante la quaresima abbiamo realizzato insieme alcuni momenti di riflessione sul tema: «Sentirsi responsabili della comunità e averla a cuore». A conclusione alcune persone si sono rese disponibili come ministri straordinari dell’Eucaristia.

Accogliendo la proposta del sinodo, che la nostra diocesi sta vivendo, in quasi tutte le comunità si sono formati gruppi di riflessione, che s’incontrano senza la presenza di noi sacerdoti. Ci è sembrato un segno di crescita.

Giuseppe: L’invito del Papa a realizzare una nuova evangelizzazione ci ha sollecitato a farci penetrare dalla sua Parola, cercando noi per primi di vivere ogni mese una frase della Scrittura. In quest’ultimo periodo ci avevano colpito le parole del salmo: «Ascoltate oggi la sua voce».

Una sera arriva una delegazione di genitori e ci chiede una stanza dove mettere i costumi del teatro realizzato dai ragazzi delle medie. A dire il vero l’organizzazione di questo teatro ci ha fatto un po’ patire, perché ha assorbito tutto il tempo e non ci ha lasciato fare praticamente niente coi ragazzi. Ma mi torna alla mente: «Ascoltate oggi la sua voce». Ascolto questi genitori e cerchiamo insieme una soluzione al problema. Nel cinema non c’è posto, neppure al pensionato. Mi viene in mente una stanza in un’altra canonica, a Dont. Arriva poi anche don Francesco e la soluzione trovata ci sembra quella possibile. Ci accordiamo per ritrovarci un giorno e trasportare i costumi in quella stanza. Ma sento dentro la spinta a dare la stanza subito per venire incontro nel modo migliore alle loro esigenze, anche perché sono in partenza per la Germania. Andiamo a Dont, verifichiamo che la stanza è adatta, la ripuliamo da tante cose inutili e dopo un’oretta ognuno ritorna a casa contento. L’ultima ad andarsene è una donna, punto di riferimento, per tante cose in quella parrocchia. Ritorna indietro, perché ha lasciato accesa una luce al piano superiore. In quel momento si rompe un tubo dell’acqua che nei giorni precedenti si era congelato per il freddo. Vedo in questo fatto un segno della provvidenza: se non avessimo accolto la richiesta di quei genitori, probabilmente il giorno dopo ci saremmo trovati la canonica allagata e con danni gravi.

In questo impegno nel vivere la Parola si è formato un gruppo di persone che mensilmente si ritrovano assieme per meditarla, ma soprattutto per stimolarsi a viverla, condividendo le loro esperienze.

Francesco: In diocesi tanti sacerdoti vedono nella nostra esperienza di vita comune un tentativo nuovo nel dare risposte plausibili ai cambiamenti pastorali. Un giorno uno di loro ci ha detto: «Godo della vostra unità. Anche solo il telefonarvi mi dà la carica per realizzare l’unità col sacerdote che vive con me».

Un giudice nostro amico, – persona squisita, discreta, umile, ma attento alla storia ed alla vita – dopo aver trascorso qualche giorno di vacanza presso di noi, ci ha detto: «La vostra presenza in questo luogo è un dono per le comunità che servite e per voi stessi, perché un sacerdote da solo qui lo vedrei soffocato da tante difficoltà». E un seminarista ci ha scritto: «Lascio la Valle di Zoldo, portandomi via un grande tesoro: l’esperienza di comunione vissuta con voi».

Giuseppe Bernardi
Francesco Soccol