È possibile la comunione fra sacerdoti? Giornate con proposte concrete per realizzarla

 

«Il Sacerdote: l’uomo dei rapporti profondi»

 

C’è sempre più richiesta di comunione nella Chiesa. Uno strumento per promuoverla sono le cosiddette “giornate del sacerdote focolarino” svolte ormai in tante parti del mondo. Qui si descrivono obiettivi, stile e frutti di alcune di esse realizzate in Italia.

La frase del titolo è di André Malraux e risulta affascinante da più punti di vista. Ma i sacerdoti, sono formati a ciò? Un ingegnere, colto conoscitore della storia del cristianesimo, diceva recentemente ad un sacerdote amico: «I sacerdoti sono terribilmente individualisti. Così non riescono né ad essere felici loro né a diffondere il cristianesimo in modo incisivo nel mondo. Dovrebbero vivere in presbiterio con lo stile fraterno di quei sacerdoti che vivevano attorno ad Agostino ed a tanti altri nella storia».

L’amicizia

È difficile non dargli ragione. Fa venire in mente un testo noto, proprio di sant’Agostino, dove egli descrive alcune caratteristiche che distinguono la vera amicizia:  «Parlare e ridere insieme, scambiarsi affettuose cortesie, leggere insieme dei bei libri, stare insieme in modo allegro e allo stesso tempo dignitoso, dissentire talvolta senza rancore, come uno fa anche con se stesso, e con gli stessi rari dissensi condire i molti consensi, insegnare e insieme imparare qualcosa a vicenda, Sperimentare la nostalgia impaziente di chi è lontano e la festosa accoglienza per chi ritorna. Tutti questi ed altri simili segni di cuori innamorati l’uno dell’altro, espressi dalla bocca, dalla lingua, dagli occhi e da mille gesti gradevolissimi, sono esche che fondono gli spiriti come un unico fuoco e di molti fanno una cosa sola»1.

Ogni tanto si ascolta qualche sacerdote dire che gli sarebbe piaciuto vivere al tempo d’Agostino per partecipare alla sua comunità. Ma oggi non è possibile plasmare qualcosa di simile? Cosa lo impedisce, se così hanno potuto vivere gli apostoli attorno a Gesù e se l’esperienza si è ripetuta, dopo le prime comunità cristiane, tante volte nel corso della storia?

L’esigenza si avverte sempre più profondamente nella Chiesa. Lo si dice ormai a tutti i livelli. Nel modo più autorevole l’ha riaffermato il Papa di recente, rivolgendosi precisamente ai sacerdoti in una giornata significativa: «Il mistero della Comunione Trinitaria è l’alto modello di riferimento della comunione ecclesiale. Ho voluto ribadirlo nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, ricordando che “la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia” è proprio questa: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione” (n. 43). Questo comporta, in primo luogo, “promuovere una spiritualità della comunione”, che diventi come un “principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano” (ibid.)»2.

Come fare?

La domanda di fondo è però quella di sempre: come si fa a concretizzarlo? Non basta enunciarlo, non basta acquisirlo mentalmente come parte della nostra visione della vita, non è sufficiente – anche se sarebbe già qualcosa – una teologia e delle strutture ecclesiali che in tutti i loro aspetti fossero informate da questa prospettiva. Nemmeno si arriva ad un’esperienza profonda della comunione soltanto con la soggettiva buona volontà. La comunione è un dono di Dio che coglie chi ha la fortuna di capirlo, d’essere toccato da una grazia, ma è allo stesso tempo un’arte che s’impara vivendo assieme ad altri più esperti nella dinamica della comunione.

Quando attraverso la storia si è prodotto il fenomeno di una corrente d’amore fraterno che faceva più bella e più attraente, più una e più sapiente la Chiesa, c’era sempre dietro un santo all’altezza dei tempi, una profonda esperienza mistica, un grande carisma suscitato dallo Spirito.

Solo a contatto e illuminati da simili realtà è possibile trovare delle motivazioni forti che ci portino a quel cambiamento di mentalità e di vita, a quell’ascetica e perseveranza che la comunione, come ogni cammino spirituale, esige.

Le cause del rifiuto

È vero che una costante storica ci dice quanto sia difficile, per tanti dei contemporanei, avvertire la legittimità e l’importanza della novità apportata dai carismi.

Le spiegazioni di tale difficoltà possono essere tante. Normale atteggiamento di superficialità e non accortezza presenti in certa misura in ogni essere umano? Fatica a riconoscere la propria insufficienza e la necessità d’imparare “dagli ultimi arrivati”, da persone “inferiori”? Timore, magari inconscio, di perdere potere e privilegi? Insicurezza di fronte al nuovo che fa smarrire i consueti punti di riferimento? Semplice impossibilità intellettuale a causa della formazione ricevuta e della cultura di provenienza? Inevitabile lentezza dei processi istituzionali ad assumere i cambiamenti di mentalità, di significato e di forme di vita?

Le possibili cause del “non vedere” sono queste ed altre, alcune dovute all’umana debolezza, altre inconsapevoli. Eppure, sappiamo che come cristiani, siamo chiamati a cercare di lasciarci muovere da quella docilità e fortezza che vengono dallo Spirito Santo, per essere aperti all’ascolto, al discernimento e alle decisioni coraggiose.

Perciò vogliamo qui raccogliere, con l’estrema brevità a cui ci obbliga lo spazio, qualche esempio di gruppi di sacerdoti che avendo fatto un’esperienza toccante di comunione, lasciano da parte pudori e complessi per testimoniare ad altri sacerdoti, senza proselitismo ma con parresìa (quella franchezza e serena audacia di cui parla il Nuovo Testamento) e spesso con creatività, i frutti del loro stile di vita.

La sociologia rileva che la validità dei carismi dei movimenti portatori di valori importanti per un’esperienza religiosa sana e costruttiva, e per una trasformazione sociale civile ed umanizzante, trova riscontro nell’oggettività e nella verificabilità universale della loro esperienza e del loro linguaggio. Le iniziative che riportiamo ci sembrano una conferma.

Dalle tre Venezie3

A Cadine, presso la città di Trento, si è svolto un incontro al quale erano presenti 105 sacerdoti delle diocesi di Trento, Bolzano e Verona. Dalle prime parole di presentazione risultava chiaro lo scopo e lo stile della convocazione: «Coloro che hanno promosso questo incontro, cioè i sacerdoti aderenti al

Ad ogni Chiesa particolare non mancano ovviamente i doni dello Spirito, ma può succedere che in essa, in certi momenti, non si rendano adeguatamente espliciti ed operanti.

La spiritualità del Movimento dei focolari è stata provvidenziale per tanti sacerdoti della nostra regione, comunicandoci la gioia per la nostra vocazione, aiutandoci ad adempiere con slancio gli impegni diocesani e soprattutto ha ravvivato i nostri rapporti fraterni con gli altri preti e la nostra unità con il vescovo.

Abbiamo notato, però, che nella parte occidentale della nostra isola il carisma dell’unità era poco presente e visibile, anche se la provvidenza non ci aveva fatto mancare opportunità di contatti arricchenti e proficui. Ad esempio, il sacerdote incaricato della pastorale giovanile per le diocesi della Sicilia, cercando un luogo dove poter fare un ritiro, per caso aveva avuto notizia di un incontro per sacerdoti nel nostro centro di Trecastagni (Catania). Senza sapere come e perché si decide a parteciparvi scoprendovi, come poi ci ha confidato, delle realtà inattese e molto interessanti. Fatti simili che possano aver riguardato l’uno o l’altro – parroco, rettore del seminario, seminaristi – ne sono successi diversi in questi ultimi tempi.

Perciò, maturando insieme il desiderio di intensificare quest’incontri fino allora sporadici – nel dialogo all’interno del Movimento tra parte sacerdotale e parte laicale – siamo arrivati alla conclusione che fosse giunto il momento di dare maggiore visibilità a questo dono dello Spirito per i nostri tempi.

Ci siamo mossi così “come unica famiglia” dell’Opera di Maria che voleva testimoniare l’amore evangelico verso i sacerdoti di quest’area geografica: Monreale-Palermo-Cefalù-Trapani.

Troviamo in loco un attivissimo membro di questa famiglia che già con la Parola di vita, con la rivista “Città Nuova” e con tanti rapporti personali ha preparato il terreno per un incontro ulteriore. I due focolari del posto, maschile e femminile, con le conoscenze che hanno, ci danno pure preziose indicazioni ed aiuti.

Man mano che i giorni passano e si avvicina il momento dell’incontro si capisce che Dio vuole fare cose grandi, perché si sceglie una “piaga”, uno zoccolo duro, difficili traversie ecclesiali ed umane, tutto quanto farebbe pensare che proprio lì non sarebbe possibile un annunzio di un qualche “evento nuovo” per realizzare nella semplicità, nella scioltezza, nella bellezza il suo progetto. Si sa poi come vanno certi incontri per preti: si arriva sfiduciati, critici, scoraggiati...

Ebbene: Dio ci ha mandato 60 persone! Eravamo con gli occhi spalancati, come increduli. E poi, ad una certa ora, anche il vescovo, “lietissimo e grato” per questo servizio che si rendeva al suo presbiterio e non solo. Lieto e grato «per l’amicizia che aveva potuto sperimentare nell’ambito del Movimento dei focolari».

Quando la focolarina comincia a parlare per prima, in tutti coloro che avevamo preparato l’incontro scende una grande pace: ora e qui il dono di un carisma diventa storia anche nell’ambito ecclesiastico.

Tuttavia la meraviglia nostra è poca cosa di fronte a quella dei presenti. Non ci sono “nomi di cartello” che parlano; non ci sono tematiche culturali “alla moda”: ci sono solo esperienze di vita e, per giunta, non tutte “edificanti”, ma, alcune, tragiche e dolorose seppur trasfigurate dalla luce e dall’amore di Dio. Può sembrare esagerato, ma la commozione si vedeva e si toccava con mano.

Si poteva pensare: «È il primo incontro! È andato così perché per cortesia, per amicizia, un po’ di preti sono venuti! Durerà però una cosa del genere? Con tanti incontri che ci sono in tutte le diocesi, i preti venuti oggi manterranno il loro interesse, torneranno un’altra volta?».

Interrogativi che rispondono – visto il seguito – a logiche puramente umane. Perché il seguito c’è stato e… ci sarà se la diocesi ha voluto mettere ufficialmente, nel proprio calendario, “questo tipo” di incontri.

Certo che c’è qualcosa di strano in questo avvenimento cominciato con timore e tremore. Ma si capisce il perché. In una terra ecclesialmente assetata – tale è questa zona della Sicilia – i preti si sentono coinvolti nella misura in cui trovano freschezza di autenticità, di verità, di fraternità, di Vangelo non predicato ma fatto vita. Per questo gli ottantenni corrono e si rammaricano di non averlo fatto prima, mentre i giovani scoprono che “qui c’è un tesoro” – dicono – per il quale vale la pena vendere tutto. E se sono docenti su qualche cattedra, avvertono che qui “c’è più di Salomone”...

È veramente un’avventura, perché non ci sono logiche che possano spiegare tutto ciò: solo la presenza di Gesù, tra i suoi che cercano di realizzare fra di loro quell’unità che lui ha chiesto al Padre, può spiegarlo.

In giro, tra i nostri presbiteri, c’è aria di stanchezza: è passata l’euforia del Concilio e del post-Concilio; è passato il “furore messianico” di un rinnovamento annunciato con proclami; c’è più vecchiaia e meno spinta giovanilistica… Eppure dei preti che non si atteggiano a far da maestri a nessuno, ma che puntano a “fare solo fatti”, attirano interesse al punto da sentirsi dire: «Con voi si sta proprio bene».

a cura di Enrique Cambón

 

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1)    Confessioni, libro quarto, VIII, 13.

2)    In occasione dell’annuale Giornata Mondiale per la santificazione del clero, in “L’Osservatore Romano” 28.06.2003, p. 5.

3)    Abbiamo stralciato questa parte dell’articolo, dal racconto e dalla documentazione inviataci da Giampietro Baldo.

4)    Questa parte è dovuta alla narrazione di Carlo Malavasi e Pietro Viola.

5)    Può vedersi questa panoramica in 10 punti, offerta da Chiara Lubich, in “Gen’s” 32 (2002) pp. 46 ss.

6)    Per quest’ultimo pezzo ci siamo serviti di quanto ci ha scritto Vittorio Casella.