Tappe di una vita

Di Hubertus Blaumeiser in collaborazione con Enrique Cambón

 

Una rielaborazione del profilo di d. Silvano Cola che è stato letto al suo funerale, il 20 febbraio 2007. A rapidi tratti si evoca il molteplice apporto che egli diede per diffondere, nell’ambito della Chiesa ed oltre, lo spirito dell’unità. Sono riportati nel testo vari brani autobiografici tratti da recenti suoi interventi.

Don Silvano oggi lo sentiamo vivo fra noi, più vivo ancora di quanto lo abbiamo sentito in tutti questi anni!

È stato la prima pietra del “Movimento sacerdotale”, tanto che Chiara Lubich lo considera come un cofondatore di questa branca del Movimento dei focolari.

Ed è stato una colonna dell’Opera di Maria non solo per la parte sacerdotale, come sottolineano le toccanti testimonianze che stanno giungendo dal mondo intero.

L'incontro
con l’Ideale dell’unità

Lasciamo parlare d. Silvano stesso di quella luce che, come un marchio indelebile, ha segnato per sempre la sua vita: l’incontro con l’Ideale dell’unità. Ecco la trascrizione di un suo intervento nell’aprile 2006:

«Ero sacerdote dal 1950, quando nel 1954 ho conosciuto l’Ideale dell’unità incontrando a Torino una delle prime focolarine, Angelella Ronchetti. In mezz’ora quella giovane donna è riuscita a sconvolgere tutte le mie certezze clericali. Non sono riuscito a dormire per tre notti di seguito, finché, per non impazzire, ho pensato bene di andare a rendermi conto di che cos’era questa “nuova vita”. Sono entrato nella casa dove Angelella abitava, e ho trovato un’altra delle prime compagne di Chiara, Doriana Zamboni. È stata un’ora di luce immensa da farmi veramente rinascere tanto che, quando poi scendevo le scale, mi veniva spontaneo cantare un pezzo gregoriano, l’antifona della Domenica in Albis: «Come or ora generati, cercate il latte della sapienza». Naturalmente da allora ogni momento libero dal lavoro andavo in quel focolare».

In un’altra occasione, proseguì così il racconto di quello che ha provocato in lui l’incontro con il carisma dell’unità: «D’estate ci si ritrovava in Mariapoli, sulle Dolomiti. Lì si componeva un popolo nuovo variegato che, venuto unicamente per amare, faceva sperimentare l’anticamera del Paradiso. In quell’ambiente anche un bambino che raccontava come aveva vissuto la Parola di vita, veniva ascoltato con interesse da tutti, ingegneri, deputati, operai, sacerdoti e anche vescovi. Si capiva che, davanti a Dio, non conta nessun ruolo ma solo l’amore».

«In Mariapoli una delle prime focolarine mi ha detto con semplicità: “Le racconto una mia esperienza. Lei lavora coi ragazzi abbandonati. Domani ritornerà a casa. La prima sera andrà benissimo. Il secondo giorno andrà pure benissimo, perché sarà tuttora  vivo in lei lo spirito che si respira qui. Il terzo giorno andrà un po’ meno bene e il quarto ancor meno. Fin quando, dopo una settimana, concluderà che la vita che si vive in Mariapoli è tutta utopia, mentre la vita reale è ben diversa. Si ricordi allora, d. Silvano, di abbracciare questa negatività come fosse la sua strada per arrivare a Dio. È Gesù abbandonato che le viene incontro in questa situazione. Creda, anche quando tutto porta a non credere, creda che Dio è Amore e che egli ama tutti”. Per me è stata la chiave di soluzione per tutta la mia vita, fino ad oggi».

Crisi esistenziale

D. Silvano nacque a Camerino nelle Marche il 22 gennaio 1928. Suo padre era guardia forestale e così la famiglia presto si trasferì a Torino. Fu ordinato sacerdote ad appena ventidue anni e mezzo, il 27 giugno 1950.

In contemporanea con il seminario aveva studiato anche psicologia all’Università statale. Da giovane sacerdote lavorava nella Città dei Ragazzi, dedicandosi con grande successo ai ragazzi abbandonati e con problemi.

«Per quattro anni – racconta – mi pareva di essere arrivato al culmine. Poi sono entrato in crisi, perché avevo l'impressione che la teologia studiata in seminario non serviva per il mio ministero. Sono andato in crisi a tal punto che onestamente avevo deciso di lasciare il sacerdozio».

Fu a questo punto che scoprì l’Ideale dell’unità. Conobbe qualche settimana dopo anche uno dei primi focolarini, Vittorio Sabbione, affermato avvocato a Torino. Con Vittorio ebbe un profondo scambio di esperienze nel quale sperimentò per la prima volta in maniera conscia la realtà di “Gesù in mezzo” (cf Mt 18, 20) che si realizza là dove si vive l’amore reciproco.

«Era qualche cosa di straordinario – afferma – mai provato in vita mia». Tanto che, salutando Vittorio, gli disse con il linguaggio schietto che gli era caratteristico: «Io lavoro in mezzo ai delinquenti. Sono anch’io un mezzo delinquente e forse andrò all’inferno. Ma anche se andassi là, questa esperienza me la porterò dietro».

Nasce il «focolare sacerdotale»

In seguito alla sua andata in Mariapoli, d. Silvano divenne sempre più il naturale punto di riferimento per i sacerdoti diocesani che avevano iniziato a vivere l’Ideale dell’unità.

Fu, in quegli anni, particolarmente vicino a d. Foresi, primo focolarino sacerdote, che sin dall’inizio degli anni ’50, aiutava Chiara nella realizzazione dell’Opera di Maria.

Erano anni difficili in cui – dopo l’approvazione diocesana dell’arcivescovo di Trento – l’autorità ecclesiastica romana studiò a fondo il Movimento che, nel contesto preconciliare, portava con la sua vita e con la sua spiritualità tante novità dirompenti.

Lasciamo ancora la parola a d. Silvano.

«Dopo l’ultima Mariapoli sulle Dolomiti, la Conferenza episcopale italiana nel 1960 ha pensato bene di distaccare i sacerdoti e i religiosi dal Movimento, perché ancora era sotto studio da parte della Chiesa cattolica. Chiara ci ha solo detto: “Ubbidite alla lettera, questo è tutto il nostro Ideale”. Nessuno però ci aveva proibito di trovarci tra sacerdoti. Era difficile realizzare fra noi quella stessa unità che avevamo sperimentato con i focolarini, ma poi ci siamo riusciti”.

Il 7 settembre del 1962 terminò questa proibizione. Nell’estate del 1963, ad Ala di Stura vicino a Torino, si tenne allora il primo incontro di sacerdoti di tutta Europa e alcuni anche da fuori Europa. Fu un raduno straordinario.

Ma quell’estate segna una tappa decisiva anche per d. Silvano personalmente:

«Profondamente impressionato da questo incontro ad Ala di Stura, Mons. Tinivella, allora amministratore dell’arcidiocesi di Torino, decise di mettermi a disposizione per il Movimento. Venni quindi a Grottaferrata e poi a Roma, dove ho abitato per un periodo in focolare con d. Foresi.

Successivamente si capisce che è bene cercare un appartamentino vicino, in Corso Vittorio Emmanuele; vivo lì, da solo, per alcuni mesi, finché, pensando che Chiara non ha più avuto notizie di me, decido di scriverle. Comincio la lettera, quasi scherzosamente, con queste parole: “Carissima Chiara, vuoi sapere come è il mio focolare? È grande e pieno di luce...”. E le racconto come trascorrono le mie giornate.

La mattina dopo arriva una focolarina, mi porta un rotolo e una lettera che inizia con queste parole: “Per il focolare dei sacerdoti focolarini. Chiara a d. Silvano”.  Era nato dunque, oltre al focolare femminile e a quello maschile, anche il focolare sacerdotale.

Il rotolo conteneva una copia di un arazzo di Trento che raffigurava Gesù che lava i piedi agli Apostoli. Chiara a commento scriveva: “Destinato al Centro sacerdotale, osservandone il motivo”. Fu per me e per noi un forte incoraggiamento a vivere il nostro sacerdozio come puro servizio, in modo “mariano”».

I sacerdoti e diaconi «volontari»

Col tempo, a fianco dei sacerdoti e diaconi focolarini, andò delineandosi ancora un’altra espressione del Movimento dei focolari che prende ufficialmente forma a partire dal giugno 1976: i “sacerdoti e diaconi volontari”, chiamati a portare lo spirito dell’unità il più al largo possibile nel mondo ecclesiastico.

Erano gli anni del Concilio Vaticano II e d. Silvano si rese subito conto di quanto il carisma dell’unità avesse da offrire per realizzare le prospettive innovative che i Padri conciliari indicavano alla Chiesa. Quando il 7 dicembre 1965 venne promulgato il Decreto Presbyterorum Ordinis, sulla vita e il ministero sacerdotale, esultò. C’era una sintonia perfetta con quello che il carisma del Movimento aveva aiutato i sacerdoti a vivere. Seguirono anni di grande sviluppo.

La «Scuola sacerdotale»

Nell’autunno del 1966 Chiara e d. Foresi fondarono a Grottaferrata la cosiddetta Scuola sacerdotale, poi stabilitasi a Frascati e in seguito nella cittadella del Movimento a Loppiano nei pressi di Firenze. Essa avrebbe offerto a migliaia di presbiteri e seminaristi diocesani l’opportunità di fare un tirocinio pratico di “vita d’unità”, aiutandoli a realizzare con i loro vescovi, nei loro presbitéri e nelle comunità parrocchiali loro affidate, la Chiesa-comunione del Vaticano II.

Per un anno fu d. Silvano a portare avanti questa Scuola. Poi quella realtà passò in altre mani, mentre egli si dedicò a tempo pieno a seguire la vita dei sacerdoti, sempre più fiorente, a livello internazionale. Ma rimase sempre punto essenziale di riferimento per questo primo “Centro di spiritualità di comunione per sacerdoti, diaconi e seminaristi”, come oggi si chiama la “Scuola sacerdotale”, che nel frattempo si è moltiplicata nel mondo.

Il Movimento parrocchiale
e la nuova generazione
sacerdotale

Sempre nel 1966, Chiara diede inizio pure al Movimento parrocchiale e d. Silvano, coadiuvato da d. Giò Aruanno, ne accompagnò i primi passi. Irradiando la spiritualità dell’unità nelle parrocchie, fiorirono comunità parrocchiali che ebbero il sapore delle prime comunità cristiane.

Nel 1968, poi, in un momento di forte crisi dei seminari, Chiara confidò a d. Silvano il suo desiderio di venire in aiuto alla Chiesa, prendendosi cura anche di giovani seminaristi. Nacque così il Movimento gens (acronimo per “generazione nuova sacerdotale”) e, in seguito, la Rivista di vita ecclesiale gen’s che lungo gli anni ospitò molti interventi e studi di d. Silvano.

Le pubblicazioni

Molti ricordano i suoi scritti e le sue pubblicazioni (22 solo i libri!) che raggiunsero un vasto pubblico ben oltre il campo sacerdotale: dalla prima traduzione delle Lettere di san Girolamo, in quattro volumi, agli articoli – per fare solo qualche esempio – sulla rivista Città Nuova, poi raccolti in volumetto, in cui rievocò lo sviluppo del dogma cristologico e trinitario  sotto forma di originali reportages d’epoca. «Teologia per casalinghe», egli li chiamava scherzosamente.

La cosa però che più colpiva nel “don Silvano intellettuale” era la sua apertura mentale. Era un intuitivo, e il suo era un pensiero creativo.

Soffriva con i dolori dell’umanità e i limiti ecclesiali cercando risposte adeguate ai tempi, prospettive che partissero dalla centralità del Vangelo e rispondessero alle esigenze autentiche che maturano nell’umanità, non di rado anche dietro ad atteggiamenti e formulazioni sbagliate o insufficienti.

La «più grande
concelebrazione»

Tra le gioie più grandi della vita di d. Silvano, fu la Giornata del 30 aprile 1982 che riunì, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, 7.000 sacerdoti, religiosi e seminaristi aderenti allo spirito dei Focolari. Giovanni Paolo II tenne un memorabile discorso in cui parlò di Gesù crocifisso e abbandonato e dell’unità come «grandi componenti del messaggio evangelico» e presiedette quella che L’Osservatore Romano definì «la più grande concelebrazione da quando fu istituita l’Eucaristia».

Chiara Lubich parlò del sacerdote come «uomo del dialogo» e indicò Gesù abbandonato come modello.

D. Silvano, nel suo intervento, le fece da eco: «Ho capito in verità cos’è il sacerdozio, perché è proprio con l’abbandono e la morte in croce che Gesù ha generato la Chiesa assumendo in sé il peccato e il dolore universale» (testo integrale a pp. 19-21 di questo Quaderno).

Quando Giovanni Paolo II nel 1990 convocò il Sinodo dei vescovi sulla formazione sacerdotale nelle circostanzi attuali, d. Silvano fu invitato come uditore. Poté prendere la parola in Assemblea plenaria con un intervento che fece forte impressione (cf. articolo a pp. 32-35 di questo Quaderno).

«Uomo di dialogo»

Nel 1998 iniziò una nuova avventura. In seguito al grande incontro di Giovanni Paolo II con i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità in Piazza san Pietro, venne affidato a d. Silvano e a Valeria Ronchetti, una delle prime compagne di Chiara, il «Dialogo all’interno della Chiesa cattolica» volto in particolare a rafforzare la comunione fra le diverse espressioni della dimensione carismatica della Chiesa.

Insieme a Chiara e Valeria Ronchetti, d. Silvano negli anni successivi seppe tessere una rete impressionante di rapporti di amicizia fra il Movimento dei focolari e fondatori e responsabili di altri Movimenti.

Ovunque si fece apprezzare per il suo tratto fine e rispettoso, per la gioia che irradiava e per la sua capacità di immedesimazione con gli altri, oltre che per la sua apertura e la sua schiettezza e sincerità (cf. testimonianze alle pp. 156-160).

Mistero pasquale e psicologia

Sono innumerevoli le persone legate a d. Silvano e da lui aiutate e sostenute. Si donava a tutti, senza pretendere nulla. Ed era per tutti, anche per persone senza contatto con la Chiesa, amico e fratello.

Realizzò così quanto Chiara aveva scritto tanti anni fa in due appunti a lui molto cari: «Oggi i tempi esigono più che mai l’autenticità: non bastano più semplici uomini ordinati sacerdoti: occorrono sacerdoti-Cristo, sacerdoti-vittime per l’umanità».

E in un altro scritto: «Il sacerdote ideale è sempre morto a sé perché ama Gesù abbandonato, ama al punto tale che questo diventa come un abito. Esserlo, Gesù abbandonato, non dirlo: essere sempre vuoti di sé».

D. Silvano era affascinato da Gesù come “l’Uomo per eccellenza”. Ravvisava nell’accettazione dell’abbandono in croce la massima realizzazione della maturità umana. Fu questo uno dei contributi che egli portò quando verso la fine degli anni ’90 venne chiamato alla Scuola Abbà, il centro studi del Movimento dei focolari, ed iniziò a promuovere, assieme alla focolarina dott.ssa Simonetta Magari e ad altri psicologi, l’approfondimento della psicologia alla luce del carisma dell’unità.

Negli ultimi anni d. Silvano parlava spesso del “decondizionarsi”, sottolineando come Gesù ci abbia insegnato a staccarci da tutto e – nel momento dell’abbandono – persino da Dio.

Con questa convinzione profonda, durante l’ultimo grande incontro del Movimento sacerdotale nell’aprile 2006, invitò tutti a “consacrarsi” a Gesù abbandonato, facendo propria la nota meditazione di Chiara: «Ho un solo Sposo sulla terra...». Fu un’idea che egli promosse con decisione, guidato come da una luce interiore, e divenne una pietra miliare nella vita di tanti partecipanti.

«Guardava lontano»

Nei mesi successivi parlò ripetutamente e con fascino di quel sacerdozio “mariano” che nasce dalla vita del carisma dell’unità. Ne fece la sua consegna, quando il 30 dicembre 2006 incontrò a Grottaferrata un gruppo di seminaristi di diverse nazioni, il suo ultimo intervento in pubblico (cf. l’articolo alle pp. 53-54).

In quei giorni, cominciò ad accusare forti dolori alla schiena che, a sorpresa, gli hanno impedito dí partecipare all’annuale Convegno dei sacerdoti focolarini a metà gennaio. Per quanto avesse preparato questo incontro con molta cura, lo seppe “perdere” con semplicità e persino nella gioia. E il raduno portò frutti oltre ogni attesa: «Certe decisioni prese con radicalità mi sembrano il punto più alto toccato nei nostri incontri», commentò leggendo le impressioni e i propositi di tanti dei partecipanti.

Durante le ultime settimane fu costretto a passare gran parte della giornata a letto. Ma da quella stanza continuava a prodigarsi per le realtà che gli erano affidate, rispondendo a lettere ed e-mail fino all’ultimo giorno.

Allo stesso tempo, come un profeta, guardava lontano. Seguiva con speciale attenzione gli sviluppi dei grandi dialoghi del Movimento dei focolari – ecumenico, interreligioso e quello con persone di convinzioni non religiose –  e delle cosiddette “inondazioni”, che intendono diffondere lo spirito dell’unità nella società e nei vari ambiti della cultura.

Un’eco tutta particolare ebbe in lui il discorso di Benedetto XVI ai vescovi amici del Movimento dei focolari e ai vescovi amici della Comunità di Sant’Egidio, nel quale il Papa parla dei Movimenti come «dono provvidenziale dello Spirito Santo alla Chiesa» e della comunione tra i carismi come «segno dei tempi» incoraggiante e importante.

Considerando questi ed altri sviluppi, una settimana prima della sua morte confidò: «Sto pensando che la preghiera più bella, dopo il “Padre nostro” e l’“Ave Maria”, è il “Magnificat”. E si sta proprio realizzando». E citava in latino vari versetti: «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore... Ha rovesciato i potenti dai troni... Ha ricolmato di beni gli affamati». Poi aggiunse: «Piano piano, ma ormai si va realizzando».

Stare in quel periodo vicino a d. Silvano era in qualche modo un presagio di Paradiso, per la forte presenza di Gesù in mezzo che avvolgeva di luce e “trasfigurava” questa tappa della vita di per sé difficile e cruda.

Così fino all’improvviso, eppure atteso, incontro con lo Sposo – il 17 febbraio, di buon mattino – per un arresto cardiaco.

Molti anni fa, Chiara aveva suggerito a d. Silvano una Parola paolina, come programma per la sua vita: «… così da diventare modello per tutti i credenti» (1Ts 1, 7). Numerose testimonianze che giungono da ogni angolo della terra, fanno pensare che sia avvenuto proprio così.