Notizie dal mondo dei seminari n. 44
Non solo vacanze
Al
ritorno dalla Messa, una signora anziana mi ha chiesto di passare a casa sua.
Diceva che aveva qualcosa da confidarmi. Ero in fretta, ma ho accettato.
Conversando, è venuto fuori che voleva togliersi la vita. Ho potuto
consigliarla e lei mi ha ascoltato e obbedito. Sono tornato a casa felice di
aver salvato una vita». (N.P.)
«Ho
incontrato un gruppo di studentesse, fra cui Bélie, ragazza dal viso sfigurato
a causa di una bruciatura. Emarginata dalle altre, camminava isolata. Avevo
sentito il suo nome e l’ho chiamata e salutata calorosamente. Lei era molto
contenta che la conoscevo per nome. Abbiamo parlato un po’. Quando mi sono
congedato e mi stavo già allontanando, mi ha gridato: “Ho capito: tu sei seminarista…!”.
Sono grato d’aver potuto ridare a Bélie la gioia». (J.M.)
Sono
racconti di due futuri sacerdoti del Burundi. Parlano di incontri che potevano
essere anche opportunità mancate, ma che, per l’amore vissuto, si sono tradotti
in storia di “salvezza”.
Due
storie che, assieme a quelle sulle prossime pagine, possono accompagnare
quest’estate quando – non guidati da un regolamento né protetti dalle mura del
seminario – avremo numerose occasioni di trovarci fra la “gente” ed essere
proprio lì testimoni di Gesù, portatori di una vita nuova.
Le
vacanze, effettivamente, ci offrono opportunità speciali per crescere nella
libertà e nella donazione. Come ci raccontano alcuni studenti di diverse
nazioni che da vari anni trascorrono in estate insieme un periodo di riposo.
Per oltrepassare le difficoltà che possono nascere dalle differenze di cultura
e di carattere, si sono presi un motto assai efficace: «Il tuo riposo è il mio
riposo». Quando ciascuno pensa all’altro, si spalanca infatti un pezzo di
Paradiso. E molti ne rimangono attratti. Come ci assicurano ancora questi
nostri amici che ogni volta, attorno a loro, vedono puntualmente decollare
un’evangelizzazione spontanea che coinvolge tante persone, mentre loro sono
semplicemente intenti a fare vacanze. Bastano poi poche parole, per illuminare
una vita, per guarire ferite. E su tutto domina il fascino di quel «Regno» di
cui ha parlato Gesù.
È l’esperienza anche di alcune decine di seminaristi in Brasile. Nelle vacanze, si sono ritrovati in una località marittima per un campeggio dal titolo: Festa. Apparentemente, una proposta di poco impegno. Ma alla base di tutto un’unica “regola”: l’amore fraterno, l’arte dell’amore evangelico. Così quel periodo trascorre in grande libertà, fatto delle cose semplici d’ogni giorno: gioco, pasti, divertimento, assieme a preghiera, Messa, un quotidiano scambio di quanto si è vissuto. Alla fine, un’eco unanime: esperienza da ripetere!
Cogliere l’occasione
«Mi sono fatto uno fino in fondo»
Burundi. «Partiamo
dal seminario per le vacanze. Prendo un bus un po’ malandato, coi vetri rotti.
Dopo un po’ inizia a piovere. Qualche passeggero si ribella e ingiuria il
conducente, rifiutando pure di pagare il prezzo per il tragitto. Per di più, si
rompe uno dei pneumatici. Decido allora di
calmare gli spiriti surriscaldati e di fare opera di convincimento perché
paghino
il prezzo integrale. Grazie a Dio,
sono d’accordo. E il conducente ne è molto
contento. Arrivato al vescovado della
diocesi, mi viene offerto un posto
per dormire. Ma ringrazio senza accettare,
perché voglio farmi uno fino in fondo, accompagnando due passeggeri che devono
ancora arrivare a destinazione, e pago per loro anche il taxi». (B.E.)
«Io ho sposato Dio»
Italia. «Sono di
ritorno dalla Facoltà e attendo sotto la pioggia il bus, quando mi sento dire: “Do you speak english?”.
Istintivamente rispondo di “no”. Ma dentro una voce mi dice: perché non ami
questa persona che Dio ti ha messo a fianco? Mi giro e vedo vicino a me due
ragazze che
cercano sulla cartina della città “Campo dei fiori”. Che fare? Non fare brutta
figura con le poche parole di inglese che conosco o riconoscere in loro Gesù e
aiutarle? Cerco
di dare le opportune spiegazioni e intanto perdo il mio bus. Giacché a parole è
difficile intendersi, capisco che la cosa migliore è accompagnare le due per
alcune centinaia di metri, anche se piove e sono senza ombrello. Alla fine il
mio giubbotto è zuppo d’acqua, ma il loro sorriso e il loro ringraziamento
valgono più che stare
all’asciutto. Seduto finalmente nell’autobus che mi porta a casa, mi trovo di
fronte una coppietta di ragazzi che iniziano a parlare di come vorrebbero la
loro futura abitazione. Un tuffo nel cuore: è bellissimo sentirli
fantasticare di cose irrealizzabili e vedere come per loro tutto è possibile.
Ed io? Un senso di solitudine mi attanaglia l’anima. Passa un po’ di tempo e
penso alla gioia provata un attimo prima. Io ho Dio, io ho sposato Dio e Lui ha
grandi progetti per me, più fantastici di ogni mia immaginazione! Devo
affidarmi alle sue braccia e vivere la sua Parola. Eureka! Ecco la soluzione:
vivere in donazione continua a mo’ della Trinità. Quante cose si imparano
accompagnando i turisti per Roma sotto la pioggia!». (C.L.)
Dilatare il cuore
di
Chiara Lubich
Abbiamo
bisogno di dilatare il cuore sulla misura del Cuore di Gesù. Quanto lavoro! Ma
è l’unico necessario. Fatto questo, tutto è fatto. Si tratta di amare ognuno
che ci viene accanto come Dio lo ama. E dato che siamo nel tempo, amiamo il
prossimo uno alla volta, senza tener nel cuore rimasugli d’affetto per il
fratello incontrato un minuto prima. Tanto, è lo stesso Gesù che amiamo in
tutti. Ma se rimane il rimasuglio vuol dire che il fratello precedente è stato
amato per noi o per lui... non per Gesù. E qui è il guaio.
La
nostra opera più importante è mantenere la castità di Dio e cioè: mantenere
l’amore in cuore come Gesù ama. Quindi per essere puri non bisogna privare il
cuore e reprimervi l’amore. Bisogna dilatarlo sul Cuore di Gesù ed amare tutti.
E come basta un’ostia santa dei miliardi di ostie sulla terra per cibarsi di
Dio, basta un fratello –
quello che la volontà di Dio ci pone accanto – per comunicarci con l’umanità che è Gesù mistico.
E comunicarci col
fratello è il secondo comandamento, quello che viene subito dopo l’amore di Dio
e come espressione di esso.
Da: Scritti spirituali/1, Roma 1991, p. 33
Con una
famiglia musulmana
Dal Rwanda ci
è giunta questa lettera di un seminarista che ci racconta di un’esperienza
vissuta prima del suo ingresso in seminario.
Nel 2003 ho iniziato una formazione pedagogica per la quale ho
dovuto lasciare la diocesi d’origine e trasferirmi al centro del Paese. Nella
nuova situazione, le spese materiali cui dovevo far fronte sono aumentate al
punto da oltrepassare le mie possibilità. Ma nessuno se ne è reso conto.
Un anno dopo è nata un’amicizia con uno dei miei compagni e con
lui abbiamo potuto condividere tante realtà della nostra vita. Egli si è
accorto delle mie condizioni economiche e, quando erano ormai vicine le
vacanze, mi ha detto a sorpresa che aveva trovato per me un impiego: «Durante
l’estate tu farai l’insegnante privato nel mio quartiere, in una famiglia
musulmana!». Sbalordito gli ho risposto: «Non vorrei che mi impediscano di
andare la domenica a Messa».
Sin da quando nel 1998, attraverso un sacerdote, avevo
incontrato in diocesi il Movimento dei focolari, avevo fatto molte esperienze
dell’amore e dell’unità. «Ma come farmi uno con dei musulmani?», mi sono
chiesto. «Non ne rimarrà in qualche modo compromessa la mia fede?». Però poi mi
sono ricordato che «occorre guardare tutti i fiori» e mi è venuta in mente
anche quest’altra frase: «Che importa? Solo l’amore importa!».
Quale sorpresa, poi, quando sono arrivato in quella famiglia!
Sin dall’inizio mi hanno accolto con affetto. Aspettavo di essere trattato come
un impiegato e invece sono stato integrato come fossi il figlio maggiore.
Esattamente l’opposto dei pregiudizi che avevo nutrito nei confronti della mia
“nuova famiglia”! Nessuno mi trattava come estraneo. E anche se la mia paga era
stata fissata ad una certa quota, spesso era maggiore; a tal punto loro si
premuravano di venire incontro ai miei bisogni.
Abbiamo avuto anche momenti di condivisione sulla Parola di Dio.
Virtù come l’amore, la misericordia e il perdono che vengono esaltate nel
Corano, non si trovavano forse allo stesso modo nel messaggio evangelico? E
così non sono mai nate discussioni vane.
Quando, alla fine del corso di pedagogia, ho comunicato ai miei
genitori e a questi amici la decisione di diventare prete e quindi di entrare
in seminario, il papà musulmano mi ha detto: «Vacci, con coraggio! Nessuno
potrà impedirti di percorrere il cammino che tu stesso hai scelto; là dove tu,
senza nessuna costrizione, ti troverai a tuo agio, sarà la tua chiamata». E mi
ha detto pure: «Sappi che la strada che intraprendi, chiede sacrifici. Ne devi
essere cosciente».