Uno sguardo, sul nostro mondo, realistico e senza illusioni ma capace di infondere serenità e speranza

 

La persona nel cuore di una società complessa

Di Vera Araújo

 

La presenza del Risorto che porta un nuovo tipo di socialità è il principio vitale della Chiesa e quindi di ogni comunità cristiana; ed è la “Buona Nuova” da portare al mondo. Così è avvenuto fin dai tempi apostolici. Ma nei nostri giorni in un mondo globalizzato e allo stesso tempo frammentato, come si potrà assolvere a questo compito? L’Araújo, sociologa, presupponendo che la comunità cristiana viva della presenza di Cristo al suo interno, prospetta come essa può proporre quei valori e quel dinamismo che ne scaturiscono e dei quali la nostra società ha estremo bisogno per la sua stessa sopravvivenza.

La comprensione e l’interpretazione dei processi sociali non sono mai stati facili né ovvi. La complessità poi che caratterizza gli scenari nazionali e internazionali oggi, rende questa operazione ancora più ardua. Eppure non è possibile sottrarsi a questo sforzo, perché la posta in gioco è molto alta. Si tratta dell’avvenire dell’umanità stessa, della sopravvivenza della realtà “uomo” sul nostro pianeta.

La domanda di fondo è questa: «Il tipo di società e di rapporti sociali che caratterizzano la civiltà occidentale in espansione, le relazioni internazionali e fra i popoli in atto, promuovono e incrementano il processo di crescita dei singoli e della loro comunità?». Da sottolineare che qui intendo “crescita” non tanto e non solo come crescita economica, ma soprattutto come crescita di spessore umano, di valori culturali e spirituali.

 La risposta a questa domanda è estremamente impegnativa perché richiede l’approfondimento di due fattori. Primo: gli attuali cambiamenti sociali, politici, economici, culturali, religiosi che danno una identità al mondo contemporaneo. Secondo: i tratti e i valori che costituiscono il volto degli esseri umani.

Questo approfondimento ci dovrebbe aiutare a modificare le strade da percorrere e trovare gli strumenti adatti a comporre o ricomporre le coordinate giuste, dove l’essere umano possa vivere e vivere bene, dove possa maturare verso la piena attualizzazione di tutte le sue potenzialità.

I. Alcuni tratti distintivi
   del mondo d’oggi

Uno sguardo sul nostro mondo non può essere solo preoccupato, perplesso, deluso o addirittura spaventato, ma anche capace di esprimere serenità, fiducia e speranza.

Non è possibile qui né è mio intento compiere un’analisi completa dei grandi mutamenti in corso, ma solo indicarne alcuni, che a mio parere sono assolutamente necessari per il discorso che stiamo sviluppando.

1. Una nuova eccezionale
    trasmigrazione di popoli

Non è un fenomeno nuovo nella storia, ma oggi acquista connotazioni particolari. Assistiamo ad un mescolamento di popoli, razze, civiltà, fedi, come non era mai accaduto. La novità, mi sembra, sta nel fatto che questi popoli emergono nella storia come soggetti. Prima si può dire che erano semplicemente come oggetti passivi di colonizzazione, sfruttamento o dominio. Ora non è più così. Il contesto sociale – con i mezzi di informazione che veicolano notizie, fatti, eventi, con la globalizzazione dei mercati, ecc. –, fa sì che i popoli prendano coscienza della loro identità, cultura, valori.

2. L’imporsi della scienza
    e della tecnologia

La scienza e la tecnologia hanno cambiato non solo il contesto dove ci muoviamo, ma soprattutto le nostre mentalità. Apparentemente sono scomparse le zone d’ombra e di mistero. Il sapere scientifico sembra portatore di certezze e, dunque, di progresso. Di conseguenza il processo di secolarizzazione si è accelerato, spingendo fuori del vissuto pubblico le religioni, le fedi, in nome di una ragione formale ma, ahimè, monca e sempre più in difficoltà nel rispondere ai quesiti che la vita – la vita di ogni giorno – pone.

E davanti ai quesiti insolubili si assiste ad un esodo di proporzioni bibliche dal campo del razionale al campo dell’emotività. Scriveva recentemente Franco Ferrarotti: «L’homo sentiens sta sostituendo l’homo sapiens. La pura emotività supera il ragionamento»1.

3. Il pluralismo culturale
    e la comunicazione

È convinzione comune che il pluralismo vigente sia un dato positivo, una conquista della nostra civiltà, frutto di molti fattori, quali la tolleranza, la libertà di espressione, la democrazia, il riconoscimento della dignità di ogni persona e via dicendo.

Ma ciò che invece è più problematico è la comunicazione e in particolare come e cosa si comunica in una società pluralista.

 C’è il rischio di scambiarsi informazioni, notizie, ma di non comunicare. Per comunicare è necessario riconoscere l’altro – sia esso una persona, una comunità, un popolo, una religione, una civiltà – come altro, diverso da me ma che può da me essere compreso, ascoltato, che può essere per me portatore di valori.

Comunicare è un’arte. Non si tratta di proiettare se stesso sull’altro, nemmeno di assimilarlo a sé, ma piuttosto di comporre una relazione di reciprocità attraverso il dialogo.

4. L’enormità degli squilibri
    economici planetari

Dopo aver indicato nella uguaglianza una delle colonne portanti della modernità, ci siamo dati al lusso di calpestare questo principio sviluppando e accrescendo, a livello planetario, le disuguaglianze di ogni tipo a cominciare da quelle economiche. Il fenomeno della povertà (= carenza di risorse) e della ingiusta distribuzione dei beni materiali costituisce una vergogna per il nostro tempo, soprattutto perché frutto non di una reale mancanza di beni materiali, quanto di cattiva volontà politica ed etica.

Qui si impongono le cifre e i dati. James Wolfensohn, presidente della Banca mondiale, in un convegno a Londra nel 1998, faceva notare che: «In un mondo di 5,7 miliardi di persone, 3 miliardi vivono con meno di due dollari al giorno e 1,3 miliardi campano con meno di un dollaro. Mentre 2 miliardi non hanno elettricità, 1,5 miliardi non hanno acqua e 115 milioni di bimbi non hanno scuola. E le disuguaglianze crescono e i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri».

Questa situazione è una specie di ”bomba a orologeria”, sempre nella possibilità di esplodere.

5. Il relativismo etico

La società complessa ha annullato i punti di riferimento che costituivano lo schema che conferiva senso e significato alle scelte morali che a loro volta davano fondamento e ordine alla convivenza.

Gli schemi sono saltati – tutti – e ci troviamo in una società senza “centri” in cui ognuno è chiamato a costruire ed a elaborare soggettivamente i propri cardini di condotta, seguendo – quando è in grado di farlo – solo la propria coscienza. 

Questo si chiama relativismo morale, assenza di norme oggettive certe, di un quadro di principi a cui l’agire si possa riferire. Il risultato pratico è uno spaventoso vuoto di senso, che muta i disvalori in valori, i vizi in virtù, il negativo in positivo, il male in bene.

6. Una democrazia vuota

Non c’è dubbio che la democrazia costituisca uno dei traguardi positivi del mondo moderno nel metodo e nel modo di attuare l’amministrazione e il governo della cosa pubblica.

La democrazia può essere considerata una acquisizione di civiltà, anche se non deve essere assolutizzata come l’unica forma possibile di conduzione della comunità politica.

Il problema però è un altro. La democrazia è come un contenitore che deve essere riempito. Di cosa? Di partecipazione anzitutto e poi di valori.

Ed è qui che dobbiamo costatare che la democrazia oggi, nelle società dove è vigente, è piuttosto una democrazia bloccata, formale, carente di maturità. Ad uno sguardo più penetrante essa rivela sia una mancanza di strumenti adatti al governo dei problemi divenuti planetari, sia una deficienza nei contenuti della partecipazione.

Una democrazia matura esige un ripensamento profondo e una capacità creativa non indifferente per produrre ed attuare nuove forme, nuovi strumenti sia globali che locali e soprattutto sollecitare nei cittadini il “gusto”, il “piacere” e l’entusiasmo per la politica in quanto “arte del governo” della città. Un compito non facile eppure inevitabile e urgente.

II. Urge invertire la tendenza

In questo contesto la persona subisce quanto meno un processo di involuzione e rischia il decadimento.

Invertire questa tendenza significa calarsi nel cuore della crisi, individuare gli aspetti positivi e inserire contenuti forse antichi ma rinnovati e ringiovaniti.

L’avventura della umanizzazione dell’umanità è un processo evolutivo e involutivo, conosce crescita e decadenza verso la sua piena affermazione che, per il credente, consiste nella realizzazione del progetto originario di Dio e, per il non credente, nel conseguimento della attuazione piena della natura razionale.

Il momento attuale può essere considerato di crisi.

La persona è imbrigliata in una ragnatela di istituzioni e strutture che funzionano più come una corazza che non come una rete di rapporti.

La cultura individualista spinge le persone in un isolamento pauroso: incapacità di relazionarsi, incapacità di comunicare e, come via di uscita, ricaduta nel sé egoista e chiuso e comunicazione virtuale.

Il relativismo morale consegna la persona all’insicurezza e alla sfiducia nei confronti dei suoi simili. Si creano così gli spazi adeguati alla cultura della contrapposizione e addirittura del conflitto.

Eppure possiamo e dobbiamo riattivare certi circuiti che si presentano adatti al rilancio di quelle categorie culturali e spirituali che in passato hanno fatto conoscere all’umanità un salto di qualità.

1. Una cultura del dare

La persona non è solo capace di inseguire la propria realizzazione. Non è solo in grado di amare se stessa e cercare il proprio tornaconto e il proprio beneficio, come va contrabbandando  una certa tendenza economicista.

L’essere umano è un donatore, capace di donarsi e di donare. Questa capacità è insita nella sua natura. Per il credente è frutto del suo essere “immagine e somiglianza” di Dio, il Donatore primo e munifico. Per il non credente è frutto della sua natura relazionale, capace di aprirsi all’altro nel dono. Per gli uni e per gli altri il dono e il donarsi sono una categoria esistenziale che va inserita a tutti i livelli della vita di relazioni, private e pubbliche, per costruire una società sana e civile.

Il dono appare dunque come categoria spirituale, culturale, sociologica, economica, addirittura giuridica, come vanno delineando ad esempio i ricercatori del MAUSS (Movimento antiutilitaristico nelle scienze sociali) e tanti seguaci delle diverse religioni.

Il dono, così come viene descritto nell’insegnamento evangelico, ha delle caratteristiche molto pregnanti:

– non è interessato, ma gratuito
– non è egoistico, ma altruistico.

La cultura del dare è l’unica capace di superare le disuguaglianze materiali presenti nel nostro mondo perché in grado di aprire i cuori e i portafogli per avviare la circolazione e la condivisione dei beni materiali e no.

2. Una cultura del dialogo

La società plurale in cui ci troviamo a vivere ci offre delle possibilità impensabili per aprire un dialogo a tutto campo.

Il dialogo oggi è la forma dei rapporti, il modo di stare insieme tra diversi ed esige atteggiamenti e mentalità adeguate allo scopo da conseguire.

Nel dialogo si esige una serie di virtù che possono essere sintetizzate in una sola: l’amore evangelico con tutto il suo spessore antropologico.

Questo amore deve ritornare nel cuore della nostra vita pubblica. Non può rimanere chiuso nell’ambito delle relazioni private.

Tale amore – lo sappiamo – è esigente, ed è una vera arte, l’arte di amare, che può essere declinata in quattro caratteristiche fondamentali.

Amare tutti

 Il vero amore fraterno è universale, non è di parte, non è escludente secondo gusti, categorie di ogni tipo, sesso, etnia, colore della pelle, cittadinanza, religione ecc. Tutti debbono essere inclusi nel circuito dell’amore. E allora il dialogo si apre in profondità ed estensione.

Amare per primi

Prendere l’iniziativa nell’amore significa rompere barriere, superare ostacoli, accendere la fiamma.

Non è concesso nel dialogo intessuto d’amore un certo “pudore”, ma invece il coraggio, lo slancio di cominciare. È una parola chiave nel dialogo: cominciare, rompere il ghiaccio, trovare l’atteggiamento o la parola giusta che consenta il movimento, il processo…

Farsi uno

Due paroline che racchiudono secoli di saggezza e che sono non solo utili ma a volte determinanti nel nostro dialogare.

Farsi uno richiede una spinta che fa cercare l’altro – chiunque sia – là dove si trova e nelle condizioni in cui si trova.

Significa assumere i pesi e le gioie dell’altro e farle proprie: ridere con chi ride, piangere con chi piange; farsi carico dei sentimenti altrui per costruire con lui o lei un rapporto intenso, profondo.

Allora il dialogo non è mero esercizio esteriore, di forma o di metodo, ma raggiunge l’interiorità per costruire una quotidianità piena di senso.

Amare il nemico

Qui non si tratta di saggezza antica. Qui si tratta di novità di vita, di quella novità portata da Gesù di Nazaret.

Nel messaggio evangelico ci viene proposto di superare e annullare la categoria del nemico, sull’esempio di Dio che manda il suo sole e fa piovere sui buoni e sui cattivi. «Amate anche i vostri nemici – dice il Vangelo – fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6, 27). Sconvolgimento di mentalità e di giudizio e soprattutto indicazione precisa per inaugurare una convivenza umana che parte da principi che escludono, nella soluzione delle contrapposizioni e dei conflitti, l’uso della forza, lo strumento della guerra, la prevaricazione del potere, lo sfruttamento e l’oppressione.

Amare il nemico vuol dire disarmo globale e totale, non per cadere nell’anarchia e nel caos, ma per inventare strumenti e forme e modi più consoni alla dignità dei singoli e dei popoli, per attuare una giustizia che non si ispiri alla legge del taglione ma offra spazi dove trovi posto il perdono, la misericordia, la possibilità di riabilitarsi.

3. Una cultura della fraternità

Tra i principi ispiratori della modernità, espressi nella triade della rivoluzione francese, possiamo dire che la fraternità è l’anello di congiungimento degli altri due e – ahimè – è quello più disatteso e dimenticato.

L’uguaglianza e la libertà hanno trovato esito non solo nelle coscienze, ma anche spazio e concretezza nelle istituzioni, nelle leggi e nei trattati nazionali e internazionali. È innegabile che ancora molto c’è da realizzare ma il cammino è iniziato.

La fraternità invece è rimasta sulla carta priva di contenuti e soprattutto di prassi sociale e politica.

I tempi che viviamo richiamano la sua attuazione come valore umano fondante e – per i credenti – come progetto di Dio sull’umanità. Infatti è questo il cuore del messaggio di Gesù: c’è un solo Padre di tutti (Dio) e voi siete tutti fratelli.

La spiritualità dell’unità che anima il carisma di Chiara Lubich prende molto sul serio questa verità evangelica. Fin dagli inizi si ripeteva: «Gesù, modello nostro, ci insegnò due sole cose che sono una:  ad essere figli di un solo Padre e ad essere fratelli gli uni degli altri»2.  «Tieni il tuo cuore aperto su tutta l’umanità e insegna alle creature a far così: che Gesù non sia passato invano per te sulla terra predicando la famiglia universale»3.

Con la nascita del Movimento politico dell’unità, espressione appunto politica del Movimento dei focolari, la fraternità assurge come categoria politica. Significa non tanto e non solo buoni sentimenti nei rapporti politici, ma principio paradigmatico ispiratore di progetti politici, di azione politica, di cultura politica.

La fraternità vissuta nella vita sociale, economica, culturale, politica, è foriera di frutti e possibilità sorprendenti.

Chiara Lubich in un incontro con numerosi parlamentari italiani faceva notare:

«La fraternità (…) consente di comprendere e far proprio anche il punto di vista dell’altro, così che nessun interesse, nessuna esigenza rimangano estranei…

«La fraternità consente di tenere insieme e valorizzare esperienze umane che rischiano, altrimenti, di svilupparsi in conflitti insanabili…

«La fraternità consolida la coscienza dell’importanza degli organismi internazionali e di tutti quei processi che tendono a superare le barriere e realizzano importanti tappe verso l’unità della famiglia umana.

«La fraternità consentirebbe inoltre di immettere nuovi principi nel lavoro politico quotidiano: farebbe in modo che non si governi mai contro qualcuno o essendo solo l’espressione di una parte del Paese»4.

La fraternità può essere coniugata in ogni dimensione della vita: sociale, economica, politica, culturale, internazionale e fra persone, gruppi, comunità, etnie, popoli, civiltà, religioni e così cementare quei valori e quegli atteggiamenti capaci di indirizzare la nostra convivenza verso l’unità e la pace.

4. Una cultura
    della comunicazione

Si rende utile e necessario riaffermare il concetto di persona come essere sociale, ovvero essere relazionale. Questa capacità non le viene dal contesto sociale, ma è scritta nella sua natura.

Infatti l’io si realizza e si manifesta in pienezza solo nel rapporto e in relazione con l’altro, con gli altri.

Questa relazione, così a fondo studiata dalle varie discipline umanistiche, costituisce una dimensione inconfutabile della persona. Ed è essa che rende possibile la comunicazione. Comunicare, infatti, è tipico della persona in quanto attinge la profondità del suo essere. Non si tratta soltanto di comunicare notizie, informazioni, ma di comunicare se stessi.

L’era della comunicazione globale può diventare una grande occasione per la persona a causa dei mezzi e degli strumenti che vengono messi a sua disposizione; ma può diventare anche una trappola mortale quando i “mezzi” si trasformano nella comunicazione stessa, quando impediscono un contatto e una relazione personale; più ancora quando sottraggono i soggetti dalla realtà, dalla vita reale per portarli in una dimensione virtuale.

Il pericolo è reale. Studi e ricerche serie e scientifiche costatano nei bambini e nei giovani una grande incapacità di comunicare. Non riescono a donarsi e a donare la propria interiorità. Questo equivale ad una perdita di umanità che può avere conseguenze impensate.

Educare vuol dire proprio aiutare a crescere, ad esprimere e manifestare il proprio io per costruire una convivenza e una società a misura umana.

Ritrovare il gusto della propria soggettività in relazione è uno dei compiti a cui siamo tutti invitati.

Il problema della comunicazione si pone anche a livello “macro”. Fra Stati, fra popoli, fra civiltà, fra religioni, fra etnie, fra culture diverse.

In questo caso si aggiunge in modo particolare la reciprocità, come capacità di dare e di ricevere, di scambio. È un processo, questo, che richiede allenamento, determinazione, apertura e una buona dose di fiducia. Senza questi “ingredienti” le relazioni internazionali non solo si bloccano ma addirittura si contrastano generando tensioni e conflitti.

 

Riportare la persona al centro delle vicende della storia, impone un cambiamento di mentalità, uno sguardo nuovo e più profondo sulle cose, sugli eventi, sull’umanità. Solo così l’avventura umana ci porta in avanti, verso una maggiore pienezza, invece di mandarci indietro, verso un declino.

Vera Araújo

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1)     In “La critica sociologica” 142 (2002) p. 58.

2)     C. Lubich, La dottrina spirituale, A. Mondadori, Milano 2001, p. 59.

3)     Ibid., p. 281.

4)     Ibid. p 298.