Cosa succede se una parrocchia accoglie i moderni Movimenti ecclesiali? Scompiglio o rinnovamento?

 

Una parrocchia colorata di carismi

Intervista a Mario Sbarigia

 

Abbiamo intervistato alcuni membri della parrocchia di San Luca, una comunità attualmente di 15.000 abitanti situata in un quartiere della città laziale di Latina. Qui negli ultimi cinquant’anni la popolazione, venuta da ogni dove e cresciuta repentinamente, non ha ancora una tradizione consolidata che possa amalgamarla. La Chiesa è forse l’unica forza viva che affronta i gravi problemi sociali per creare un ambiente vivibile per tutti. Per fortuna i due parroci, don Felice e don Mario, che si sono succeduti, non solo hanno sempre collaborato tra loro ma hanno anche avuto l’accortezza di accogliere e valorizzare i vari Movimenti ecclesiali che man mano sono fioriti sul territorio. Qui parleremo in particolare del contributo offerto dal Movimento dei focolari.

Ho cominciato così...

GEN’S: Don Mario, quando tu sei venuto la parrocchia stava muovendo i primi passi. Cosa vi hai trovato e come ti sei mosso?

Don Mario: Fu nel 1994. Il vescovo mi inviò nella parrocchia nascente di San Luca, conservandomi l’incarico di direttore della Caritas diocesana. Ebbi un momento di perplessità, ma alla fine accettai. Di proposito non feci nessun programma pastorale: volevo prima conoscere e imparare. Una cosa però avevo ben chiara: “farmi uno con tutti”, mettermi cioè nella pelle degli altri e servirli con sincero amore, iniziando in modo particolare con don Felice che era stato il fondatore della parrocchia e che, pur impegnato anch’egli al centro diocesano, accettò volentieri di restare come viceparroco.

Cercai di realizzare tutti i programmi da lui avviati, dando fiducia agli operatori pastorali già attivi in loco. Man mano presi coscienza della realtà non certo facile in cui mi trovavo, ma anche vedevo crescere – non senza stupore da parte mia – una comunità arricchita da carismi per la presenza di vari Movimenti ecclesiali.

Nei primi quattro anni non avevo mai avuto l’opportunità di parlare del Movimento dei focolari di cui cerco di vivere la spiritualità, anche perché non volevo dare l’impressione di voler fare proselitismo. Nel 1998 ebbi poi l’occasione di accompagnare una settantina di parrocchiani a Loppiano, la cittadella di questo Movimento vicino a Firenze. Al ritorno, constatando che tutti i partecipanti erano felici dell’esperienza vissuta, proposi di tentare anche noi nel nostro ambiente di vivere quello stile di fraternità che avevamo sperimentato a Loppiano, e diedi un appuntamento. Nella data stabilita si presentarono 20 persone desiderose di iniziare questa nuova esperienza. Oggi diciamo che in quel giorno anche il carisma dell’unità, tipico del Focolare, cominciò a germogliare in parrocchia in armonia con le altre realtà ecclesiali già esistenti.

Tener viva fra noi l’unità
e mirare alla fratellanza universale.

GEN’S: Luisa, tu facevi parte di questo primo gruppo. Cosa ha portato di nuovo il carisma del Focolare in parrocchia e come lo vivete oggi?

Luisa: Sono passati ormai sei anni da questa gita a Loppiano e in parrocchia attualmente abbiamo un gruppo di persone che hanno fatto proprio questo carisma e cercano di viverlo, poi ce n’è un altro in formazione ed un terzo s’impegna a mettere in pratica la Parola di vita del mese.

Fin dall’inizio ci siamo sentiti attratti dalla vita evangelica che si attua tra le persone del Movimento. In questi anni, per me e per tutti, la tensione maggiore è stata quella di mantenere viva tra noi l’unità e spronarci a vivere per la fratellanza universale, partendo dal concreto della parrocchia, ma avendo come obiettivo l’attuazione del testamento di Gesù: “che tutti siano uno”.

Seguendo un costume in uso nel Focolare, ogni mattina cerchiamo di passarci una piccola frase, un “passaparola”, che ci sprona a vivere in Dio il momento presente ed è l’occasione per rinnovare tra noi il patto d’amore fraterno.

Ovviamente questo amore non è fatto di sentimentalismi e abbiamo cercato in questi anni di condividere, ora con l’uno ora con l’altro, momenti di difficoltà sia spirituali che materiali ed anche momenti gioiosi, sperimentando che veramente nell’unità le gioie si moltiplicano ed i dolori si alleggeriscono.

 Terminiamo ogni nostro incontro con una preghiera nella quale “uniti nel nome di Gesù” affidiamo a Dio i bisogni della comunità. E possiamo testimoniare che tante nostre richieste sono state esaudite come, ad esempio, la guarigione del nipotino di Cesare, affetto da tumore, e il lavoro per Ennio rimasto disoccupato.

Con Maria che ha due figli a carico e improvvisamente perde il lavoro mentre viene a scoprire di avere un tumore, oltre che pregare perché Gesù le desse la forza necessaria, abbiamo voluto condividere anche economicamente queste difficoltà attraverso la comunione dei beni.

E come non ricordarci di Rossella e Giovanni, tra l’altro allora non praticanti, che arrivano sconvolti nel nostro gruppo dopo aver perso improvvisamente un bimbo di 9 anni? Attraverso gli incontri con noi hanno capito che potevano ritrovare il rapporto con Andrea in un’altra dimensione. A poco a poco sono entrati nel disegno amorevole di Dio. Questo li ha portati ad iniziare un’altra gravidanza. Ma due mesi prima del parto, da ecografie approfondite, scoprono che il bimbo ha la stessa patologia del fratello.

Vivendo insieme questi momenti, siamo rimasti meravigliati nel sentirli dire, nonostante tutti i momenti di paura: «Vogliamo credere all’Amore di Dio e vivere l’attimo presente». Nasce Mattia – lo hanno chiamato così perché significa “dono di Dio”. Due giorni dopo il parto, il medico ha chiamato Rossella e, commosso fino alle lacrime, le ha detto: «Signora, ma lei crede ai miracoli? Suo figlio è sano». Giovanni e Rossella ci dicevano che questo figlio lo sentono non solo loro, ma anche figlio della nostra comunità.

Ancora abbiamo condiviso con A. Maria e Sebastiano la gioia di far battezzare la bimba di tre anni, decisione maturata dai genitori all’interno del gruppo dopo un anno di cammino.

In questi ed altri modi, cerchiamo di portare i frutti del carisma dell’unità nella realtà della parrocchia: una presenza mariana a servizio di tutti. Per essere preparati a questo è fondamentale per noi vivere in comunione tra di noi e attingere al patrimonio spirituale di questo carisma. Per questo prendiamo parte a congressi (vedi: Parrocchia, comunità in dialogo, “Gen’s” n. 4-5/2002), scuole di formazione e altre iniziative promosse dal Movimento dei focolari, che ci formano a vivere e a promuovere la comunione nella Chiesa.

L’amore è fatto di opere

GEN’S: Felicetta, anche tu e tuo marito vi trovate impegnati in questo stile di vita evangelica. Come mai?

Felicetta: Ho conosciuto il Movimento dei focolari nel 1998 attraverso le catechesi di Luisa per preparare al battesimo Linda, una ragazza albanese, di cui io e mio marito Roberto volevamo essere i padrini.

Abbiamo scoperto allora che Dio è Amore e abbiamo trovato nell’Ideale dell’unità la spinta a vivere il Vangelo nella vita ordinaria di tutti i giorni. È stata una rivoluzione totale: si sono ribaltate tutte le mie logiche, le mie categorie e priorità. Ora tento di vivere con questa nuova visione la mia relazione con Dio, che sento fortemente presente nella mia vita, e con i fratelli nei quali vedo una presenza di Gesù. E ne ho constatato i frutti.

Innanzitutto nella mia famiglia. Divergenze su problemi economici fanno sì che un mio fratello e una mia sorella per circa dieci anni dalla morte di papà non si parlassero più. Ho fatto un lavoro di trama e cucito mettendo in risalto in ognuno le cose positive dell’altro. Quest’anno mia sorella e mio fratello si sono riconciliati e siamo tutti in armonia.

C’è stato anche un cambiamento nel mio lavoro di medico. Cerco di vivere in modo intenso ogni rapporto con il paziente: lo prediligo, l’ascolto, decidiamo insieme alcune strategie, ci diamo appuntamento in un momento più tranquillo per parlare più liberamente, e scopro che le persone hanno bisogno di amare ed essere amate. Ho, tra l’altro, scoperto Gesù abbandonato negli extra-comunitari della mia città, aprendo loro le porte del mio ambulatorio.

Roberto: Facevo già parte della Caritas parrocchiale, quando ho conosciuto l’Ideale dell’unità nel 1998. La spiritualità del Focolare mi ha fatto scoprire che si arriva a Dio attraverso il fratello, dando un senso del tutto nuovo al mio impegno nel volontariato. È con questo spirito che faccio servizio presso una mensa di extra-comunitari e da qualche tempo seguo due ragazzi portatori di handicap. Sono le stesse cose di una volta, ma portate avanti con una convinzione nuova ed un’ottica diversa. Faccio un esempio.

Vivere “perché tutti siano uno” è stata la motivazione che da cinque anni ha portato me e Felicetta, insieme ad altri della nostra parrocchia, a fare un campo di lavoro a Durazzo in Albania.

Una parte delle mie ferie sono per questa esperienza che è anche dolorosa, perché conosci da vicino i tanti volti di Gesù abbandonato nelle famiglie poverissime dei villaggi, nei bambini disabili in un Istituto di quella città e in tante altre tristi realtà del Paese.

Vado per amare concretamente Gesù in queste persone che incontro e poi al ritorno condivido con altri in parrocchia questa esperienza in modo che anche la comunità possa parteciparvi favorendo tutte le iniziative concrete che nascono a favore di questo popolo.

Felicetta: Nel luglio del 2004 ho iniziato nel villaggio di Sectori Rinja l’attività di ambulatorio medico, con pochissimi mezzi a disposizione: – uno stetoscopio, un apparecchio per misurare la pressione, qualche kit di farmaci – ma con tutto l’amore possibile da spendere per ognuno che veniva a farsi visitare; un amore che essi ricambiavano con qualche pannocchia abbrustolita o con un piccolo cocomero.

In questo villaggio l’ultimo giorno incontro una giovane coppia con un bambino, Ervis, che da alcuni mesi presentava una paralisi progressiva con perdita della parola. Avevano fatto degli accertamenti a Tirana, ma senza una diagnosi precisa. Sento che questa loro sofferenza diventa mia, così una volta rientrata in Italia riesco ad attivare un ricovero per motivi umanitari a spese della regione Lazio presso l’ospedale “Bambino Gesù” di Roma.

Roberto: Alla fine di novembre Ervis e Flora, sua madre, arrivano in Italia, io e Felicetta li ospitiamo nella nostra casa in attesa del ricovero, aiutati da Graziella e da Angelo, perché nel frattempo la mamma di Felicetta viene ricoverata anche lei in ospedale per un problema allo stomaco.

In questa occasione ho sperimentato l’unità con Ervis e Flora, facendo nostre le loro difficoltà, ed anche l’unità con Graziella ed Angelo che hanno condiviso con noi tanti momenti impegnativi e difficili. Purtroppo per Ervis la diagnosi è stata quella di una malattia irreversibile con pochi anni di sopravvivenza. Ma il rapporto tra le nostre due famiglie è molto vivo, tanto che Flora telefona ogni 10-15 giorni e chiede sempre notizie della mamma di Felicetta.

Quest’anno ho sentito forte che, anche in Albania, insieme agli altri, dovevamo essere una presenza di Maria: il “passaparola” che ricevevo tutti i giorni dagli amici della parrocchia in Italia, era come il tramite che mi spingeva a rinnovare ogni giorno l’unità con tutti e ad essere sul posto una viva espressione della Chiesa.

Amore preferenziale per gli ultimi

Angelo: Sono stato tra i primi a lavorare con impegno nella parrocchia di S. Luca. Ero un tuttofare: in modo speciale cercavo di organizzare feste per raccogliere soldi per costruire la chiesa ed ero impegnato nella Caritas. Con il passare del tempo ero alla ricerca di un qualcosa che potesse dare un senso a questo mio fare. Ho cominciato a partecipare al gruppo della Parola di vita appena costituito in parrocchia ed ho scoperto che Dio mi ama e in contraccambio mi chiede una sola cosa: amare gli altri.

Mi sono ritrovato, insieme ad altri, a fare varie esperienze. Ad esempio con un giovane papà di due bambini, agli arresti domiciliari con accuse molto gravi. Stargli vicino poteva compromettere la nostra incolumità. Attraverso la nostra amicizia egli ha sentito l’esigenza di ritornare alla Chiesa e di confessarsi. Erano tanti anni che questo non accadeva.

Recentemente, insieme a Roberto e ad altri, mi sono trovato a fare volontariato in un dormitorio, voluto dalla diocesi e aperto in seguito alla morte per assideramento di un “barbone”.

La sera sul tardi cominciamo a fare un giro per la città e caricarci in macchina chi troviamo a dormire per terra. Tra questi poveracci c’è l’ubriacone, l’attaccabrighe, il malato cronico, l’incontinente... Li portiamo al dormitorio, ma la convivenza tra loro è difficile. Bisogna parlare con loro, trattenendosi anche per l’intera notte.

Con il passare del tempo la situazione è diventata più complicata: il numero delle persone è raddoppiato, non si riesce a tenere sotto controllo il tutto e la cosa più problematica è l’odore cattivo che in quella stanza si crea diventando irrespirabile a tal punto che una mattina tornando a casa ho detto: «Basta; mollo tutto». La sera dopo c’è stato l’incontro, abbiamo ascoltato una meditazione di Chiara Lubich: l’unione con Dio si raggiunge attraverso il fratello. Ed ho capito che per Gesù presente in quei fratelli “barboni” non potevo fermarmi.

Catechesi: far innamorare di Gesù

Graziella: Sono stata chiamata a fare la catechista tanti anni fa; accettai e per prepararmi meglio ho frequentato appositi corsi di formazione.

Questo servizio mi faceva sentire utile, importante. Mi piaceva sentirmi dire che ero brava ed ancora più gratificante era che i genitori facevano a gara affinché i loro figli stessero nel mio gruppo. Così è stato per parecchi anni, finché ho conosciuto l’Ideale dell’unità. Addentrandomi sempre più in questa comunità, ho cominciato ad intuire che il Signore con il suo amore mi stava arricchendo. Lui già mi amava così come ero, non mi forzava a cambiare, ma a poco a poco ho cominciato a capire che la cosa fondamentale era l’unione con Lui, era instaurare con Lui un rapporto confidenziale e affidargli tutte le mie preoccupazioni. Dio stesso ha cominciato a diventare la mia ricompensa, l’unione con lui la mia gratificazione.

Pure mio marito Angelo mi ha seguito in questo cammino; e così abbiamo avuto la possibilità di realizzare anche fra di noi le parole del Vangelo: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20): avere Gesù in mezzo a noi è stato veramente meraviglioso.

Ho avvertito che anche il mio modo di fare catechismo doveva essere rivisto alla luce di quanto avevamo ricevuto. Ho sentito che debbo far passare questo amore che ho per Gesù anche ai bambini, perché pure loro s’innamorino di Lui.

Sto scoprendo l’importanza di avere Gesù in mezzo con le altre catechiste. Ormai siamo un buon numero a vivere in questo modo e periodicamente c’incontriamo per dichiararcelo, in modo che questa realtà di Gesù tra noi possa contagiare anche i bambini. Ci confrontiamo e scambiamo esperienze su come portare avanti il catechismo in maniera da trasmettere non solo nozioni, ma uno stile evangelico di vita.

Per me, ma anche per le altre, lo strumento principale del nostro lavoro sta diventando il dado con i punti dell’ “arte d’amare”. Ogni settimana i bambini si impegnano a vivere la frase che appare dopo il lancio del dado e poi raccontano le esperienze.

Carlo diceva: «Era l’ora della ricreazione e tutti i bambini si apprestavano a giocare. Mi si avvicina una zingarella, compagna di classe, e mi dice: “vuoi giocare ad acchiapparella con me?”. Io ho detto di sì e mi sono “fatta uno” con lei».

Dice ancora Erika: «La mia migliore amichetta ha preferito andare al cinema con Giulia invece che con me. Io in quel momento ho pensato che non volevo più vederla, ma poi mi sono ricordata della frase “Ama il tuo nemico” e la sera le ho telefonato per invitarla a pranzo il giorno dopo a casa mia».

Eleonora ci raccontava che i genitori avevano litigato. Lei allora ha consegnato ad ognuno una letterina con disegnato il dado dell’amore dal lato dove appariva la frase “Amare per primi”. E così tanti altri fatterelli, che hanno il sapore dei fioretti.

Stiamo cercando di coinvolgere anche i genitori in questa avventura del dado. A tal proposito i bambini del gruppo che seguo faranno la prima Comunione e regaleranno ai genitori, quel giorno, il dado dell’amore. «Io ho fatto tanti altri regali ai genitori, ma questo è proprio un regalo originale», ha detto Mattia, un bambino del gruppo.

A conclusione di questo anno faremo un campeggio con i bambini, per andare più a fondo in questa esperienza formativa basata sul Vangelo vissuto.

Aperti su tutti

GEN’S: In parrocchia state sviluppando diversi dialoghi, cominciando dalle varie realtà ecclesiali.

Luisa: Sulla scia della Pentecoste 1998 – quando il Papa ha riunito in Piazza San Pietro i Movimenti ecclesiali, esortandoli ad una maggiore comunione tra loro – abbiamo sentito l’esigenza di incontrarci periodicamente tra i responsabili dei vari carismi presenti in parrocchia: Neocatecumenali, Rinnovamento nello Spirito, Pax Christi, Scout, Azione Cattolica, Focolari, Comunione e Liberazione.

Lo scopo non è tanto quello di fare cose insieme, ma di conoscere più a fondo il disegno che Dio ha su ogni Movimento o gruppo, per gareggiare nello stimarci a vicenda.

Ultimamente ci sembrava di avvertire che l’obiettivo di amare il Movimento altrui come il proprio stia diventando realtà. Sentivamo fortemente che questo tendere all’unità tra noi è la prima forma di evangelizzazione. Infatti chi è al di fuori non vuole incontrare il singolo gruppo, ma la Chiesa: «Che siano uno, affinché il mondo creda» (Gv 17, 21).

Per questo sono previsti durante l’anno momenti d’incontro tra tutti i Movimenti e le realtà vive della parrocchia normalmente in occasione dell’Avvento, della Quaresima, della festa di San Luca, attività ad esempio come meeting dei giovani, dove ogni momento della celebrazione e dell’incontro è espressione di tutti. Ancora momenti di festa e di convivialità, come il giorno dopo Pasqua.

Sperimentiamo, ogni qualvolta ci ritroviamo insieme, che più si punta all’unità e più questi momenti creano famiglia e mostrano ai lontani un volto nuovo di Chiesa.

Per quanto riguarda il dialogo ecumenico, nel nostro gruppo della Parola di vita è entrata a far parte una signora ortodossa e siamo in contatto con padre Ovidio, un sacerdote ortodosso della zona, con il quale abbiamo deciso di avere momenti di incontro insieme più volte durante l’anno, non limitandoci solo alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, in modo da arrivare pian piano ad un ecumenismo della vita.

Quanto al dialogo con le altre religioni, ha fatto parte del gruppo della Parola di vita fino ad un anno fa, Raja, una signora musulmana con la sua famiglia – ora si è trasferita a Piacenza ma è in contatto con il focolare di quella città. Lei ha preso parte ad un convegno di cattolici e musulmani organizzato dal Movimento dei focolari e in quella occasione ha conosciuto Chiara Lubich, che le ha suggerito come programma di vita: «Fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi» (cf Lc 6, 31; Mt 7, 12), una frase che è chiamata “Regola d’oro” e che si trova non solo nel Vangelo, ma anche nel Corano e in quasi tutti i libri sacri delle altre religioni.

Raja ci ha  raccontato che ad alcuni amici meravigliati che lei frequentasse la parrocchia, ha risposto che, stando con noi, era spronata a vivere meglio il Corano. Quasi ogni mese le consegnavamo il commento ad una parola del Corano, simile alla nostra Parola di vita, fatto da una teologa islamica, anch’essa in contatto col Focolare.

Quanto al dialogo con persone di convinzioni non religiose, in stretta collaborazione con l’ufficio missionario della parrocchia, abbiamo dato vita ad una iniziativa: dedichiamo la domenica del Battesimo di Gesù per rivedere alla luce del Vangelo i nostri rapporti con tutte quelle persone che vivono senza una fede religiosa e per tutti quei cristiani che, sebbene battezzati, hanno abbandonato la pratica religiosa o vivono un’appartenenza molto debole alla Chiesa. Cerchiamo di sensibilizzare tutti coloro che frequentano la chiesa ad un atteggiamento di rispetto e di valorizzazione delle diversità culturali, perché anche in queste persone si trovano dei grandi valori.

La vitalità della Chiesa

GEN’S: Don Mario, per l’esperienza vissuta in questi anni quale contributo costruttivo hai notato da parte dei Movimenti ecclesiali in parrocchia?

Don Mario: Senza alcun dubbio i Movimenti ecclesiali, per la loro vita basata sul Vangelo vissuto, hanno una certa facilità nel promuovere e sostenere la vita cristiana della comunità parrocchiale. Ovviamente ogni Movimento dà un suo caratteristico apporto. Così la nostra è una comunità “colorata” dalla presenza di vari carismi, dove le persone s’incontrano, collaborano e rendono visibile il comandamento di Gesù: «Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore fra voi» (Gv 13, 35). E anche la celebrazione domenicale appare la mensa della convivialità dei fratelli fatti “uno”, seppure appartenenti a diversi carismi o Movimenti o gruppi ecclesiali o senza alcuna particolare appartenenza.

Ultimamente sono state per noi motivo di gioia e di luce le parole del Santo Padre da lui rivolte al clero romano il 13 maggio di quest’anno: «Avete parlato della parrocchia come struttura fondamentale, aiutata e arricchita dai Movimenti. E mi sembra che proprio durante il pontificato di Papa Giovanni Paolo II si sia creato un fecondo insieme tra l’elemento costante della struttura parrocchiale e l’elemento, diciamo, “carismatico”, che offre nuove iniziative, nuove ispirazioni, nuove animazioni. Sotto la guida sapiente del cardinale vicario e dei vescovi ausiliari, tutti i parroci possono insieme essere realmente responsabili della crescita della parrocchia, assumendo tutti gli elementi che possono venire dai Movimenti e dalla realtà vissuta della Chiesa in diverse dimensioni».

A cura di Enrico Pepe