Il popolo del Risorto

Stupiscono i primi passi di Papa Ratzinger: il coraggio con cui all’apertura del Pontificato ha dichiarato di non avere un “suo” programma; l’inconsueto appellativo “amici” con cui continua a rivolgersi al Popolo; la reciprocità di fede, preghiera, carità, che egli intende vivere con gli altri battezzati, pur conscio della specificità della sua missione; l’incondizionata fedeltà alla Rivelazione, insieme all’urgenza da lui avvertita di schiudere al mondo di oggi il significato umanizzante del messaggio della salvezza.

In realtà, già da queste prime settimane di Pontificato emergono accenti di una visione di Chiesa che promette di portare a più decisa realizzazione linee dottrinali fondamentali e aspetti concreti del Concilio Vaticano II.

Innanzi tutto, la convinzione che al centro della Chiesa è la presenza viva del Risorto, tanto che il nuovo Papa si premura costantemente di non “occupare” quello spazio con la sua immagine e persona, bensì di esaltare e far scoprire a tutti quella presenza vivificante. «In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo», ha detto nella solenne Messa per l’inizio del Pontificato. E ha proseguito: «Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia».

E qui si delinea già un altro accento: l’intenso e ripetuto “con” di Papa Ratzinger: il “con” creduto e vissuto della comunione, della Chiesa-comunione. «Il Papa non è un sovrano assoluto», ha detto con forza il 7 maggio nella Basilica lateranense. E in quell’occasione presentò l’immagine di un vescovo di Roma che, quale successore di Pietro, ha sì uno speciale compito, ma in questo ruolo si sa parte di un Popolo in cui «ogni cristiano, a suo modo, può e deve essere testimone del Signore risorto». È significativo poi come, nel suo stemma, abbia sostituito la tiara con la mitra episcopale, a sottolineare che egli, pur investito di un ministero singolare e universale, è innanzi tutto vescovo insieme agli altri vescovi. Da qui l’accento sulla “comunione collegiale”, all’indomani dell’elezione, quando ha chiesto ai cardinali di essergli accanto «con la preghiera e col consiglio», «aiutandoci gli uni gli altri nell’adempimento dei rispettivi compiti a servizio della Chiesa».

Allo stesso tempo una Chiesa proiettata verso il mondo, verso i tanti deserti esteriori (fame, sete, solitudine, abbandono…) ed interiori (oscurità di Dio e svuotamento delle anime) in cui vive l’umanità di oggi, affinché la terra diventi quel «giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere». «La Chiesa nel suo insieme – ha osservato nella Messa d’inizio Pontificato –, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza».

Una Chiesa, dunque, che «non esiste solo per se stessa, ma che è un punto luminoso per gli uomini (…) una forza di unità, un segno per l’umanità» (così ai suoi connazionali il 25 aprile);  non occupata di sé, ma trasparente, se così si può dire, mariana: Chiesa che mostra e offre agli uomini e alle donne non se stessa ma la presenza viva di Gesù che essa custodisce nel suo seno: Gesù che è Vita e Luce e Gioia. E che sa parlare di tutto questo in termini comprensibili per la gente di oggi. «C’è ancora un grande lavoro di traduzione da fare dei grandi doni della fede nel linguaggio di oggi, nel pensiero di oggi», aveva detto il Card. Ratzinger in un’intervista del 2001 che la Radio Vaticana ha rilanciato all’indomani della sua elezione a vescovo di Roma. Ed aveva precisato: «Le grandi verità sono le stesse: il peccato originale, la creazione, la redenzione, la vita eterna… ma molte di queste cose si esprimono ancora con un pensiero che non è più il nostro e bisogna farle arrivare nel pensiero del nostro tempo e renderle accessibili per l’uomo perché veda davvero la logica della fede».

In questo sforzo, Benedetto XVI, come già il suo grande predecessore, vede indispensabilmente unite diocesi e parrocchie e moderne espressioni carismatiche come i Movimenti. In una recente Nota pastorale – ha detto ai Vescovi italiani il 30 maggio scorso – «vi siete (…) saggiamente preoccupati di sostenere le parrocchie, riaffermando il loro valore e la loro funzione (…). Ma avete anche messo in luce la necessità che le parrocchie assumano un atteggiamento maggiormente missionario nella pastorale quotidiana e pertanto si aprano ad una più intensa collaborazione con tutte le forze vive di cui la Chiesa oggi dispone». Ed ha sottolineato: «È molto importante, al riguardo, che si rafforzi la comunione tra le strutture parrocchiali e le varie realtà “carismatiche” sorte negli ultimi decenni e largamente presenti in Italia, affinché la missione possa raggiungere tutti gli ambienti di vita».

Emerge da questi primi pronunciamenti del Papa l’immagine di una Chiesa che ricorda la realtà del Cenacolo della Pentecoste: una Chiesa che, conscia della sua dimensione sacramentale e ministeriale, esalta altresì la sua dimensione carismatica e mariana; fatta da uomini e donne che sono insieme testimoni del Risorto, persone che vivono lo straordinario nell’ordinario, “uomini semplici” come i santi «da cui emanava – come ha detto Benedetto XVI ancora il 7 maggio nel Laterano – ed emana una luce splendente capace di condurre a Cristo».

Hubertus Blaumeiser